Moebius

Moebius

venerdì 28 ottobre 2005

Il lato oscuro dell'anima

Immaginate una coppia. Lei ha subito uno stupro tremendo, lui la ama ma non riesce più a capirla, ad entrare in sintonia con lei dopo l'esperienza che ha subito, e mettetici pure che è un po' un cacasotto.
Immaginate una Chevrolet Impala del '66 nera (immaginatela perché io non lo so come è fatta una Impala), che sembra uscita dall'inferno, che fa venire i brividi a chi la guarda passare.
Immaginate un gruppo di ragazzi in viaggio per il Texas alla ricerca di Monty e Becky, la coppia di prima, per finire il lavoro lasciato a metà qualche mese prima e per vendicare il loro capo.




Questi tre elementi riempiono le pagine de Il lato oscuro dell'anima (The Nightrunners) di Joe R. Lansdale, libro del 1987 pubblicato da poco qui da noi, e che, come In fondo alla palude, mi sono fatto autografare dall'autore. Questo libro di Lansdale entra, e scusate la scarsa originalità, nel lato oscuro dell'anima in cui possiamo trovare la cattiveria ed il male assoluto oppure misto ad adrenalina e a istinti primevi il coraggio per difendere la propria donna, clava in mano.
Questo thriller di Lansdale ha toni horror (o forse è un horror con toni thriller) e mette in mostra violenza e sangue prima di tutto, forse gli elementi base da cui nasce ogni emozione forte, almeno nel mondo malato che racconta lo scrittore texano. Un libro che risulta avvincente, che si lascia leggere bene, ma rispetto ad altre cose di Lansdale pecca un po' nella psicologia dei personaggi (per certi aspetti abbastanza stereotipata) e che nello svolgimento della vicenda è un pochino prevedibile. Se vi piace il genere, però, lo troverete di vostro gusto, perché la piccola critica non intacca il piacere della lettura di un libro di quello che è un ottimo scrittore (e un grande artigiano che sa plasmare alla perfezione certi elementi: per esempio la struttura a flash-back del romanzo tiene comunque vivo l'interesse e la curiosità).

giovedì 27 ottobre 2005

Gli strani percorsi offerti dai motori di ricerca

Ma come fa la gente a finire sul mio blog? Passi quelli che cercano "immaginaria" o "immaginaria splinder" (evidentemente la fama di questo blog supera gli oceani), philip dick (sempre assetati di informazioni su PKD: chissà se sono rimasti delusi o se qualcuno ha pensato che Dick tenga un blog dall'aldilà). E ok chi cerca qualche libro che ho recensito come "Acqua luce e gas" di Matt Ruff oppure "la matrice spezzata" di Bruce Sterling, oppure informazioni sul Sandman di Neil Gaiman o della Trilogia Nikopol di Enki Bilal (e qui anche "divinità egizie Anubis") di cui ho parlato nei mesi scorsi.


Di fronte a "esposizioni universali" mi inchino: qualcuno cercava di farsi una cultura ed è finito sul mio post su Steamboy (chissà, magari lo ha trovato interessante, soprattutto la seconda parte, dove parlo delle grandi esposizioni). Così come "la sentinella" + Arthur Clarke: qualcuno è finito sul mio post dedicato alla conferenza di Paolo Fabbri su 2001: Odissea nello spazio. "Ringraziamenti fine tesi" so a quale post rimanda: mi chiedo se c'è chi vuole conoscere i ringraziamenti di fine tesi di tutti. Una nuova forma di feticismo?


A chiavi di ricerca come "bambola gonfiabile" capisco come siano finiti sul mio blog (c'è una racconto di Lansdale in proposito), però chissà come sarà rimasto deluso questo tipo quando non ha trovato un sito dove comprare una nuova bambola. Per non parlare di "spade laser", che manda alla recensione de "La vendetta dei Sith" o questo altro post.. Però alcune stringhe mi fanno riflettere seriamente sul funzionamento dei motori di ricerca (che infatti vanno superati, come ho scritto nella tesi).


"Disintossicarsi dagli psicofarmaci", "immagini giardinieri strane", "influenza della telecronaca sull'uomo" (gli interessi di cerca gente sono proprio strani: che influenza potrebbe avere avuto Bruno Pizzul nella mia vita?), "significato della parola gufare", "tutto sul nazismo", "porno tra uomini e bestie", "la 25a ora Spike Lee in culo", "mondiali 2005 danza orientale mosca" mi lasciano perplesso, sia sul perché per certe cose la gente finisca sul mio blog sia perché non voglio pensare a certi gusti proprio strani.

mercoledì 26 ottobre 2005

In the mood for love

Chow e Chan si incontrano come vicini di casa e vicini di una strana umanità, fatta di amici e di compagni intorno ai quali loro si muovono tenendosi ai margini, per una marginalità che è congenita, che discende dalle loro personalità, dalle loro storie.




Chow è un giornalista che tenta di scrivere un libro ed è sposato con una donna che non vediamo mai, sempre di spalle, sempre solo per qualche frammento, ne sentiamo la voce ma non ne traiamo niente, è come un fantasma, sappiamo solo che esiste. Chan è una bellissima donna, moglie di un uomo che per lavoro viaggia molto e sta settimane fuori di casa; un uomo che, anche lui, non vedremo mai per intero: ora una mano, un braccio, e ne sentiamo la voce.




La moglie e il marito di Chow e Chan, presenze invisibili nella vita dei coniugi, nella loro invisibilità non possono che incontrarsi e decidere di stare insieme. Chow e Chan sono attratti fra loro fin dall'inizio, dagli sguardi, dalla loro fisicità sempre presente sullo schermo, dalle loro vite incomplete accanto a persone invisibili, e da tutto ciò che di invisibile c'è nelle loro vite.




In the mood for love, di Wong Kar Wai, è il film che precede 2046, che racconta la storia di Chow prima che parta e che poi ritorni, dopo qualche anno, ad Hong Kong. E' un film sull'amore, ovvio, ma non su una storia d'amore; piuttosto sui segreti e sui sentimenti, sullo sfiorarsi di anime affini che sfuggono esse stesse al loro destino, perché gli uomini sono imperfetti e forse hanno paura di vivere i sentimenti o forse gli piace andare per direzioni diverse.

E' un film differente da 2046, che è del tutto onirico, fatto di flash back (che ora sappiamo dove mandano) e di viaggi nell'immaginazione; In the mood for love ci mostra la superficie della realtà, dietro cui sappiamo esserci dell'altro che non sappiamo spiegare se non con parole come caso, amore, tradimento, rassegnazione, levità dei sentimenti, incertezza, dubbi. Queste sono le parole che emergono nella mia mente. Due film diversi, questi due di Wong Kar Wai, ma che si completano fra loro, e forse, dal mio punto di vista, si spiegano meglio vedendo prima il secondo, 2046, che comunque mi è piaciuto un pochino di più (e ho amato tanto entrambi).

martedì 25 ottobre 2005

Chi è? ed un bel corteo

Un miliardario comincia ad acquistare tutte le televisioni e i giornali, che naturalmente iniziano a parlare bene di lui. Ora il popolo lo ama, e non può essere diversamente se la tv dice che è buono e che è un grand'uomo. Gli manca solo l'ingresso in politica. Chi è?

No, sbagliato, non è lui. Mica penso sempre a lui. Semplicemente è il signor Burns nell'episodio dei Simpson trasmesso ieri e che ho rivisto registrato oggi. Mi sembra attuale, no? Ci mancava solo che facevano entrare il signor Burns in politica.

Per il resto non ho grandi cose da raccontarvi, cari lettori che sicuramente ancora state sbadigliando davanti al punto interrogativo del post sotto. Una cosa curiosa che mi è capitata oggi però ve la accenno.
Andando al lavoro (ho l'ufficio in pieno centro) il tram si è fermato un bel pezzo lontano causa manifestazione e mi sono dovuto fare almeno un paio di chilometri a piedi (con pit-stop-gelato per recuperare le forze). Arrivato dalle parti del lavoro c'era tutta una moltitudine di studenti che protestavano contro la riforma Moratti: un sacco di colori, rosso e arancione soprattutto, e un bel po' di arcobaleno, musica, gente allegra. Mentre mi avvicino all'ufficio pensando che forse sarebbe da aggregarsi al corteo disordinato, con gente che va di qua e di là e poi si ricongiunge, ma poi c'è il lavoro e poi mi sono reso conto di essere fuori target: cazzo, tutti più giovani di me! Però ce n'erano anche più vecchi, per esempio un gruppo di assistenti e ricercatori della mia facoltà che ho incrociato ma che non mi ha visto, e non so se è stato un bene o male.

Vabbè, poco altro di interessante da raccontare. Torno a guardare Ballarò. Stasera parlano di 'ndrangheta, di Calabria, di Sud.


Aggiornamento mattutino: ho letto e visto solo ora che ieri poi ci sono stati scontri fra polizia e manifestanti davanti a Montecitorio. Ma si può? Sto giusto vedendo in tv che i giornali di oggi raccontano come alcune personalità della destra abbiano provocato direttamente i manifestanti (come La Russa, come la Santanchè, che ha mostrato un signorile dito medio ai manifestanti). Che schifo.

giovedì 20 ottobre 2005

Sono strano: solo per me scrivo sto post.

Sono un tipo strano. Sono una persona strana. Mi metto a riflettere e scopro che vorrei una vita diversa, a volte penso che vorrei la stessa, con qualche modifica.
Chissà quanta gente intorno a me pensa che sono strano, chissà cos'è strano e cos'è normale poi, che io non l'ho mai capito. Sono strano perché comincio a girare come una trottola, preso in un vortice e quando mi fermo tutto gira, e non capisco più niente.
Sono strano perché non sono soddisfatto di me, di quello che sono. A volte vorrei stare da un'altra parte, vorrei guardarmi da fuori, e capire cos'ho. A volte non vorrei nemmeno guardarmi, a volte vorrei sparire. A volte vorrei avere tutti intorno, a volte vorrei stare solo sulla Terra. A volte vorrei essere al centro dell'attenzione con i riflettori e le telecamere puntate addosso a me, 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e diventare l'attrazione. A volte vorrei camuffarmi e non farmi riconoscere.
A volte vorrei una telefonata, per sentirmi dire "ehi, come stai?", altre volte sfascerei tutti i telefoni. A volte telefono io, a volte mi rispondono, altre no. Se mi rispondono so avere una conversazione brillante ma a volte dico solo cazzate. Probabilmente di cazzate ne ho dette così tante che è giusto che non arrivi nessuna telefonata.

Sono strano perché sento una malinconia, un senso di mancanza, di assenza, che mi fa sentire triste. E se sei triste non ci si preoccupa perché lo sei, che tanto non lo sai nemmeno tu, ma semplicemente ti si dimentica. Sono strano perché sogno ad occhi aperti su come sarebbe dovuta essere la mia vita, ma finisce sempre che mi sveglio sul più bello, anch se ero già sveglio. A volte mi metto a pensare che in certi casi mi sarei dovuto comportare diversamente, però sono fatto così, prendere o lasciare. Lasciare.
Sono strano perché vorrei realizzare qualcosa, ma vivo nell'immobilità, non so se per paura o per incapacità. E sono tutti migliori di me, come cantava qualcuno. A volte penso persino che sono io migliore di tutti. A volte capisco che non esiste nessuno migliore di un altro, esistono solo le persone, le individualità, le identità e bisognerebbe imparare ad accettarle, sforzarsi di conoscerle in profondità, queste identità, a cominciare dalla propria, che è forse quella più oscura di tutte.
A volte cerchi di sforzarti di uscire dalla tua apatia, altre semplicemente ti ci tuffi dentro. A volte desideri con tutte le tue forze di uscire dalla tua apatia, perché non vuoi buttare via ore e minuti che potresti usare meglio. A volte ti sdrai in strada e vorresti fermare il traffico, ma ti passano tutti sopra, e allora che ti alzi a fare, che tanto non ti vedrebbero più di così. A volte desideri combattere, e comincia a piacchiare forte, a cominciare dal tuo naso. E forse è quello di cui avresti bisogno, come avevi scritto già quasi un anno fa, un bel fight club personale.

Sono strano, ma sono anche normale. Perché la soglia è sottilissima e dove metti i piedi nemmeno te ne accorgi. Normale è solo chiedersi chi si è, e finché non si trova una risposta unica e definitiva si è strani. Secondo me è questo. Si è normali solo per se stessi, quando si sta bene. Si è strani per tutti gli altri, quando si sta cercando di stare bene, e di capirsi. Si è strani perché si prova a fare uscire quello che si ha dentro ma non ci riesco del tutto: e pensare che stanotte mentre pensavo prima di addormentarmi a queste cose, mi erano venuti dei pensieri così importanti... Si è strani anche per questo.

martedì 18 ottobre 2005

Sognando il Brasile

Braziiil... na-na-na-na-na-naaaaaaa...

Somewhere in the 20th century... questa musichetta è l'unico modo per evadere e sentirsi liberi. Nei sogni e nella realtà.




In un futuro prossimo venturo (che è già passato visto che il film è ambientato alla fine del 20° secolo) la burocrazia ci sommergerà, sarà il vero potere ed il vero modo per controllare la gente; attraverso la burocrazia si esercita un potere dittatoriale odioso, in una società vacua e superficiale, nella sua elite, e povera e disperata negli strati più bassi. L'informazione è potere, chi può controllare l'informazione ha il potere, chi gestisce anche il modo in cui l'informazione viene diffusa nei media e negli apparati pubblici (fra un mare di scartoffie e di moduli) ne detiene ancora di più.




Brazil si inserisce in quel filone di fantascienza distopica (1984, Il mondo nuovo) in cui il futuro viene rappresentato opprimente, in cui la tecnologia (assolutamente comica) è solo un'altra emanazione dell'apparato burocratico, in cui si cerca ad ogni costo un prolungamento artificiale della vita, in cui ogni cosa è distorta ed è proprio come non vorremmo che fosse il nostro futuro.




E allora un ometto, un piccolo ingranaggio dell'apparato burocratico, può solo permettersi di sognare di essere un eroe, di sconfiggere mostri paurosi e di salvare una donna bellissima. La vita normalissima e conformista di Lawry (Jonathan Pryce) viene sconvolta dall'apparizione nella sua vita del terrorista-tecnico del riscaldamento Tuttle (Robert De Niro), che mina il sistema con le sue riparazioni gratuite, e della bellissima donna che appare nei suoi sogni, che scopre essere reale.




E allora cercherà di trasformare in realtà i suoi sogni, le sue illusioni, le sue fantasticherie e la sua immaginazione. Solo che c'è da vedere da che materia sono composti i sogni.







Ho comprato con piacere e ancora con maggior piacere ho rivisto il DVD del film di Terry Gilliam, di una ventina di anni fa. Me lo ricordavo bello questo film ma non così così dolcemente illusorio, così onirico, così tragico e comico. E soprattutto un così forte inno di libertà.

Braziiil... na-na-na-na-na-naaaaaaa...

lunedì 17 ottobre 2005

Mostri invisibili

I mostri invisibili sono quelli che vediamo tutti i giorni nelle nostre società, le persone che ci passano davanti e davanti alle quali abbassiamo lo sguardo o volgiamo gli occhi altrove. Shannon è diventata un mostro invisibile perché un colpo di pistola le ha portato via mezza faccia; deve rinunciare alla sua carriera di modella e ricostruirsi una nuova vita. Brandy è quasi una vera donna, e intraprende la missione di ricostruire e trasformare Shannon, ma è anche lei un mostro invisibile, non soltanto come transessuale, anzi era molto più invisibile come uomo. I mostri invisibili sono ovunque, e sono molto più invisibili di questi; i veri mostri invisibili probabilmente ce li abbiamo nella testa, nei rapporti con gli altri: il vero mostro invisibile spesso siamo noi stessi di fronte ad uno specchio, quando non ci riconosciamo e vogliamo cambiare, diventare altri, trovare la strada che ci faccia uscire dall'invisibilità.

Questo libro di Chuck Palahniuk è molto bistrattato, invece a me è piaciuto, o almeno non l'ho trovato così brutto come molti dicono. Certo, altri libri di Palahniuk sono migliori però anche questo è leggibile. Diciamo che soffre, stilisticamente, del tentativo dello scrittore di imitare se stesso, il suo stile, quello dei libri precedenti. E lì si perde un po', perché manca quella brillantezza, quella vivacità nel linguaggio che lo caratterizza e che fa sì, in altri, che uno dica "se 'sta cosa qua non la scriveva lui non la scriveva nessun altro". Invece "Invisible Monsters" sembra un po' già letto: è infarcito di colpi di scena, come fa Palahniuk, ma sono un po' scontati e un po' troppi, te li aspetti, è scritto con un linguaggio forte, come fa Palahniuk, ma non è del tutto originale. Non è del tutto Palahniuk, ecco. Comunque si lascia leggere, anche se non entusiasma.

4.000.000 in fila

Dopo tre giorni senza telefono posso tornare a postare. E posto, visto il mio ultimo posto, ancora sulle primarie del centrosinistra, per dire pochissime cose (lunghi editoriali politici potrete leggerli altrove, io faccio le mie modeste considerazioni).

Questi oltre 4 milioni di elettori che significano? Perché è questo il punto, non chi ha vinto, anzi stravinto, le primarie, che già si sapeva. Il dato fondamentale è che più di 4 milioni hanno deciso di mettersi lì in fila (io per un'ora e mezza) per votare per il leader dell'Unione ma soprattutto per dare un segno. Il segno che se gli si chiede di esprimersi gli italiani lo fanno; che magari su certe questioni mostrano indifferenza, come gli ultimi referendum, ma che hanno voglia di dire con forza che in questo paese è ora di cambiare.
Il segno più forte, secondo me, è che se non ci fossero stati questi 4 anni e oltre di governo della destra, di questo governo (leggi ad personam, condoni e concordati fiscali, economia e conti a pubblici a pezzi) probabilmente non ci sarebbe stata una tale mobilitazione. Direte, vabbè erano tutti elettori di centrosinistra, poi erano un po' farlocche come primarie, visto che il leader già riconosciuto da tutti c'era, andava solo legittimato.
Tutta questa gente, che di domenica si mette un'ora in fila per un voto che ha un significato più simbolico che pratico, vuole partecipare, vuole dire la sua, vuole venire ascoltata. E a questo punto si stabilisca di ascoltare la società sempre più spesso, come metodo. Non si butti questo patrimonio di 4 milioni di elettori che avevano voglia di dire la loro.

Il numero resta, e nessuno lo aveva previsto (leggevo ieri che 350.000 votanti avrebbe cominciato ad essere un buon numero, sondaggi alla mano). E rappresenta la voglia di cambiamento della gente, la voglia di mobilitazione, il segno che alle prossime politiche probabilmente nessun voto andrà buttato. Sempre che sarà possibile contarli i voti fra qualche mese, con l'aria che tira...

venerdì 14 ottobre 2005

Primarie alla carbonara

Apro una parentesi politica. Come sicuramente saprete domenica si svolgeranno le primarie dell'Unione per la scelta del candidato per la presidenza del consiglio alle prossime politiche.

Apro questa parentesi perché credo, anzi sicuramente, andrò a votare anche se ancora non so per chi. Il fatto è che si tratta di primarie anomale, come tutti possono vedere ed è già stato rilevato, perché alla fine si va a votare per un candidato che i partiti hanno già accettato come leader (Prodi, per chi non se ne fosse accorto) ma che va legittimato. E gli altri candidati dicono (tranne gli indipendenti) che si sono presentati per rappresentare ognuno la propria area politica pur riconoscendo Prodi, ecc. ecc.

Premetto che andrò a votare con spirito curioso e perché lo strumento in sé mi piace e spero che possa diventare un'abitudine (magari con primarie vere la prossima volta), ma ancora non ho deciso se votare per Prodi o buttare lì un voto un po' di protesta e un po' di cambiamento. Se fosse per me il mio voto lo darei all'amico Uolter, l'unico personaggio in grado di smuovermi in maniera più decisa.

Ecco, vi chiedo, a chi è interessato, voi ci andate a votare per le primarie (naturalmente se siete elettori di centrosinistra e sinistra)? Non tanto per chi, che credo alla fine è un discorso secondario viste le premesse, ma se ci andate, badate bene. Sarò curioso di vedere quanta gente alla fine sarà andata a votare, per capire se sarà un esperimento da ripetere o se è stato solo un momento estemporaneo. Mi sa che in ogni caso sarà la seconda che ho detto.

giovedì 13 ottobre 2005

Incontri metropolitani. Il fascino di un sorriso

Uscendo dall'uffcio dopo un turno che ti ha lasciato un po' rincoglionito ma in cui tutto sommato credi di aver fatto bene (si aspettano eventuali tirate di orecchie) naturalmente soffri di un po' di stanchezza, ed hai anche una faccia che potrebbe sembrare quella di un morto. Però basta un piccolo incontro per sollevare il morale e farti passare un pochino la stanchezza.

Per esempio capita che passi davanti alla libreria affianco al tuo ufficio e sbirci dalla vetrina per vedere che aria tira che c'era la presentazione di un libro di un rampollo di una grande casa editrice italiana che ha fatto 50 anni. E capita che la commessa della libreria, quella tanto carina con cui ti sei messo a parlare quando ci fu l'incontro con Joe R. Lansdale, ti sorrida e ti inviti ad entrare dentro a mangiare un pezzo di pizza, che la presentazione è finita ma c'è la parte pappatoria. E così fai due chiacchere e prendi questo libro qui (intorno al quale giri da un po' di tempo e che hai aspettato inutilmente che una tua amica si ricordasse di portartelo), approfittando di uno sconto sui libri del suddetto editore, soprattutto perché quegli occhi neri e profondi e quel bel sorriso hanno un fascino irresistibile. Poi dopo ore passate con i miei colleghi...

Sarà che è perché sono un così buon cliente (che ogni volta che la vede finisce per acquistare qualcosa) che lei mi sorride sempre quando mi vede? Purtroppo mi sa di sì... Ma non importa, queste piccole cose risollevano il morale dopo una giornata di lavoro. Oggi che libro posso andare a comprare?

martedì 11 ottobre 2005

Un chiodo

Un urlo incredibile vibra nell’aria. Un urlo che devi immaginare perché è impossibile per me riprodurlo. Un urlo affilato come un chiodo, di quelli grossi da carpentiere, che ti viene piantato in un orecchio, prima piano, appena appoggiato ma già ne senti la pressione, senti che il metallo è freddo e cattivo, che non ha anima. È solo metallo. E allora il chiodo comincia a spingere contro il tuo timpano e nemmeno di accorgi quando lo buca, ma lo sai che l’ha bucata quella sottile membrana perché è come se oltre al chiodo ti avessero ficcato dentro l’orecchio un batuffolo di cotone, perché la sensazione che provi nell’ascoltare la voce che ti è affianco è di lontananza, di una consistenza quasi fantasmatica.
Solo un rivolo di sangue inizia a colare giù, lo senti caldo sul tuo lobo e allora si accende qualche interruttore nel tuo cervello, uno in più per ogni goccia che sgorga fuori e scorre giù lungo la tua guancia fino al collo, e cominci a pensare che stavolta non ce la farai, che non può andare sempre bene, e che hai finito tutte le carte buone. E pensi anche che sei un coglione, che stavolta hai rischiato troppo, che non dovevi accettare quel lavoro ma, cazzo, ti servivano quei soldi, e poi ne hai affrontate pure di peggio.
Si accende anche l’interruttore del sudore freddo e del delirio, e cominci a urlare. Ora urli davvero perché hai capito cosa sta per succedere o, meglio, lo sapevi già ma ora sai che accade, in questo momento, istante dopo istante, attimo dopo attimo. È un film al rallentatore, questo, in cui puoi vedere fotogramma per fotogramma ogni singolo particolare, e se vuoi puoi anche mandare avanti veloce, tanto sai come andrà a finire, non arriveranno i buoni a salvarti, perché non ci sono buoni in questa storia che ti sto raccontando.
Ogni briciolo di consapevolezza in più corrisponde ad un qualche messaggio che viaggia lungo le sinapsi che collegano i neuroni del tuo cervello, che stanno impazzendo di scariche elettriche perché loro lo hanno capito un nanosecondo prima di te che cosa sta per accadere. E questi impulsi elettrici che a me piace pensare come il morse punto linea punto punto linea, e chissà che cazzo ho detto, mettono insieme qualcosa di compiuto, informazioni, dati, bit, che dicono solo una cosa, una cosa irrazionale, senza senso alcuno. Ti dicono che devi urlare anche se sai che non c’è nessuno che possa ascoltarti ma non è un grido di aiuto quello; è un grido di guerra, è l’ultimo respiro che forse potrai esalare e allora lo rendi più grosso e più potente che puoi, proprio nel momento in cui, anche se non la vedi, senti una goccia del tuo sangue che ha terminato il suo percorso in uno splash su quel pavimento sporco e ti spiace un po' per quel fluido vitale sprecato così, pensi che è un peccato. Forse è perfino per quello che tiri fuori dai tuoi polmoni fino all’ultima particella d’aria.
Allora continua ad immaginare questo urlo, che fra poco capirai di che si tratta. Un chiodo, grosso di quelli da carpentiere, immaginalo bene perché quella è la forma della paura. Immagina le goccioline di sudore che imperlano la tua fronte quando hai il chiodo appoggiato nel condotto auricolare. Immagina il ghigno di chi tiene in mano il chiodo. Immagina che ora, al posto mio, ci sia tu legato su quella sedia e in balia della bramosia omicida di un pazzo deciso ad avere l'ennesimo orgasmo nel vedere il sangue che schizza via dall'orecchio insieme ad un po' di gelatina grigia. Ecco, allora che cazzo stai facendo ancora lì e perché non vieni a tirarmi fuori brutto bastardo, grandissimo figlio di puttana? Perché non te ne frega niente, vero? E te ne resti stravaccato in poltrona a guardare questo reality show, che purtroppo è reale per davvero. Io volevo solo un po' di notorietà, ed ora ho il 90% dello share tutto per me. Chissà se è un bene. Mandate a letto i bambini, quello che state per vedere potrebbe impressionarli. Accendete i videoregistratori.

lunedì 10 ottobre 2005

La matrice spezzata

Un salto nella Matrice Disaggregata io, se fossi in voi, lo farei. Potreste incontrare cani solari, puttane d'alto bordo, politici senza scrupoli e politici visionari, pirati, teatranti, strani alieni affaristi, una colonia spaziale di tessuto organico (carne, una massa enorme di carne) e molto altro.

La matrice spezzata (Schismatrix) di Bruce Sterling (libro del 1985) rappresenta una delle vette più alte della fantascienza moderna, ed è sicuramente il libro di respiro più ampio dello scrittore, che, di solito, scrive sempre di un futuro prossimo, di un basso futuro, delineando scenari e prospettive non troppo lontani dalla realtà. Questo libro invece proietta l'umanità nello spazio, fra molti secoli, e ne racconta le vicende nell'arco di oltre un secolo e mezzo, attraverso le avventure di Abelard Lindsay, ribelle politico che viene esiliato dalla Repubblica Circumlunare del Mare della Serentià e da allora inizia a peregrinare per colonie e asteroidi, fra un pianeta e l'altro dell'universo umano conosciuto come Matrice Disaggregata, in cui si fronteggiano politicamente e materialmente le due fazioni in cui l'umanità si è divisa, i Plasmatori e i Mechanist. I primi puntano ad una evoluzione e un miglioramento dell'uomo attraverso l'ingegneria genetica e l'addestramento psichico, i Mech invece si fanno portatori di una ideologia più materiale, in cui gli uomini vanno oltre i loro limiti biologici grazie alla meccanica, e agli innesti biomeccanici ed elettronici nei corpi. Plasmatori e Mech si fronteggiano anche politicamente, economicamente e filosoficamente, sono distanti sotto ogni punto di vista, tranne che per l'artificiale e continuo prolungamento della vita umana.

Lindsay inizia come Plasmatore ma si ritrova ben presto da solo, un cane solare, un ribelle che scappa da una parte all'altra e che porta avanti i suoi piani di crescita personale e dell'umanità stessa. Perché il futuro non è lo scontro fra i blocchi, ma una sorta di anarchia in cui quello che contano non sono le nazioni ma i popoli, che sopravvivono alle nazioni, come ripete lui stesso. Mech e Plasmatori sono il risultato del massimo sviluppo tecnologico dell'umanità ma sono civiltà decadenti, da cui non potrà nascere niente di nuovo perché governate da vecchi centenari. Nuovo sarà invece il post-umanismo, il nuovo ideale che raccoglierà chi non si riconosce nell'una o nell'altra parte.

Un libro che va letto per la ricchezza di idee, di spunti che escono fuori da ogni pagina, per la sfrenata fantasia di Sterling che qui ha dato davvero il meglio di sé, unendo il filone cyberpunk con alcuni temi tipici della fantascienza classica legata ai viaggi nello spazio e alle civiltà spaziali. Lo scrittore butta sul piatto temi come la costruzione dell'identità, l'evoluzione psicologica e biologica che impone di domandarsi se saremo più mech o plasmatori, il conflitto fra generazioni, l'affermarsi di nuove religioni e di nuovi culti, il superamento di ogni logica democratica nei regimi politici a cui si contrappone l'ideale anarchico di ricostruire la civiltà per piccoli gruppi auto-organizzantisi.
Insomma un romanzo pregno di tante cose che gli amanti del genere non possono non leggere (o aver letto), ma che mi sento di consigliare anche agli altri, per la bellezza anche stilistica del romanzo (gli scrittori dell'ondata cyberpunk si caratterizzano per un linguaggio spesso barocco, difficile, ma che lascia impresse alcune immagini che ormai fanno parte, appunto, del nostro immaginario).

venerdì 7 ottobre 2005

Gocce di sudore

Ecco, qua, lo stipendio di settembre, per i primi giorni di lavoro. Ora potrò dedicarmi a spese folli! No, troppo poco. A spese galattiche! Purtroppo la busta paga è quella che è, per di più per due settimane scarse...

Un paio di idee ce le ho già per togliermi qualche sfizio. Secondo voi? Certo, un salto in libreria lo faccio sicuramente, forse pure qualche altra cosetta. Il frutto del mio sudatissimo lavoro: me lo sono guadagnato tutto, a forza di guardare ore e ore di Uno mattina estate, con lo "psico-coiffeur" (giuro,sul sottopancia scrivono così: e se non sapete chi è meglio per voi) Michel e le ricette spacca-fegato di Vissani; ore e ore di Mirabella a Cominciamo bene estate, che parla parla ma alla fine non dice niente; ore di rassegne stampa; perfino qualche Marzullo. Ora so che a qualcosa è servito!

Che posso comprarmi?

Un reportage interessante

Stamattina vi faccio una nuova segnalazione. Guardando in tv Rai News24 ho visto un pezzo di reportage che sta andando in onda questa settimana. Si tratta di L'ultima campagna di Marcos, di Luciano Minerva che ha seguito l'assemblea dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale del 16 settembre in cui l'EZLN ha annunciato che Marcos marcerà in tutto il Messico durante la campagna elettorale per il nuovo presidente della repubblica (in Morti scomodi, che ho recensito nei mesi scorsi, Marcos spiegava abbastanza bene come il governo di Fox sia stato uno dei più corrotti degli ultimi anni). Marcos non appoggerà nessun candidato ma darà voce al popolo nella sua marcia.

Il reportage lo trovate anche in rete a questo indirizzo qui. Secondo me vale la pena darci un'occhiata.

giovedì 6 ottobre 2005

Coincidenze

Quando nella vita ti tocca andare a lavorare invece di stare a casa a leggere le tue cose, a bloggheggiare, a fare qualche telefonata agli amici con calma (e non tutto di corsa), a volte si verificano strane, per così dire, coincidenze.

Per esempio, può capitare che andando al lavoro incontriate per due volte un collega di università che non vedevate da un mare di tempo, pur facendo ogni volta una strada diversa a orari diversi (a questo proposito un piccolo record ce l'ho con chi incontro di volta in volta in biblioteca, al chiosco dei fumetti, per strada in un punto qualsiasi, ma è un'altra storia).

Altra coincidenza è che non senti nessuno da giorni perché anche se lavori a partire dal pomeriggio la mattina non ti capita mai, o quasi, di sentire nessuno (perché molti sono poltroni non come me che non riesco a dormire come si deve anche quando vado a letto alle 2 passate), e poi ti cerca tutto il mondo in poche ore mentre sei in ufficio. E che ti senta conteso come una diva. Ah, che stella! perché può succedere che per coincidenza due gruppi di amici vadano al cinema a vedere lo stesso film ma non si riesce a mettersi d'accordo per andare tutti nello stesso posto per ragioni contingenti, e allora tu devi scegliere. E poi magari ti senti un po' una merda perché alla fine hai dato buca a chi ti aveva chiamato prima (ma io, a mia discolpa, a un certo punto avevo creduto che alla fine si erano messi d'accordo per andare insieme) e hai optato per il cinema più vicino a casa (dietro a casa per la precisione).

Succede che invece di uscire all'ora che dovresti dall'ufficio, anche se arrivi sempre un po' in anticipo, esci dopo. E a volte esci dopo e ti fermi a fare due chiacchere e scopri che condividi qualche cosa di importante, per te, con una collega, come la passione per quel signore lassù nell'angolo a sinistra (e altra coincidenza è che lavoro al portone affianco alla libreria specializzata nei suoi libri). E pure per Sin City, sia il film che i fumetti.

Guardate un po' che coincidenze. Ora non me ne vengono altre.

mercoledì 5 ottobre 2005

Notizie internettiane

Stamattina vi segnalo un paio di articoli che ho letto ieri sul Messaggero. Nel primo si ricostruisce la contesa fra la Microsoft e la piccola società Eolas che avrebbe depositato un brevetto ora contenuto nel browser Internet Explorer per l’inserimento di contenuti multimediali nelle pagine Web. A parte il fatto che emerge sempre che Bill Gates o chi per lui scopiazza qua e là, dimostrandosi un genio soprattutto nel fare soldi dove non ci sono riusciti gli altri, è interessante il fatto che questa vicenda ha acquisito rilevanza con la presa di posizione di Tim Berners-Lee, scienziato inglese che ha inventato quella cosa chiamata World Wide Web (a cui sono legato perché intorno a lui e alla sua idea di far diventare il web semantico ci ho scritto la tesi di laurea) e che si è sempre battuto per farne uno strumento decentralizzato e universale, che non diventasse di nessuno (a lui si deve anche lo sviluppo successivo del Web, avendo diretto e presieduto il World Wide Web Consortium: vi consiglio il libro di Berners-Lee L'architettura del nuovo Web, peraltro molto leggibile e piacevole); Berners-Lee, per farla breve, si è schierato stranamente con Microsoft perché se in questa causa vincesse la Eolas si bloccherebbe Internet, bloccando i browser di milioni di utenti. Questa prospettiva mi pare un po' catastrofica: alla fine Gates verserà le centinaia di milioni di dollari che vuole la Eolas e finirà tutto.

Il secondo articolo è più divertente, e di costume internettiano. Voi come lo chiamate il simbolo @? Sicuramente sapete che in inglese si pronuncia at (e devo dire che io uso sempre la dizione inglese) piuttosto che chiocciola. Ma la cosa divertente è che girando per il mondo scopriamo che in Slovacchia o Repubblica Ceca si dice aringa arrotolata, in Islanda strudel, in Svezia proboscide, in Danimarca coda di scimmia, in Cina topolino, in Russia cagnolino (sul topo ci arrivo pure per via della coda ma che cani hanno in Cina?), in Ungheria verme, in Grecia papera, in Giappone ciclone e in Corea, infine, chiocciola, come noi. I francesi poi, naturalmente, la chiamano escargot.

martedì 4 ottobre 2005

Sfogliando una taglia extra large

Mi hanno segnalato su XL, il mensile di Repubblica pensato per noi ggggiovani alla moda, l'esistenza di una rubrica di Bruce Sterling, scrittore che sapete che amo, Futurama. Visto che sul sito di XL non sono on-line gli articoli contenuti nella rivista (non sia mai che qualcuno li leggesse senza comprarla) mi limito a segnalare l'articolo Lo confesso sono un killer: uccido computer, in cui Sterling fornisce una divertente, secondo me, rassegna dei vantaggi ma anche dei paradossi generati dalla tecnologia nella vita di tutti i giorni, specificatamente passando da un vecchio PC ad un altro, ottenendo il risultato di un eccesso di dati e di funzioni spesso inutili. L'articolo si chiude così "i computer di oggi sono sempre meno degli strumenti utili e sempre più un immenso gioco. E io non riesco a smettere di giocare. Sono completamente dipendente. Non sono più il proprietario di un oggetto di plastica: sono l'abitante di un cyberspazio, un territorio vasto e pazzo, una casa degli specchi, pieno dei miei bisogni e desideri. Posso spegnere il computer, ma lo spazio è ancora lì. Perché alla fine l'ho costruito io".

Sempre su XL di ottobre trovate un'interessante sezione dedicata alle nuove tecnologie con cui potremmo convivere fra pochi anni (a dire il vero lì si poteva fare di più), con un altro articolo di Sterling. Piuttosto se vi passa per le mani la rivista leggete l'articolo di Nicola Lagioia Mars attacks & C. quello che è davvero successo: noi alienati e gli alieni mai arrivati. "Salti spaziotemporali, città robotizzate, guerre di mondi, incontri ravvicinati del terzo tipo: è tutto già successo, solo in un modo diverso. Le invenzioni e gli scenari con cui la fantascienza ci ha riempito le pupille da quando, precipitati dalla culla, ci siamo ritrovati nel buio di una sala cinematografica con la bocca piena di pop-corn, si sono puntualmente rovesciate sulla nostra povera realtà prendendoci alle spalle, in maniera deviata, obliqua, allucinata, potentemente metaforica ma non per questo meno tangibile e gravida di conseguenze". Leggendo l'articolo appare chiaro come l'immaginario fantascientifico abbia saputo leggere, anche laddove non si sono realizzati mirabili sviluppi tecnologici, la nostra realtà: "il passato non esiste, il futuro è arrivato in stampelle, il presente è irrintracciabile. Come in Brazil di Terry Gilliam, come nei film geniali firmati da Charlie Kaufman (Essere John Malkovich, Adptation, Se mi lasci ti cancello), la nostra fantascienza quotidiana è piena di cavi polverosi, dispositivi che non funzionano, aspettative realizzate in modo comico, macabro o grottesco, continue alterazioni della realtà, giochi di specchi capaci di mettere in crisi qualunque cosa resti dell'identità personale. Basta andare al cinema, tornare a casa, accendere la tv e ritrovarsi davanti alle scenografie di un medioevo tecnologico in cui la violenza regna sovrana e non c'è più molta possibiltà di separare i buoni dai pazzi criminali: è l'Iraq, Gaza o l'ultimo episodio di Mad Max?".

Infine, fra la tanta roba di questa rivista (ce n'è per tutti i gusti, qualche cosa di più frivolo e altre più impegnative, ma sempre leggere, forse troppe), vi segnalo la sezione Movimenti, che è nel complesso la parte più interessante, almeno per me, di una rivista che soffre forse un po' troppo di schizofrenia: parla di tutto, per tutti, e alla fine pensi che manca di un po' di approfondimento (ma qui ci vorrebbe un XXL). Qui trovate alcuni reportage interessanti (come quelli a New York e Liverpool), un'anticipazione di un racconto di Dave Eggers e un'intervista al mio "amico" Joe R. Lansdale.


Ok, ecco che succede quando uno non può mettere i link a degli articoli (magari poi li mettono on-line, chissà): ti esce fuori un post in cui, per segnalare qualche cosa interessante che hai letto, passi per uno che non sapeva che scrivere. Fatemi sapere.

lunedì 3 ottobre 2005

Si salvi chi può!

Stamattina il centro di Roma è stato bloccato per le esercitazioni anti-terrorismo. Tre bombe sono esplose a poco tempo di distanza l'una dall'altra: ma tutte le forze chiamate in causa hanno risposto efficientemente, nonostante la situazione atmosferica avversa, visto che piove a secchiate. A leggere la cronaca della mattinata si apprende che una ragazza si è sentita male mentre aspettava l'autobus e quindi una vera ambulanza impegnata in una vera operazione di soccorso c'è stata, che c'è stato un allarme bomba a causa di una borsa lasciata incustodita  al Colosseo che poi un fotografo è andato a riprendere, c'è stata una manifstazione di gruppi no global che ha bloccato corso Vittorio Emanuele. E soprattutto c'era gente incazzata che è stata fatta uscire dalla metro A perché un ordigno doveva scoppiare pure su un treno della metropolitana.




A parte che mi ritengo fortunato che andando a lavorare di pomeriggio il casino peggiore dovrebbe essere passato (visto che una bomba su un autobus è scoppiata proprio vicino all'ufficio dove lavoro), ma non bastano le esercitazioni che dobbiamo già vivere tutti i giorni nel caos delle nostre città? Pure 'sta fregnaccia tocca sopportare? Che, se succede davvero qualcosa, intanto non sai dove e quando accadrà; tanto il danno è stato già fatto, e puoi fare tutte le prove che ti pare ma se scoppia una bomba nel centro di Roma in piena ora di punta con i tassisti che sorpassano e destra, sinistra, di sopra e di sotto, con gli automobilisti che bestemmiano in mezzo al traffico, cone le strade bloccate dalle macchine in seconda e pure tripla fila, con gli incroci che paiono un quadro di Escher tanto è complicato uscirne, secondo voi dove passano i mezzi di soccorso?



Chi ci salva dalle esercitazioni? E a me, chi mi salva? Piuttosto dovrebbero fare esercitazioni di sopravvivenza urbana...

domenica 2 ottobre 2005

Dove sono finiti tutti?

Allora? C'è qualcuno? Toc, toc, nessuno in casa? Vabbè, lo so, sto a casa mia e non a casa vostra quindi che cavolo busso a fare? Stamattina vi volevo parlare di un fenomeno che sto notando sempre più spesso qui nella blogosfera. Avverto da un po' di tempo una sorta di riflusso in molti blogger, che scrivono di meno, lasciano meno commenti in giro, insomma scelgono di allontanarsi un po' dal web.
Io stesso spesso sparisco o sono sparito, e (a parte il numero dei post, che adesso scrivo più per me stesso che per gli altri) anche ora sto tenendo un profilo molto più basso nel rapporto con il mio stesso blog e con quelli degli altri.

Quando parlo di riflusso, intendo dire che ho come l'impressione che molti blogger - e pare un fenomeno generale - abbiano bisogno di staccare proprio mentalmente, perché a volte ci si fa prendere la mano e si da fin troppa importanza a quello che accade nella blogosfera. Altre volte è soltanto una mancanza di tempo, ma c'è, secondo me, anche una diversa scala di priorità nell'investire il proprio tempo. Bisogna sempre andare a vedere i motivi per cui una persona ha aperto un blog: per mania di protagonismo, per egocentrismo, per voglia di confrontarsi con gli altri, per solitudine, per bisogno di aprire un diario in cui sfogarsi e magari ricevere qualche consiglio, per la voglia di parlare di argomenti che si ritengono importanti e di confrontarsi con gli altri. Insomma, per i più svariati motivi.

A parte Immaginaria, o la mia esperienza personale, che leggo molti meno blog di una volta, che ricevo meno commenti di prima (anche perché spesso e volentieri scrivo post meno interessanti, lo riconosco io stesso), guardando alcuni aspetti mi interrogo su quali motivazioni generano dei comportamenti differenti nel proprio rapporto con la rete, e in particolare coi blog. Ognuno, come detto, cerca o ha cercato qualcosa di diverso nei propri blog e in quelli degli altri, però c'è una sorta di tendenza generale che andrebbe osservata.

Ci sono blog che sono stati chiusi ufficialmente, magari anche solo per un periodo (io stesso a un certo punto come qualcuno ricorderà chiusi il mio blog, addirittura lo cancellai); altri che restano aperti ma che sono deserti come il saloon di una città fantasma; altri che prima vedevo con decine di commenti al giorno e ora molti meno; persone che incontravo su qualunque blog andassi e ora non becco più. Mi ci metto pure io, ovvio, che ho mantenuto solo alcuni contatti. Poi, ci metto anche un altro dato, del tutto empirico, ad avvalorare questa idea: se ci fate caso il numero di utenti on-line su splinder è molto più basso di qualche mese fa, cosa che ho notato connettendomi in diversi orari. Prima mi capitava costantemente di superare il migliaio, adesso, più o meno nelle stesse fasce orarie, spesso sono sotto i 500.

Naturalmente queste sono considerazioni che faccio in base alla mia esperienza, magari c'è chi ha un giro di contatti ancora molto attivo e non ha notato niente di tutto ciò. Però questa cosa l'hanno notata anche altri con cui ho potuto parlare. La mia idea a questo punto è che, soprattutto quando si è investito parecchio in termini di tempo e di impegno su un blog, dopo un certo periodo scatta un momento in cui si sente la necessità di staccare, necessità generata da bisogni diversi da persona a persona, ovviamente. Voi quest'onda anomala di riflusso l'avete notata? E se sì, o se ne fate parte, come la spiegate?
Questo mondo di relazioni e di contenuti che è la blogosfera, secondo me, è un laboratorio molto interessante per certi comportamenti. Penso che sia soprattutto l'esaurirsi o il trasformarsi di certi bisogni a generare questi cambiamenti negli usi che facciamo di questi strumenti.

sabato 1 ottobre 2005

suoni

«Kitsune sedeva pensosa, giocherellando in silenzio con i tasti del suo sintetizzatore. La sua competenza aveva da tempo travalicato i limiti di una mera capacità tecnica. Era diventata una comunione, un’arte spuntata da una tenebrosa intuizione. Il suo sintetizzatore poteva mimare qualsiasi strumento e superarlo: lacerare il suo profilo sonico in forma d’onde nude, e ricostruirlo su un piano di più elevata astratta purezza sterilizzata. La sua musica aveva la dolorosa, friabile chiarezza dell’impeccabilità.
Altri strumenti lottavano per arrivare a quella chiarezza ideale, ma fallivano. L’insuccesso dava umanità al loro suono. Il mondo dell’umanità era un mondo di perdite, di speranze infrante, di peccati originali, un mondo difettoso che agognava sempre la pietà, l’empatia, la compassione… Non era il suo mondo».

Bruce Sterling – La matrice spezzata