Moebius

Moebius

venerdì 29 aprile 2005

Un futuro veramente molto basso...

Cronache del basso futuro, ma di un futuro così basso che in alcuni casi è già passato. Questa è la raccolta di racconti di Bruce Sterling, dal titolo originale di Globalhead, che segna una delle pietre miliari della letteratura nota come cyberpunk (vedi categorie per saperne di più).

Rispetto all’altro grande del genere CB, William Gibson, Sterling opera una maggiore riflessione sullo sviluppo tecnologico, culturale e sociale, e la sua attenzione è sempre rivolta al disegno di prospettive future plausibili, basate spesso sull’analisi dettagliata della situazione politica internazionale, dell’economia globale, dello sviluppo tecnologico. Quello che nella fantascienza di William Gibson è un salto nel futuro, fatto di sfrenate corse in avanti della fantasia, e di una scrittura barocca, nei racconti e nei libri di Bruce Sterling poggia invece di più con i piedi per terra, e si basa su uno stile molto più rigoroso, che amo particolarmente anche se diverso da Gibson.

 

Ho già detto, nei post passati legati al cyberpunk, come Sterling e lo stesso Gibson abbiano dichiarato finita l’epoca d’oro del genere che è evoluto ed oggi è, quando parliamo dei suoi esponenti maggiori, qualcosa di diverso, anzi un vero e proprio cyberpunk non esiste più, e forse non è mai esistito. Spesso questo genere è stato identificato per alcune caratteristiche proprie dei racconti di Gibson, e che abbiamo visto al cinema in film come Matrix o Johnny Mnemonic (connessioni neurali al cyberspazio, innesti biomeccanici nel corpo umano, grandi corporation disposte a tutto per trarre profitti, yakuza…), però il cyberpunk va inteso più come un modo di sentire, un modo di leggere la realtà odierna, prima che quella futura, nella diffusione della società dell’informazione. Ecco, Bruce Sterling è il lato sociologico del genere (ed eccellente è la sua opera di saggista e divulgatore scientifico), attraverso la descrizione dei sistemi di potere della società dell’informazione, la globalizzazione, i movimenti di protesta, gli abusi di uno sviluppo scientifico senza regole e senza etica, le trasformazioni sociali legate alla tecnologia (mcluhanianamente parlando), le distruzioni ambientali. In particolare, in questo senso è esemplare un romanzo relativamente recente di Sterling, ormai non più propriamente cyberpunk (che è solo un etichetta assegnata dalla critica letteraria, ricordiamolo), Caos USA (in originale Distraction), che è il mio preferito di questo autore.

 

Tornando a Cronache, gli undici racconti (scritti poco più di una quindicina di anni fa) contenuti in questa antologia spaziano fra alcuni di carattere propriamente fantastico (tipo Le rive della Boemia) o di sperimentazione linguistica e narrativa (La spada di Damocle), ad altre in cui Sterling descrive gli scenari sociopolitici che abbiamo già vissuto (il crollo dell’URSS, e qui il futuro è bello che passato) o che stiamo vivendo (come il fondamentalismo islamico, e qui il futuro è un po’ il presente). Non mancano poi racconti legati allo sviluppo tecnologico e scientifico, e alla sua etica (La nostra Cernobyl neurale o Il proiettile morale), come quelli legati alle prime forme di hackeraggio, per quanto anche qui ormai il futuro è già andato). I due racconti più importanti e che riassumono bene l’opera di Sterling sono gli ultimi due (Hollywood Cremlino e Siete a favore o contro la 486?) che vedono protagonista il faccendiere dall’origine ignota e dalle strane facoltà, Leggy Starlitz, protagonista del romanzo di cinque anni fa, Lo spirito dei tempi, in cui Starlitz vive la narrazione dei tempi odierni (e uso il termine narrazione non a caso, visto che in questo libro si citano direttamente la semiotica e la filosofia, Eco e Greimas, Baudrillard e Derrida).

 

Più che una recensione, un post sull’autore del libro. Spero di aver messo curiosità in qualcuno. Io ci ho provato.

La mia canzone preferita, e la strofa preferita

Due buoni compagni di viaggio

Non dovrebbero lasciarsi mai

Potranno scegliere imbarchi diversi

Saranno sempre due marinai

 

Francesco De Gregori – Compagni di viaggio

giovedì 28 aprile 2005

Fuoco Sacro, di Bruce Sterling

(post del 25/6/2004)

 

Un po’ di tempo fa ho letto un bel romanzo di Bruce Sterling, Fuoco Sacro.

 

Per chi non lo conoscesse, Sterling è insieme a William Gibson il padre del cyberpunk; se Gibson ne ha scritto il romanzo-manifesto, Neuromante, Sterling ne è stato il teorico. Va detto che lo stesso Sterling da qualche anno, in più di un articolo, afferma che il cyberpunk come genere letterario ha finito la sua spinta creativa, e infatti se andiamo a leggere i romanzi più recenti sia di Gibson che di Sterling ci sono stati degli aggiustamenti di rotta rispetto ai loro primi libri.

In particolare Sterling ha intrapreso la strada di raccontare i cambiamenti in atto nel mondo attuale proponendoci nelle sue storie delle versioni credibili di cosa potrebbe essere la nostra società fra 50 o 100 anni. In particolare in libri come Caos USA e Lo spirito dei tempi (nei titoli italiani) affronta temi legati alla globalizzazione, all’ecologia, alla nascita di poteri transnazionali che vanno oltre le normali entità politiche e di movimenti che diventeranno sempre più forti perché diffusi capillarmente.

 

Chiusa questa parentesi sull’autore del libro di cui voglio parlare, torno a Fuoco Sacro. Questo libro racconta di come potrebbe essere un mondo dominato dalle biotecnologie, che consentiranno un allungamento della vita umana fino ad eccessi che probabilmente sarebbe bene non augurarsi.

La protagonista del romanzo affronta due viaggi, quello della sua formazione, una sorta di Grand Tour nell’Europa a cavallo fra 21° e 22° secolo (fra una novantina di anni per capirci) e quello della ricerca della sua identità più profonda (viaggi che naturalmente sono entrambi la stessa cosa, perché vanno in parallelo).

Mi è venuto in mente di parlare di questo libro perché qualche tempo fa un mio amico mi ha detto di aver visto il film The Core, raccontandomi di come ci fosse una scena in cui il Colosseo crollava. Il collegamento fra il bellissimo libro di Sterling e il film (che non ho visto) nasce dal fatto che a un certo punto del romanzo la protagonista arriva a Roma, la mia città. E la descrizione che Sterling fra per dirci come è diventata Roma alla fine del 21° secolo è:

 

-il quartiere Flaminio è stato raso al suolo da un terremoto, e poi ricostruito (ma se c’è qualche romano che mi legge e che abita da quelle parti è autorizzato a fare tutti gli scongiuri);

 

-il Papa ha subito anch’egli un trattamento per ringiovanire e ha cominciato a fare miracoli;

 

-infine, visto che il Papa fa miracoli, qualche anno prima è apparsa sulla città eterna la Madonna.

 

Quest’ultimo punto mi interessa particolarmente, per chi conosce Roma (e soprattutto per chi conosce me): quest’apparizione avviene su… VIALE MARCONI! Che è dove abito io…

 

 

Mirrorshades

(post del 21/7/2004)

 

Negli ultimi giorni ho letto con piacere una bella antologia di racconti cyberpunk, tutti datati prima metà anni ’80, quando il genere si stava affermando grazie al contributo e alla collaborazione di alcuni grandi scrittori, che hanno posto le basi per quella che è stata una vera e propria avanguardia letteraria. Si tratta di Mirrorshades, a cura di Bruce Sterling. Questa antologia contiene racconti di William Gibson, Bruce Sterling, Lewis Shiner, John Shirley, Rudy Rucker fra gli altri. È veramente un bel libro ve lo consiglio sia se avete letto già qualcosa di fantascienza cyberpunk sia se non conoscete questo genere ma potrebbe incuriosirvi. In particolare sono veramente molto interessanti alcuni racconti, che introducono bene al genere.

 

Il continuum di Gernsback (Gernsback è stato uno dei fondatori della fantascienza moderna, negli anni 30-40) di William Gibson, è presente già nell’antologia La notte che bruciammo Chrome; questo racconto veramente molto particolare introduce il lettore in un mondo fatto di percezioni e da significati influenzati dal nostro immaginario collettivo (fantasmi semiotici li chiama Gibson, definizione che ho ripreso nella definizione di immaginario che trovate qui accanto).

 

Occhi di serpente di Tom Maddox racconta di come l’uomo tenda sempre di più ad essere in simbiosi con la tecnologia (fino ad interfacciarsi direttamente con essa), ma mantenendo (o forse recuperando) sempre un istinto quasi primordiale che guida le nostre percezioni ed emozioni.

 

Stone è vivo di Paul Di Filippo affronta il tema della trasformazione della società, con sempre maggiori divari fra ricchi e poveri, tra have e have not, con le grandi multinazionali che decidono i destini del mondo; e qui si inseriscono le vicende personali di chi grazie a questo potere può cambiare, stravolgendola, la propria vita.

 

Solstizio di James Patrick Kelly parla dell’unione delle percezioni artificiali create dalle droghe con quelle legate a riti sacri risalenti a millenni prima che l’uomo divenisse civilizzato. E di come i sentimenti e le gelosie restino sempre le stesse, e nessuno aiuto artificiale serve a riconquistare quello che conta davvero, che forse non avevamo perso davvero ma che rischiamo di buttare via poi.

 

Mozart con gli occhiali a specchio di Bruce Sterling e Lewis Shiner secondo me è il racconto più divertente e più interessante di tutta la raccolta. Innanzitutto questo racconto è un divertissement dei due autori, che hanno messo giù in chiave cyberpunk un tema classico della fantascienza, il viaggio nel tempo e le conseguenze sull’equilibrio spazio-temporale. Gli occhiali a specchio (mirrorshades) rappresentano proprio il cyberpunk degli inizi, nei cui romanzi e racconti gli autori inserivano sempre come segno distintivo appunto i mirrorshades. Tanto è vero che prima che si affermasse l’etichetta cyberpunk, questi autori erano conosciuti come il “gruppo dei mirrorshades”.

In questo racconto incontriamo un giovane Mozart che verste con jeans e mimetica e gira con in spalla uno stereo su cui ascolta le musiche che avrebbe dovuto comporre ma che non comporrà mai. Il suo sogno piuttosto è quello di diventare una star della musica rock, con la sua chitarra elettrica.

 

Un altro tema tipicamente cyberpunk affrontato nel racconto è il legame di questo genere con la musica rock, presente nei racconti A tutto rock di Pat Cardigan e Freezone di John Shirley.

 

Mi sembra di aver detto pure troppo su questo libro. Non sarebbe male se qualcuno si incuriosisse e volesse leggere un po’ di cyberpunk (per una introduzione oltre a Mirrorshades, leggete La notte che bruciammo Chrome e il capolavoro assoluto di questo genere, Neuromante di William Gibson).

 

 

 

Millennium People, di J. G. Ballard

 

(post del 31/8/2004)

 

Ballard è considerato fra gli autori inglesi contemporanei più importanti, se non il più importante, visto il ruolo che si è conquistato nella letteratura a cominciare dall’esperienza dell’avanguardia new wave che ha tagliato trasversalmente la letteratura, ed anche gli autori che hanno vissuto l’esperienza del cyberpunk mettono Ballard ai primi posti fra i loro padri.

 

Ballard ha raccontato nei suoi libri soprattutto gli aspetti psicologici e sociali dell’era contemporanea, gli istinti e le pulsioni che regolano i nostri comportamenti, con grande attenzione al sesso come espressione di bisogni psicologici di vario tipo e metafora della nostra società, in cui viviamo molte altre esperienze esattamente come il sesso: un’esplosione di istintività che riempie la nostra vita di endorfine e di adrenalina. In particolare in opere come La mostra delle atrocità e Crash (da cui il film di Cronenberg) Ballard stabilisce un legame narrativo e psicologico fra l’esperienza sessuale e gli incidenti automobilistici, anche essi metafora della nostra contemporaneità (prima di leggere questi libri preparatevi bene psicologicamente: sono letture pesanti, Crash è ancora lì sulla mia libreria che mi aspetta…).

Ma gli aspetti psicologici della vita dei personaggi fanno parte del più ampio contesto di realtà in cui siamo immersi: la realtà dei media, della televisione, di ciò che accade e che cambia consistenza e significato in base a dove viene inserito, come viene trattato, e che entra a far parte di quel luogo simbolico che è il nostro immaginario.

 

I romanzi degli ultimi anni di Ballard sono sempre orientati ad indagare aspetti della vita metropolitana, del vivere metropolitano che si trasforma in un vero e proprio incubo fatto di gabbie sociali da cui se ne esce solo con scelte estreme. E mi riferisco a romanzi come Super-Cannes e Millennium People, appunto e anche altri, naturalmente (ma mica posso leggere tutto…).

Di questi due vi consiglio vivamente di leggere Super-Cannes, che è leggibile, non come i libri di cui ho parlato prima, ed è sicuramente superiore rispetto all’ultimo di cui vi dirò. Ballard ci mostra la vita borghese in tutti i suoi agi ma anche con i suoi conflitti, con le sue costrizioni sociali, che causano rivolta, per così dire, da parte del ceto medio. Sono libri grotteschi sotto certi aspetti perché i ceti sociali ricchi (ma non quelli ricchissimi) appaiono vittime del sistema sociale che essi stessi hanno contribuito a creare e che tengono in piedi.

 

Questa estate ho letto Millennium People, libro comunque interessante. David è un uomo di successo, ricco che lavora per una grande società (del padre della moglie) ma un attentato del tutto inspiegabile all’aeroporto di Heathrow (si scrive così?) in cui muore la ex moglie sconvolge la sua vita perché si inserisce un aspetto del tutto inquietante di paura e di voglia di scoprire gli autori dell’attentato che non ha niente di poliziesco quanto piuttosto di voglia di esorcizzare le proprie paure.

Ed arriverà a Chelsea Marina, sobborgo residenziale per il ceto medio alla periferia di Londra, dove un gruppo di attivisti sta progettando la “rivoluzione” del ceto medio contro il sistema. Qui siamo ancora all’inizio del libro, e mi fermo.

 

Quindi questi scenari quasi di guerriglia urbana, di micro-terrorismo della porta accanto, hanno come detto un che di grottesco perché provengono non dagli emarginati, non dalle frange estreme della società, ma dal suo centro. E intorno al mix di aspetti psicanalitici, di sesso, di azioni più o meno violente, Ballard parla della società contemporanea, fatta anche di paura di venire sopravanzati da qualche altra fascia sociale, di insoddisfazione per le proprie vite personali e per le proprie carriere. Ma sono proteste grottesche, perché somigliano alle proteste dei bambini se gli si toglie un giocattolo (buttare la spazzatura in strada e cose così), fino a che non c’è chi vuole andare più lontano nella protesta, ma sempre per un qualche motivo che trova più ragioni nel proprio vissuto che in un ideale cambiamento della società.

 

Giudizio finale? Leggetelo, però capisco se ad alcuni non entusiasmerà (non ha entusiasmato neanche me, a dire il vero) perché è un libro che prosegue un po’ piatto. Però messo nel contesto di cui vi ho detto ha un suo perché.

mercoledì 27 aprile 2005

un pezzo di storia che appende la bici



 

con la tesi in mano

 Me ne sto con la tesi in mano. Sapete, è molto piacevole tenere in mano il risultato di tutto il lavoro che si è fatto, toccarlo, sentirne il peso, la consistenza, sfogliarlo. È bello, è gratificante. Piano piano arriverò, devo solo aspettare fino al 17 maggio, e poi… e poi boh? È questo il brutto, e poi boh?

 

Ma non è questa incertezza per il futuro che mi mette tristezza oggi. Mi sento triste, magari non depresso come molti hanno imparato a conoscermi seguendo il filo dei miei pensieri su questo blog. Mi sento in un vicolo cieco, non ne esco, vorrei prendere una decisione forte, ma poi me ne pentirei e vivrei nel rimpianto (perché io ho un difetto enorme: ho sempre rimpianti). Allora dovrei prendere un’altra decisione altrettanto forte e far buon viso a cattivo gioco, ma allora non avrei provato a fare tutto. La verità è che sono insicuro, e ho paura. Mi devo appoggiare agli altri, ancora, ancora non riesco a camminare del tutto da solo.

Ieri ho fatto una telefonata di cui avevo bisogno, avevo bisogno di dire dove ero, di ricordare qualcosa di bello, di ricordare momenti indimenticabili. E ho visto che non ricordo solo io, e sono contento. Ma c’è una barriera che viene costruita, e ho paura che sarà troppo alta alla fine.

Stamattina ho ascoltato una canzone che avevo sentito qualche volta ma a cui non avevo mai prestato attenzione; poi qualche tempo fa ho letto il testo di quella canzone, e ora se ascolto questa canzone fa male, cazzo. Perché mi ridice di nuovo che devo mettermi l’anima in pace, e come si fa?

 

Sono un povero cretino, lo ammetto.

lunedì 25 aprile 2005

Videoblog e Blog TV

Vi segnalo un nuovo fenomeno che si sta sviluppando di recente, quello dei videoblog e, soprattutto, della Blog TV. In Italia già da qualche tempo opera Nessuno TV, che va in onda per ora su TAXI Channel su Sky (che non ho, ovviamente), oltre che sul Web, una televisione interamente fatta da blogger. I servizi e i contenuti di Nessuno TV provengono dalla rete, in particolare dai videoblog ospitati sulla piattaforma de “Il Cannocchiale”, piattaforma più piccola rispetto a Splinder (per numero di utenti) ma più avanzata tecnologicamente, visto che offre il servizio di videoblog.

 

Chiunque disponga di un videoblog (anche non su Il Cannocchiale: in quel caso c’è da firmare una liberatoria) può mettere a disposizione di Nessuno i contenuti videopostati sul Web, riprese personali con videocamere digitali o con videofonini ma anche animazioni, cartoon, grafiche autoprodotte. I videopost in questione, una volta che si è registrati, arrivano a Nessuno che li trasmetterà in tv. Nessuno produce poi dei propri programmi di inchiesta, come Insider e Reporter, che partono sempre dal Web.

Vi rimando al sito http://www.nessuno.tv per maggiori informazioni e per rendervi conto del fenomeno, che è ancora in fieri, e dove una volta tanto l’Italia è arrivata prima che l’America (che sta però rimontando). Il videoblogging sta diventando una realtà molto importante ed innovativa nel mondo della comunicazione, dimostrando le possibilità di interazione fra vecchi e nuovi media, dimostrando una volta di più che la Rete non è un mostro divoratore che ingloba tutto dentro di sé quanto piuttosto uno strumento di mediazione che assicura la massima libertà possibile, consentendo quello che Carlo Freccero (su “Il Messaggero” di domenica 24 aprile) ha definito videoattivismo.

 

La Rete è lo spazio dove passano nuove forme di comunicazioni e nuove possibilità di espressione alla portata di chiunque disponga di un pc, di una linea a banda larga e delle competenze tecniche necessarie. Questo dei videoblog potrebbe essere un fenomeno da seguire, perché come per i blog qualche anno fa, rappresenta una nuova frontiera raggiunta per diffondere notizie e contenuti, e c’è da giurarci che fra un po’ di tempo anche fra i videoblog si creeranno degli spazi di espressione per gli universi personali. Intanto il processo di mediamorfosi e di rimediazione fra vecchi e nuovi media procede, come dimostra la nascita della Blog TV.

sabato 23 aprile 2005

Infinito e cinema

Il 15 aprile, come qualcuno ricorderà, ho assistito alla conferenza tenuta da Paolo Fabbri presso la Biblioteca Ostiense della mia città, nell’ambito della rassegna di incontri Infiniti, che analizzano il tema dell’infinito dal punto di vista della filosofia, della scienza, dell’arte (vi rimando al sito delle Biblioteche di Roma per maggiori informazioni).

In particolare la conferenza della settimana scorsa, con il semiologo Paolo Fabbri, riguardava il tema Infinito e cinema, a partire dal film di Kubrick 2001: Odissea nello spazio, scritto con Arthur C. Clarke, che ne ha invece scritto il romanzo (che è nato insieme al film, da un precedente racconto di Clarke, La sentinella).

 

Su 2001:

 

La scelta di questo film da parte di Fabbri, grande appassionato di cinema, oltre che per i suoi studi sulla semiotica dell’arte e dei mass media, nasce, intanto, dalla notorietà del film, e poi dal fatto che questo film permette di parlare di “infinito” in una maniera originale.

Per quello che riguarda il film c’è da dire che è una pietra miliare della fantascienza ma più in generale per il cinema e per l’immaginario. La memoria di tutti, quando pensiamo a questo film, ci fa pensare subito a HAL 9000, il computer intelligente in grado di provare sentimenti, soprattutto di rabbia e frustrazione. Il tema del rapporto fra l’uomo e la macchina è quello più ampiamente discusso quando si parla questo di questo film, ma è anche il più superficiale, perché dentro 2001 c’è molto di più. Intanto il tema dell’ “odissea”: HAL è il ciclope (l’occhio rosso di HAL come quello di Poliremo) che non vuole far scappare Ulisse (Bowman, l’ultimo superstite di HAL: bow-man, l’uomo con l’arco, e Ulisse uccise i proci con il suo arco). Alla fine vince “Ulisse”, che toglie, letteralmente la memoria ad HAL.

È la conclusione la parte più straordinaria di questo film, quel viaggio nell’infinito da parte di Bowman, a velocità incredibile che lo porta di fronte al monolito sospeso nel nulla, che è quello a cui rimandava il monolito trovato all’inizio del film, che ha dato vita all’umanità, conferendogli l’intelligenza per maneggiare gli utensili, per costruire e per uccidere. Alla fine del suo viaggio Bowman arriva, dopo aver attraversato spazi infiniti, nel più finito dei luoghi immaginabili, una stanza, chiusa da quattro mura, in cui, grazie anche alla maestria della regia di Kubrick, il protagonista si vede di volta in volta più vecchio, attraversando in pochi secondi un arco di tempo infinito, fino a trovarsi di fronte al monolito da cui è iniziato tutto, e da cui rinizia tutto, dal “bambino delle stelle” (come lo ha chiamato Clarke), che sovrasta la Terra in una sfera di energia nello spazio.

 

In questo film c’è sempre un avanzamento dell’umanità. Intanto quello personale del protagonista, come descritto adesso; poi la nascita dell’umanità stessa, all’inizio del film, quando la scimmia diventa “uomo”, attraverso la tecnologia; e poi l’ultimo passaggio: il Baby Star rappresenta l’avanzamento dell’umanità verso l’infinito. Il ritorno di Ulisse a casa (la Terra), non è definitivo, ma, anzi, è l’inizio di un nuovo viaggio verso l’infinito.

Alcune caratteristiche principali si possono individuare a proposito di questo film. La circolarità: è un film costruito sull’immagine dell’occhio, ogni cosa è rotonda e tutto si muove circolarmente (i pianeti, le astronavi, l’osso scagliato in cielo dalla scimmia). La dilatazione temporale: il tempo non è lineare, ma ci sono salti continui, accelerazioni vertiginose, che corrispondono a mutazioni antropologiche dell’uomo; non c’è una unica natura umana, ma vediamo l’uomo trasformarsi fin dall’inizio della storia dell’umanità fino alla nascita del bambino delle stelle.

C’è da dire che Kubrick e Clarke avevano inteso diversamente il ruolo e la natura del monolito, e quindi il senso stesso del film. Clarke parla di “stargate”, di porta che conduce agli dei, ad un altro mondo che fa parte però di un altro universo; gli dei prima erano parte dell’universo materiale, poi hanno raggiunto un livello superiore di conoscenza fino a diventare il monolito. Kubrick intende invece il monolito come una entità che interagisce con la realtà circostante e la trasforma, e trasforma il mondo tutto circolare (si noti il contrasto con la forma di parallelepipedo del monolito), e l’uomo.

 

Sul tema dell’infinito:

 

Da qui, Paolo Fabbri fa partire tutta una serie di considerazioni e di suggestioni. Finito ed infinito si sono sempre presupposti a vicenda: l’infinito è il termine positivo, mentre il finito si definisce in negativo, come l’opposto dell’infinito. E Fabbri mostra ciò attraverso alcuni paradossi classici della filosofica greca (come quello di Achille e la tartaruga) o miti, come il mito del Tartaro. Il Tartaro è il luogo del caos, apeiròn (non ho studiato greco, mi perdoni chi lo conosce), è aporia, assenza di percorso: il Tartaro è ciò che non ha direzione. I greci intendevano l’infinità come percorso, come l’infinita percorribilità di un luogo che magari è finito ma non avendo forma non dà punti di riferimento, non da legami cui aggrapparsi. Non è l’infinito che contiene il finito ma piuttosto il contrario: è nel finito che si definisce qualcosa di infinito quando non si ha direzione e ogni movimento è un movimento nel nulla perché non si sa dove si va. In uno spazio pienamente infinito non ci si può muovere: l’infinità diventa un laccio.

Per quello che riguarda lo spazio ed il tempo, definire l’infinito è solo un problema di misura, come ha mostrato la scienza, dove c’è l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.

 

Un altro aspetto evidenziato da Fabbri, che riguarda propriamente il suo campo, è che nel linguaggio “l’infinito” è la forma verbale che non pone limitazioni. Quando coniughiamo l’infinito o lo sostantiviamo diamo un tempo all’infinito: quando diamo un soggetto ai nostri discorsi, e quindi definiamo uno spazio ed un tempo, il tempo linguistico diventa finito. È il soggetto che pone fine all’infinito: ciò che è infinito lo è solo finche non troviamo questo limite.

 

In 2001, la questione fondamentale non è la distanza percorsa nell’universo ma il tempo, il percorso del tempo, non quello che compie materialmente l’astronave, è infinito, o indefinito. Non si può pensare una forma dell’infinito (che è Tartaro, non ha forma), senza che ci sia un soggetto che si collochi in un tempo finito. Accentuare il tema del tempo fa sì che in 2001 ci si ponga il problema di come evolverà l’uomo: in realtà viviamo una paradossale immortalità, in un dato tempo e in dato spazio siamo immortali (io sono… sono ora e per sempre, se potessi guardarmi indietro all’istante in cui l’ho pronunciato sono sempre lì). Essere. L’atto del linguaggio è ciò che ci permette di pensare l’infinito, perché il linguaggio è ciò che ci fa fissare un tempo.

Kubrick ha posto questo problema dell’infinito facendolo sfociare in una trascendenza. La mistica, quale che sia il credo, fa risalire tutte le cose a un Dio. In 2001 piuttosto sembra porsi una tematica differente, esattamente contraria: e se Dio apparisse soltanto alla fine? Quindi, l’entità non è nelle cose, ma nello svolgersi delle cose? È una metafisica estrema: il senso delle cose si capisce soltanto alla fine, non risalendo all’inizio.

In conclusione, usando le parole di Fabbri, “però, non abbiamo deciso niente sull’infinito”.

 

Questo è il resoconto molto dettagliato (pure troppo) della bella conferenza cui ho partecipato, e mi sa che ben poca gente sarà arrivata fino in fondo a questo post. Alla fine ho fatto anche una bella domanda articolata al professor Fabbri, anche se più che una domanda era una serie di considerazioni a partire un po’ da quanto detto e un po’ dal mio bagaglio di conoscenze legate all’area di studi di Fabbri stesso; considerazioni che forse è meglio risparmiarvi, se non per quello che riguarda una generica riflessione sulla conoscenza e la cultura: finite o infinite? Secondo me tutte e due allo stesso tempo; e finito e infinito è il modo stesso di leggere la realtà, e di conoscere, che noi stessi mettiamo in moto ogni giorno, perché cerchiamo sempre di rispondere a domande che sono “inifinite”. Naturalmente è inutile dirvi che oltre ai miei studi di semiotica ci ho messo dentro pure Philip K. Dick (e film come Blade Runner e Existenz), e il Calvino di Se una notte d’inverno un viaggiatore.

I prossimi appuntamenti con questa serie di conferenze sono il 28 aprile (Biblioteca Borromeo, ore 18:30), Infinito e spazio nel pensiero ebraico, e il 18 maggio (Sala Raffello, ore 17), Infinito e Universo (quest’ultima tenuta da Margherita Hack).

venerdì 22 aprile 2005

Un calzolaio per tutti!

Voglio Zapatero! Voglio un Calzolaio anche in Italia! La notizia dell'approvazione da parte della Camera spagnola (manca ancora un passaggio parlamentare) dei matrimoni gay, notizia che potete trovare qui, la dice lunga su come dovrebbe essere uno Stato. Uno Stato che sia davvero laico, uno Stato che non discrimini le persone per le loro preferenze sessuali, razziali, di condizione economica e culturale, e anche religiosa, perché io non ho niente contro chi professa una fede, ma chi la professa lasci in pace me. Magari questa dei matrimoni gay non sarà una soluzione, però è un passo verso una laicità dello Stato che significa libertà di scelta, libertà di vivere senza discriminazioni, libertà di godere degli stessi diritti per tutti.


Questo è il "liberalismo" che vorrei. Solo che qui in Italia anche la sinistra ha paura del papa... Forse l'approvazione del matrimonio sarebbe troppo, ma si potrebbe discutere sul riconoscimento delle coppie di fatto, anche uomo e donna, ovvio, perché questo è un altro problema non da poco nel nostro Paese. Nessuno dice tutti si debbano riconoscere in questi valori, ognuno è libero di credere nei principi che ritiene giusti, e proprio per questo si rispetti anche una morale non cattolica. Libertà dei diritti e dei valori, please.

giovedì 21 aprile 2005

Das Kapital

"Il capitale elimina le sfumature di una cultura. Investimenti esteri, mercati globali, acquisizioni societarie, il flusso di informazioni dei media transnazionali, l'influenza attenuante del denaro elettronico e del sesso virtuale, denaro mai passato di mano e sesso sicuro al computer, la convergenza del desiderio dei consumatori - non che la gente voglia le stesse cose, necessarimente, ma vuole la stessa gamma di possibilità di scelta".


Don DeLillo - Underworld

mercoledì 20 aprile 2005

ora aspetto la mia fumata bianca

Sapete, dicono che hanno fatto un papa nuovo. Avete sentito qualcosa?

Intanto io aspetto la mia di fumata bianca, che ancora non so quando sarà. Poi dopo la fumata bianca non sarò papa, ma almeno mi sarò tolto un peso.

Che ho finito la tesi lo sapete. Entro di più in dettaglio: l’ho finita precisamente venerdì scorso, poi ho passato sabato e domenica davanti al pc a leggere e rileggere, e correggere quello che c’era da correggere. Lunedì mattina ho portato la tesi stampata casarecciamente alla correlatrice e così ho finito le pratiche burocratiche. Ieri ho portato la tesi a rilegare: magari dentro ci ho scritto un sacco di cazzate, però la copertina sarà proprio carina, in formato A5; ho scelto un bel colore arancione (che poi ho notato essere molto vicino a quello della collana di semiotica della Bompiani, e visto che di semiotica ce ne ho messa tanta nella mia tesi non vorrei che sembrasse l’abbia scelto per quello…) e ho trovato una immagine che magari non a tutti piacerà ma che invece ho trovato molto adatta rispetto alla mia tesi, cercavo proprio qualcosa del genere. È un’opera di Folon, non so se sia un quadro, una stampa o che altro. Ma queste frecce che partono da un centro e si diffondono si accordano bene a quel senso di “significati” che si diffondono all’interno del Web.

 

 


 

E poi, nella quarta di copertina ci metto quest’altra immagine qua, specificamente legata al Web Semantico.

 

 


 

Insomma, secondo me sarà bella da vedere la mia tesi, da leggere, beh, non lo so. Spero che la correlatrice aspetti ancora qualche giorno a leggere la mia tesi e aspetti che le porti la versione finale, non solo perché è più bella ma anche perché ho già trovato alcuni errori e cosette da correggere (se la rileggessi per dieci volte probabilmente continuerei a trovarne mi sa).

 

Ora devo preparare la discussione, che durerà cinque minuti sì e no, visto che siamo circa 600 a laurearci in questa sessione. Ma si può campare così? Se mi fossi laureato prima forse avrei avuto meno concorrenza… Domani vado a rompere un altro po’ le palle all’assistente per farmi dare qualche consiglio per la discussione.

 

E poi? e poi restano i ringraziamenti. È presto ma visto che voglio esagerare ecco cosa ci ho messo fra i ringraziamenti alla fine della tesi:

 

… Poi grazie anche a tutti gli amici blogger, nessuno escluso, che nel mio mondo immaginario hanno ascoltato i miei sfoghi…

 

Grazie a tutti quelli che su questo blog hanno letto delle mie paure e insicurezze e mi hanno sempre incitato. Nella tesi non potevo fare un elenco esaustivo, quindi lo faccio qui, perché in particolare un grazie va (in ordine sparso) a Zakynthos, a Ily Noire, a Sophie à Part, al Militante, a Crazybabygirl, a Contrasti sonori, che negli ultimi mesi sono stati quelli che più di tutti mi hanno spinto. Se ho dimenticato qualcuno di importante, fatemelo sapere…

Poi, c’è chi già lo sa che l’ho ringraziato.

 

sabato 16 aprile 2005

In questi giorni sono stato poco da queste parti, ma sapete com'è, ho avuto da fare. HO FINITO LA TESI!


Ho finito la teeeeeeeeeesiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii


Capito? Ora devo rileggere e rileggere ma il più è fatto!

mercoledì 13 aprile 2005

Vi segnalo due appuntamenti culturali che si terranno nei prossimi giorni a Roma all’interno della

manifestazione “Infiniti. Infiniti incontri e conversazioni in biblioteca su scienza filosofia e arte”, 12 incontri, che sono iniziati a ottobre, tenuti dalla Biblioteche di Roma.

 

14 aprile, ore 17, Biblioteca Penazzato, Infinito ed Escher: l’artista grafico olandese M. C. Escher ha avuto un modo tutto suo di indagare la realtà attraverso strutture matematiche, realizzando molte incisioni in cui si cerca di rintracciare e rappresentare l’infinito (dalla brochure dell’iniziativa), con Michele Emmer.

 

15 aprile, ore 17, Biblioteca Ostiense (vicino casa mia, credo che ci andrò), Infinito e cinema, l’infinito nel cinema a partire da 2001 Odissea nello spazio di Stanley Kubrick e Arthur C. Clarke, con Paolo Fabbri.

 

Questo secondo appuntamento in particolare non si può perdere: intanto perché è relativamente vicino a casa mia, e poi perché è tenuto da Fabbri, uno dei più importanti studiosi di semiotica italiani, nonché di mezzi di comunicazione. Insomma una personalità importante della cultura italiana. Comincio a pensare a una domanda intelligente visto che il tema applicato al cinema mi interessa… Penso di andare venerdì pomeriggio, sempre che impegni di forza maggiore non me lo impediscano. Magari con qualcuno ci incontriamo lì?

 

 

 

 

lunedì 11 aprile 2005

L'eterno splendore della mente senza macchie

Dopo qualche mese dall’uscita nelle sale, ora che è disponibile in home video, ho visto finalmente Eternal Sunshine of the Spotless Mind, nella versione italiana intitolato in modo da far rizzare i capelli, Se mi laci ti cancello.

 


 

Iniziamo dalle cose importanti: il film mi è piaciuto davvero tanto, e per questo ve ne parlo, per quanto molti lo avranno visto o ne avranno già sentito parlare (nei mesi scorsi ho notato che è stato un film molto commentato nei blog), anche perché ha ricevuto sempre delle belle critiche. E perché mi è piaciuto?

Intanto perché è un film profondamente dickiano, e non lo dico solo io che finisco spesso a leggere ogni cosa in chiave dickiana (ma lo hanno detto anche qui). È un film dickiano, entro certi limiti, perché è un film che proietta la vicenda all’interno della mente umana e i protagonisti affrontano un viaggio all’interno della mente umana, in un mondo e in una realtà assolutamente onirica, fatta di sogno e di ricordo. Ho detto i protagonisti, ma tecnicamente è solo Joel (Jim Carrey) che corre fra i suoi ricordi (nella forma del suo simulacro mentale) mentre Clementine (Kate Winslet) all’interno della mente di Joel la vediamo solo come “ricordo”.

 


 

La storia è semplice da raccontare: Joel è stato lasciato dalla sua ragazza, Clem, che ha deciso di dimenticarsi di lui sottoponendosi ad un trattamento dedicato alla cancellazione di particolari ricordi. Joel, quando scopre questo decide di fare anche lui il trattamento per dimenticarsi di Clem. Però non sarà così facile, perché i ricordi ci sono sempre, anche mentre li cancelliamo.

 


 

Non è un film romantico, non illudetevi, o forse lo è ma secondo registri stilistici e narrativi del tutto diversi, perché il centro del film non è se Joel e Clem si amano (lo sappiamo dall’inizio: non si dovrebbero amare più) ma la possibilità di agire sui propri ricordi, all’interno di un mondo simulacrale che esiste solo per noi che lo viviamo, e per i simulacri di cui lo abbiamo popolato. Perché qui è dickiano questo film: nella vividezza iperreale del mondo fittizio costruito da sogni e ricordi, che potrebbe essere perfino vero, in fondo chi vi dice con certezza quale sia la realtà? Joel e la Clem dei suoi ricordi corrono ed esplorano la mente del protagonista, spostandosi spazialmente e temporalmente sull’onda dei pensieri e dei ricordi.

 


 

Non vi dico come finisce, perché sembra brutto, però un appunto lo faccio, e spiego pure perché il film è dickiano solo entro certi limiti: per quanto la sceneggiatura e la regia del film siano tali da garantire un senso di straniamento nello spettatore, che si pone alcune domande circa quello che sta vedendo, alla fine le domande hanno tutte le loro risposte, mentre PkD è lo scrittore dei punti interrogativi rimasti in sospeso. In questo film accade che alla fine realtà e sogno non si confondano in maniera definitiva ma rimangano comunque in qualche modo distinte, pur influenzandosi.

 

Comunque è un film buono, davvero, credetemi se ancora non lo avete visto. È uno dei film migliori che abbia visto da parecchio tempo, e non solo perché proietta lo spettatore in un piccolo universo dickiano. La sceneggiatura di Charlie Kauffaman (noto per aver firmato film come Essere John Malkovich, Magnolia e Confessioni di una mente pericolosa) è ben calibrata, crea suspence, oltre che emozionare lo spettatore dietro i ricordi di Joel; la regia di Michel Gondry è buona, senza particolari salti, però è molto attenta allo spirito del film, con molti primi piani e molti piccoli movimenti di macchina, ma a volte anche bruschi (piccoli perché il film si svolge in uno spazio chiuso, quello dei ricordi: mi piace leggerla così); e di conseguenza anche il montaggio e la fotografia (che gioca molto sui colori, sui chiari e sugli scuri, sui contrasti, sui giochi di luce) contribuiscono a creare quel senso di straniamento di cui si diceva.

E poi il cast, buono ma che si avvale di due protagonisti d’eccezione. La Winslet, funziona ed è brava, altro che Titanic. E Carrey, beh, a lui dovrebbero fare un monumento perché è ciò che tiene in piedi davvero il film, che forse con un altro attore sarebbe stato meno piacevole. Questo film è uno di quei casi, rari, in cui l’attore pesa davvero nella sua riuscita complessiva; perché Carrey è a mio avviso, e non da oggi (se avete visto Truman Show e Man on the Moon forse sarete d’accordo con me), uno dei migliori attori del cinema americano, capace di interpretare veramente qualsiasi ruolo.

 

domenica 10 aprile 2005

Underworld, di Don DeLillo

Ecco qua la recensione di Underworld, probabilmente il romanzo più importante di Don DeLillo e, azzardo io, uno dei più importanti della letteratura degli ultimi decenni. Sinceramente mi sento di dire che questo è uno dei libri più belli che abbia mai letto, uno di quei libri che lasciano sempre qualcosa dentro, una volta che si è deciso di affrontarli.

E bisogna decidere di affrontarlo questo libro, non solo per le 880 pagine che potrebbero un po’ intimorire, ma anche per la sostanza del libro che proietta il lettore in una realtà non facilmente definibile, un sottomondo, un underworld, appunto, che in realtà è il nostro mondo, in cui viviamo, e il cui significato spesso ci sfugge. Questo libro fornisce delle coordinate di interpretazione, una chiave di lettura e spiegazione per gli ultimi decenni della storia non solo americana ma occidentale in genere.

 

Volendo descrivere ciò di cui parla questo libro sì è assaliti da tanti dubbi. Cosa racconta, la storia della palla da baseball di una famosa partita, che passa di mano in mano? La storia di un uomo e della sua famiglia, fra la povertà nel Bronx all’ascesa morale prima che sociale? Le contraddizioni dell’America, bianca e nera? Vuole raccontare alcuni momenti topici della storia americana, attraverso personaggi famosi, come J. Edgar Hoover, e del tutto sconosciuti e di finzione? L’evoluzione sociale e tecnologica che produce, rifiuti, rifiuti, e ancora rifiuti? La guerra fredda e il post-comunismo?

 

Tantissimi sono i temi affrontati in questo libro che non ha una forma lineare ma procede a salti, principalmente a ritroso nel tempo, scavando nel passato dei personaggi, alla scoperta di tutto ciò che ha creato le loro personalità, che li ha fatti diventare ciò che sono. Il libro è strutturato come un romanzo corale, in cui ogni personaggio si ritaglia il proprio ruolo, e magari sfiora soltanto gli altri attraverso il risultato delle proprie azioni. Quindi le varie vicende si svolgono per flash, inizialmente tutte scollegate le une dalle altre, e poi, man mano che si procede all’indietro, tutto torna e va ad incastrarsi.

E le vicende dei singoli personaggi, uomini e donne alla ricerca del senso della propria vita, si svolgono con sullo sfondo la storia che va avanti, o indietro, è anche questa la magia di questo libro.

Allora ecco l’uomo maturo, manager affermato che ha seguito però un percorso tutto suo per la sua crescita personale, e di cui vedremo più avanti anche la giovinezza; il fratello dalla grande intelligenza ma fragile; l’artista che prima di essere famosa era qualcos’altro e viveva tutta un’altra vita; madri e figli, fratelli e sorelle; le varie etnie che compongono il melting pot americano, con un occhio di riguardo alla comunità italo-americana; la personalità confusa e complessa di un uomo tutto di un pezzo come Edgar Hoover; oppure lo sguardo sulla realtà del comico Lenny Bruce. E poi pezzi della nostra cultura che acquisiscono e conferiscono a loro volta significato: quadri, musiche, programmi tv, avvenimenti storici; tutto ciò che rappresenta l’icona della civiltà moderna, in cui si racchiudono dei pezzi di storia, di cultura, di società: una palla da baseball, una massa di rifiuti, vecchi aerei da bombardamento, grattacieli svettanti in cielo.

 

Ogni pezzo del puzzle contribuisce a formare uno schema di senso al secolo appena trascorso, ma non solo, alle stesse vite dei personaggi, ma forse anche delle nostre. DeLillo cerca di spiegare alcuni aspetti della nostra società, caratterizzata principalmente dall’evoluzione sociale e tecnologica, che in parte corrisponde all’evoluzione dei personaggi, nel bene e nel male.

Il mondo, la realtà, è un grande schema in cui tutto è collegato, è questo il senso, e il collegamento si fa sempre più forte (e allo stesso tempo invisibile, trasparente) man mano che si va avanti, man mano che le nostre vite diventano legate alle macchine, ai mass-media, ai rifiuti prodotti dalla nostra civiltà, a cominciare da quelli nucleari. Ma i rifiuti della nostra civiltà vengono anche riutilizzati, in maniera quasi catartica per i guasti di questa epoca, nell’arte moderna, che ridà significato a ciò che viviamo, e che acquista essa stessa significato solo in funzione del contesto storico e culturale.

Underworld è la costruzione di un grande contesto, di una grande cornice in cui inserire alcuni pezzi della nostra realtà.

Significativa, e fondamentale, è una sequenza al centro del romanzo, che coincide con la proiezione al pubblico di un film inedito di Ejsenstein, Unterwelt, Underworld, per l’appunto, in cui tutta una variegata realtà tenuta nascosta viene mostrata al mondo.

E come quel film, questo libro mostra al lettore tante cose, che magari già conosce, o di cui ha sentito parlare, però le colloca in un contesto, gli dà una sostanza e un peso maggiore, attraverso le sfumature delle vite inventate e di quelle vere. Questo fa il libro di DeLillo: ri-media la realtà moderna, la storia, la cultura, la società, le tecnologie, per parlare, dall’inizio alla fine, sempre e comunque dell’essere umano, nelle sue mille sfaccetature, indagandone sentimenti, pulsioni e desideri.

 

Leggere questo libro è qualcosa che lascia un segno, e difficilmente dopo non si acquisterà un nuovo occhio sul mondo, alla ricerca dell’underworld, di cui tutti facciamo parte.

 

 

venerdì 8 aprile 2005

Avrò fantasia?

Ho lo zaino sulle spalle, e sto orientando la mia testa per uscire dal labirinto, al fine di ritrovare la diritta via. Voglio intraprendere il mio folle volo, voglio ma non allo stesso tempo vorrei ritrarmi, vorrei fare un passo indietro, soprattutto vorrei far tornare indietro il tempo, per comportarmi diversamente e ritornare sui miei passi. Osservarmi e osservare tutto ciò che ho fatto e soprattutto non ho fatto, e cambiare anche soltanto quel granello di polvere che ha inceppato un ingranaggio, pronunciare anche soltanto una parola differente, ma che dico una parola, una virgola basterebbe. Cambiare la punteggiatura può cambiare completamente il senso delle cose.

 

Mi piace riflettere, mi piace pensare, mi piace far correre la fantasia. La mia fantasia si esplica nella mia testa, e allora immagino, come sempre. Immagino di potercela fare, immagino che forse non ce la faccio. Il mio problema è che cerco di guardare sempre tutti gli aspetti e tutte le prospettive, e probabilmente sono troppo razionale, nel senso che chiedo troppo alla mia ragione. E allora alla mia ragione dovrei chiedere solo uno sforzo supplementare a terminare una fase importante della mia vita, per poter poi dedicare ad altro, per poter poi iniziare qualcosa di nuovo. Ci vuole ragione, pensiero, ma anche fantasia e immaginazione. La fantasia e l’immaginazione si manifestano sempre, perché basta pensare per scatenare l’immaginazione.

 

Più ci penso e più credo che ci voglia immaginazione per muoversi. Senza far muovere prima il cervello, lasciandogli le briglie sciolte, non ci muoviamo neanche noi, neanche le nostre vite. Mi avvicino sempre di più ad un momento importante della mia vita, e il tempo stringe, e devo sforzarmi di non perdere quest’ultimo treno. Devo provarci e basta, ormai non posso più tirarmi indietro, devo scappare dal dubbio, dal dover scegliere fra bianco e nero, si o no, vero o falso, perché tutto è relativo e tutto può essere l’una e l’altra cosa. Nessuno ci darà mai la certezza che il mondo, il fenomeno, è quello che vediamo davanti agli occhi, anche quelli della mente.

E allora bisogna aspettare, ma aspettare muovendosi senza stare fermi. Troppo fermo sono stato di fronte ai dubbi. Superare i dubbi con la fantasia, perché la fantasia è importante, e va coltivata.

 

Non so niente, ma ho fantasia da vendere, tanta sufficiente per finire quello che ho intrapreso troppo tempo fa. Dico fantasia perché dovrò lavorare di fantasia, per finire, e per iniziare poi tante cose nuove. Dico fantasia perché solo se c’è fantasia c’è progresso.

 

Strane riflessioni queste che ho fatto, che mi ha ispirato il post di una mia amica. Ma non ho copiato giuro. Mi sono messo davanti al pc che volevo scrivere di altro, ma il cervello si sa che segue strade tutte sue se mi metto a pensare (e a usare la fantasia…).Volevo scrivere di come devo finire assolutamente la tesi in meno di una settimana: devo scrivere una conclusione degna sia dell’ultimo capitolo che di tutta la tesi, oltre che l’introduzione, ancora; volevo scrivere che sono usciti i correlatori e forse mi ha detto bene, non saprei; volevo scrivere che sono stato un cretino a perdere tanto tempo e ad essermi ridotto con i giorni contati, e per di più non so nemmeno cosa scrivere. Sono in una settimana importante nella mia vita, che dovrò sfruttare per ogni secondo, e per ogni istante; anche se posso sentire sconforto, devo andare avanti. In questi giorni potrò vedere veramente chi sono. E se ho fantasia sufficiente. Anche se ho paura, tanta.

mercoledì 6 aprile 2005

Offerta speciale: 2 post in uno

Due post in uno, per tutti i gusti, non si sa mai che così non accontenti di più la vostra fame di leggere i miei post...

 

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Ci sono volte che ti guardi a destra e a sinistra, e sei spaurito, non sai dove andare. Cazzo, hai sbagliato strada, torna indietro. Ma in questo fottuto labirinto non riesco più a raccapezzarmici. Eppure una volta sembrava che la conoscessi la strada, che avessi una piantina, una bussola e un gomitolo di filo da srotolare per non perdermi e puntare dritto alla meta. Ora qualcuno invece si è fregato mappa, bussola e gomitolo e giro, giro, giro…

 

Però ci provo, ho capito che è meglio girare sperando che basti alzare gli occhi al cielo e orientarsi con le stelle per ritrovare la diritta via. Non credo di essere arrivato nel mezzo del cammino per la diritta via l’ho smarrita.

Ora di fronte a me ho un bivio, e so bene che qualunque direzione prenderò troverò tre fiere ad aspettarmi. Ma le supererò, a forza di spallate, pugni, cazzotti o forse solo con un soffio di fiato, e poi intraprenderò il cammino vero, perché finora il fottuto labirinto in cui mi sono cacciato in realtà non esiste. Ci sono dentro con la testa, è solo quella la mia mappa e la mia bussola: se la oriento nella direzione giusta mettetevi paura, perché non ce ne sarà più per nessuno, e il Minotauro me lo mangio a colazione, io!

 

Devo intraprendere il mio folle volo, perché solo se decido di partire posso uscire; non è una soluzione decidere di fermarsi in attesa della stella cometa. E se non arrivasse mai la stella cometa? Meglio mettersi il sacco in spalla, alla caccia di un senso e di una direzione. Senso per cosa, poi, non lo so, lo scopriremo un pezzo per volta; per quanto riguarda la direzione, beh, quella è ancora più incerta.

Ma sapete come io dubiti della realtà stessa in cui vivo, quindi non aspettatevi troppa coerenza dai miei discorsi. Non so nemmeno se questo poi lo stia facendo io.

 

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Ecco, ora ho delirato, chissà che non perda quei pochi lettori che mi sono rimasti. Intanto nel mondo che succede? Non lo so, sembra impazzito il mondo, e forse la confusione della mia testa non è niente a confronto di quello che succede. Fra tutte le morti di questi giorni spero che qualcuno si sia accorto di quella di Saul Bellow, grande scrittore americano, nobel nel 1976, una delle voci più importanti della cultura mondiale, che ha realizzato nei suoi libri una grande commedia umana moderna, mettendo in vetrina e mostrando al mondo molte delle contraddizioni della società contemporanea, dalla politica fino alla cultura di massa. Di Bellow ho letto soltanto Herzog, un libro importante, difficile, che impegna a fondo e che non ho compreso del tutto, ma comunque bello.

Poi c’è ancora l’onda anomala delle elezioni regionali, che hanno ridisegnato la cartina politica del paese. È incredibile, chiunque sento sembra essere più ottimista, guardare meglio al mondo. Chissà se sia più terapeutico pensare positivo al futuro (in questo caso del paese) o vedere Berlusconi apparire in tv  e farfugliare sempre le solite baggianate, per una volta smentendo la fama di grande comunicatore, perché sfido chiunque a dire che l’altra sera in tv abbia fatto arrivare un qualche messaggio agli elettori, perché a parte la solita storia dei comunisti che sono dappertutto e che lui è il migliore dell’universo non mi sembra che abbia detto altro.

Però noto che viviamo in un paese letteralmente spaccato in due, e non intendo politicamente (perché pare che non sia più così spaccato, caspita!) quanto piuttosto culturalmente e socialmente. Da una parte c’è chi parla delle ultime elezioni e dall’altra chi se preoccupa del papa; sono due modi diversi di vedere il mondo, non saprei dire. Quanto al papa e al fiume di gente che ha invaso la mia città, beh, rimango a bocca aperta, e non per la manifestazione di fede, ma il clima di euforia collettiva che si è creato, che non era mai avvenuto in passato. Roba da riesumare la psicologia delle folle di inizio 900: non riesco a spiegarmi questa follia del fiume di gente accorsa a Roma se non come il risultato dell’incredibile esposizione mediatica che la morte del papa ha avuto, che ha formato una sorta di spirale che risucchia tutti quelli che la sfiorano, e quindi bisogna partecipare per dire di averlo fatto, perché guai a non dimostrare di essersi commossi e di aver fatto il proprio dovere, perché diventa un dovere, e non un sentire religioso (per esempio quelli che scattano le foto alla salma del papa: così pregate?). Ma se siete tutti così religiosi, non potete recitare il rosario a casa?

Intanto a Roma non si può girare, visto che il centro è invaso, e non oso neanche immedesimarmi in chi vive vicino San Pietro. Liberate la mia città!

 

martedì 5 aprile 2005

Berlusconi a Ballarò

Oggi pomeriggio Berlusconi commentando il voto che ha visto prevalere nettamente il centro-sinistra ha detto che se governasse L’Unione «con loro avremo un regime vendicativo e giustizialista mascherato di legalità». Si vede che la sconfitta brucia e stanno perdendo la testa: si è dimenticato di usare la parola comunista.

 

Intanto per la prima volta dopo anni Berlusconi è presente in una trasmissione tv diversa da Porta a Porta, con la presenza, per di più, di esponenti politici dell’altro campo (D’Alema e Rutelli, per inciso). Stasera su Ballarò si sta verificando un evento politico e televisivo che lascia a bocca aperta: se Berlusconi va a mettere la sua faccia per parlare del risultato elettorale significa che sono alla frutta o che invece stanno facendo partire la controffensiva?

 

Intanto il bravo e simpatico Giovanni Floris è eccitato come un bambino che va per la prima volta alle giostre. Si è così calato nella parte del “Santoro” che ha chiesto a Berlusconi (che si è vantato di conoscere la costituzione a memoria) che lo ha stuzzicato chiedendogli se ricorda l’articolo 21 (libertà di espressione e di stampa, per capirci). Stasera tifo decisamente per Floris.

Un altro passo...

Ok, un altro passo è fatto. Ora ci vuole il più grosso, ma anche il più difficile, non cantiamo vittoria troppo presto, il cavaliere nero ha mille vite...



Ora non si può fare altro che sperare che resti questa unità fra le forze dell'Unione, e non solo contro Berlusconi. A un anno dalle elezioni è ora di parlare di un progetto per governare il Paese al posto dell'attuale maggioranza, sperando che sia un progetto di sinistra, visto che le elezioni della Puglia hanno dimostrato che non bisogna avere paura dei comunisti, e che si può vincere anche con loro. Da qui in avanti invece di discutere di primarie, di alleanze e cavolate varie si cominci a parlare ai cittadini di come si vuole governare l'Italia a partire dal 2006. Un capitale politico e sociale come quello raccolto in queste regionali non va buttato al vento, e questo penso che lo capiscano tutti, dai moderati della Margherita fino a quelli di Rifondazione (anche quando non d'accordo con quest'alleanza)

lunedì 4 aprile 2005

Quel gran circo mediatico intorno al papa

Non vorrei parlare del papa, e cercherò di farlo il meno possibile anche ora. Non vorrei parlarne perché sono tante le cose da dire, gli aspetti da sviscerare, che non sarei in grado, in poche righe, di fare un ritratto esauriente del personaggio e del suo ruolo, e delle contraddizioni che tutti sembrano aver dimenticato in questi giorni. Quindi, per saperne di più leggete qualche buon quotidiano e per il futuro affidatevi alle analisi di storici, politologi, esperti di politica internazionale, filosofi e, perché no, anche religiosi vari.

Io poi sono pochissimo indicato, non essendo religioso, anzi. Però ammetto di averci pensato in questi giorni a tutto ciò che è avvenuto e a quello che ha fatto, e ho le mie idee sulla religione e sul papato. Dico fin da subito che quello che ho da dire ora non tratta di fede e religione, perché sono cose che attengono alla morale di ognuno. Se dico qualcosa che qualcuno non gradisce, sappia subito che rispetto la sua fede, e che era mia intenzione parlare solo di quelle poche cose che seguono. Niente di più, e non tornerò più sull’argomento.

 

In questi ultimi tre giorni c’è stato da dire, si è detto tanto, si è mostrato tanto ma in realtà non si è detto niente, e non si è mostrato niente. Ore e ore di dirette televisive, a parlare sempre delle stesse cose, degli stessi argomenti, gli stessi commenti e spesso da parte delle stesse persone. Un appiattimento delle idee e delle opinioni che è sembrato fatto apposta per confondere e per evitare di parlare di molto di più che del rapporto con i giovani di Giovanni Paolo II (se ne è parlato fino allo sfinimento); del comunismo che è caduto grazie al papa (cosa che è veramente solo propaganda, scusatemi: ma ci sarà stato pure qualche altro fattore, storico, politico, economico, militare, culturale e sociale); del culto mariano; le immagini dell’attentato dell’81; e quello che avete visto e sentito tutti.

Giusto che se ne parlasse, giusto che le tv e i giornali dedichino tutto questo spazio all’avvenimento della morte del papa, ci mancherebbe altro. Anche se sono agnostico e quasi ateo, sarebbe stupido e riduttivo non riconoscere l’importanza del personaggio, sotto tanti aspetti, e non riconoscerne la statura morale.

 

Quello che mi preme sottolineare è però che c’è stata una marmellata mediatica, fatta soprattutto di ipocrisia, per cui non si è andati a scavare gli aspetti più contraddittori di questo papato, come il conservatorismo per tutto quello che riguarda l’autorità della Chiesa e la dottrina cattolica.

Questo è stato il primo papa populista (e uso questo termine in senso positivo), che ha capito l’importanza dei media e della sua stessa esposizione mediatica, per i suoi fini pastorali, e anche politici. Un papa che ha trasmesso un gran messaggio di unità fra i popoli e le religioni, di pace, e non si può pretendere che sia un papa a fermare le guerre.

Però come detto è stato anche un papa molto conservatore sul versante dottrinale; è stato un papa che si è opposto alle politiche contraccettive in Africa e nei paesi poveri del mondo, all’aborto, al divorzio, all’eutanasia (ok, non troverete mai un cattolico che si dica favorevole su queste cose, e infatti non voglio discutere di ciò), ma che in generale in questo conservatorismo ha tentato di rinsaldare una morale cattolica che la secolarizzazione delle nostre società fa sì che tutti sentiamo sempre un po’ meno nostra.

 

Ma a parte questo, c’è un punto che mi spiace. Io sono cattolico solo formalmente, perché ho ricevuto tutti i sacramenti che dovevo ricevere, ma accetto e rispetto la fede degli altri. Mi irrita però l’ipocrisia. L’ipocrisia di non dire tutto quello che c’era da dire da parte di lo fa di mestiere, perché la parola d’ordine è l’appiattimento mediatico per creare la commozione che tutti dovrebbero avere, e guai a non averne. L’ipocrisia di chi piange il papa e lo descrive come il faro della sua vita ma che magari della dottrina cattolica accetta solo ciò che fa comodo (quanti dei giovani del papa si stanno conservando vergini fino al matrimonio? Giusto per tirare fuori l’argomento più facile ed immediato. Sono populista pure io).

 

E poi, infine, l’ipocrisia di chi deve per forza fare ore e ore di trasmissione (o non farle, nel caso dello sport ieri, per esempio), perché sennò sai che polemiche? L’ipocrisia di mettere in piazza tante cose, di mischiare tutto in un bel calderone, e di non arricchire di una virgola quello che chiunque già sapeva. L’ipocrisia di portare in tv la bambina che il papa baciò prima del colpo di pistola di Agca, o un maestro di sci che aveva sciato con lui (indovinate che programma? Ma la terza camera di questo paese, Porta a Porta, naturalmente), o ancora qualsiasi personaggio che potesse averci scambiato qualche battuta; e tutti a dire come lo avevano conosciuto, quando, che impressione gli aveva fatto, l’influenza sulla propria vita, ecc. Tutti a parlare del papa, ma prima di tutto pronti a mettersi in mostra.

E da questo minestrone cosa ne è uscito fuori? Niente, quello che già sapevamo. Tutto questo parlare, tutte queste immagini di repertorio sono servite e serviranno solo alla celebrazione di esequie mediatiche e alla istituzione di una sorta di culto personale intorno a questo grande personaggio, che proprio non merita di finire in questo polpettone.