Moebius

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mercoledì 23 marzo 2005

Blow up, di Michelangelo Antonioni

Londra, fine anni ’60. Un fotografo di moda si muove nella città simbolo di un’epoca e del suo costume. E lo stesso fotografo vive a pieno la città, facendone parte ma ponendosi anche in parte con una prospettiva di spettatore, di osservatore. È l’obiettivo della sua macchina fotografica che fornisce la mediazione attraverso cui lui vive il suo lavoro e la sua città; il suo sguardo è sempre e comunque fotografico anche quando non ha il suo strumento con se: corpi, visi, paesaggi, strade, tutto è potenzialmente il risultato della mediazione fotografica.

Il suo lavoro ricopre completamente la sua vita, e come potrebbe non essere così, a fare uno dei lavori più affascinanti nella città più alla moda. Non a caso il protagonista di questo film di Antonioni è un fotografo: è il mestiere che più di ogni altro permette di inquadrare un’epoca, di descriverla con levità e leggerezza ma anche con una cupezza che ne veicola un vuoto quasi assoluto.




Ogni avvenimento è funzionale al suo contesto; ogni cosa che accade a Londra, e in questo caso al nostro fotografo, è eccessiva, è iperreale, è qualcosa che cela dietro di sé dei significati diversi e più complessi. Significati che forse si possono trovare per le strade della città o per i locali più alla moda o, ancora, in una festa a base di allucinogeni, ma che comunque sfuggono in assoluto, non si colgono.

Il nostro fotografo cattura le immagini del nostro tempo, dalle modelle che vengono nel suo studio alle immagini più casuali che trova in giro per la città. È la ricerca degli scatti migliori che lo fa muovere in giro per la città, fra i personaggi più strani, che non è detto siano i mimi che incontra all’inizio e alla fine del film. Forse piuttosto i grigi impiegati della City che girano anonimi per le strade; gli esponenti dell’alta borghesia londinese, le classi più agiate e alla moda, che sono però solo elementi di contorno, preferiscono chiudersi in sé e nelle loro droghe; o i giovani “capelloni” che però sono solo il risultato delle follie di massa, niente più che gente che segue la moda.

 

Il personaggio più inquietante e affascinante del film è la donna senza nome interpretata da Vanessa Redgrave. Il fotografo la incontra in un parco e la immortala in un incontro con un uomo molto più anziano di lui, senza sapere però di stare riprendendo anche molto di più. C’è un mistero dietro a quelle foto, e lei non le rivuole indietro solo per salvare le apparenze della sua vita privata. È evidente che ci sia molto di più.

 


 

Sarà l’analisi dettagliata delle foto, l’immersione totale nel suo ruolo di “fabbricante di immagini” a svelare qualcosa. Sarà l’immersione nelle foto, nella grana del bianco e nero, ingrandimento dopo ingrandimento, a dare un senso che vada oltre i baci fra quella donna e quell’uomo, e poi alla corsa di lei (si veda la citazione che ho postato qualche giorno fa qui)

Ma è solo un inizio, un frammento di realtà che emerge da sotto la superficie ma che ritornerà al di sotto del percebile. Il tentativo di vivere qualcosa di più che il resto della massa e della città, che quello che i ruoli sociali impongono, si risolve nell’impossibilità di penetrare realmente nel mistero ma forse quello che si troverà è uno sguardo più ricco e più critico alla nostra società, o almeno a quella fissata sulla pellicola da Antonioni, che viene messa in vetrina e sbeffeggiata.

 

Esemplare e indimenticabile, in ogni modo la si guardi e la si consideri, la sequenza finale della partita a tennis fra i mimi: una partita senza palle, senza racchette, senza rumori e senza spettatori, tranne il fotografo, e forse gli altri mimi che più che fare da cornice completano il quadro. Anche il pubblico è muto ed è un simulacro. Sequenza, questa, che si presta a diverse interpretazioni, io non ne azzardo.

5 commenti:

  1. Questo film mi colpì molto quando lo vidi da adolescente. Un film non facile da capire ma che mi lasciò l'impressione che il cinema non fosse solo intrattenimente alla "Guerre stellari"...
    l'attore protagonista è morto qualche anno fa e me lo ricordo in Profondo Rosso di Dario Argento.

    Il militante
    p.s. il link del Torque mi metteva tristezza. Quando ci cliccavo sopra e vedevo che non era tornato...
    Spero in un suo ritorno che, se avverrà, accoglierò con gran piacere (poi il link lo rimetto eh!) ;-)

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  2. Bongiorno tesoro!
    Che sonnoooooo!!
    Bello questo post, io il film non l'ho visto, ma sembra che tu abbia colto il segno!!
    Ti voglio bene!

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  3. che bella recensione, hehehe ;) bravissimo.. ovviamente non ti ho influenzato minimamente nella scelta del film! =P come? cosa?
    ma grazie, mi sarà utile.. :)

    p.s.
    w i miei films scomparsi!
    ricordo troppo bene quello dell'uomo ke si riempiva di tattos, e quello della famiglia con una casa delle bambole che si animavano.. se a qualcuno queste trame dicono qualcosa.. fatemi sapere!

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