Moebius

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giovedì 25 maggio 2006

Emozioni e brividi in bici

Si possono avere i brividi se si guarda la tv? Brividi di emozione e nostalgia, si intende. Sì, se si rivedono le immagini delle imprese di Marco Pantani.

In questi giorni di Giro d'Italia l'antica passione viene fuori, spumeggia, erutta come un vulcano, e allora c'è voglia di riprendere la bici, rimettersi in condizioni decenti e ritornare a pedalare, pedalare per pedalare, senza altro scopo. Perché non si fa tanta fatica (anche ad andare piano si fa fatica in bici quando è tanto che non la prendi e non hai nelle gambe nemmeno quella cinquantina di chilometri che una volta facevi solo per sgranchirti). Non è un caso che a forza di vedere il Giro, la festa di maggio, come ogni anno si moltiplica la voglia di mettersi in sella. E così se il mondo del ciclismo e non (soprattutto "e non") scopre la grandezza di un campione come Ivan Basso, io mi metto mi metto a pedalare, e se nessuno lo saprà mai e mai si metterà sul bordo di una strada a tifare per me non conta perché il tifo ce l'ho nella testa, che scandisce il passo pedalata dopo pedalata, e se vai piano non importa, la fatica è la stessa, la gioia pure, e, credetemi, difficilmente mi sento così completo e realizzato come in bici: per qualche ora ci si può estraniare e pensare solo alla strada, al colpo di pedale da tenere, al rapporto, e concentrarsi sui muscoli, sulla respirazione e sulla posizione da tenere in sella.

Ecco, queste righe per far capire l'amore per la bicicletta, che trascende le imprese dei campioni. E così con grande piacere stamattina e giovedì scorso ho visto le due puntate del bel documentario de "La storia siamo noi" di Minoli dedicate alla storia del Giro d'Italia, "La festa di maggio" (i volenterosi potrebbero/dovrebbero trovarle sul sito della trasmissione che, se non raccontano cazzate, contiene un archivio on-line di tutte le puntate). E così, la nascita del Giro, Luigi Ganna, il primo vincitore, i primi campioni e campionissimi, Girardengo, Guerra, Binda, poi Bartali, Coppi e la loro immensa rivalità, fino all'era moderna (era moderna trattata en passant, ma forse è giusto così visto che è stato il ciclismo eroico a fare la leggenda) con Merckx, Gimondi, Saronni, Moser, Bugno (chi mi conosce sa che il grande Gianni Bugno è stato il mio idolo da bambino e tuttora quando lo rivedo mi commuovo) e Marco Pantani, il Pirata, il Panta, chiamatelo come volete, l'unico ciclista moderno che ha saputo far rivivere la leggenda del ciclismo antico con le sue imprese straordinarie e la sua storia di uomo travagliato e con una interiorità difficile da decifrare, eroe e antieroe allo stesso tempo.

Quando il 14 febbraio 2004 morì il Panta, piansi, e dico sul serio, perché se ne andava un uomo che ha dato emozioni alla gente, e le sue imprese me le ricordo, ce le ho stampate in testa, con la telecronaca di Adriano De Zan: due vittorie all'Alpe d'Huez, la tappa dell'Aprica al Giro del 94 dove sul Mortirolo staccò tutti, anche Indurain e Berzin (e sul Mortirolo è stato posto un monumento in ricordo del Pirata: sabato il Giro vi passerà davanti e renderà omaggio al Mito), la tappa di Les Deux Alpes del Tour del 98, quando sul Galibier, in mezzo ad una pioggia fittissima staccò tutti, diede 9 minuti ad Ullrich e conquisto il Tour de France. Ecco, capito perché mi sono emozionato? Come farei a non emozionarmi per un uomo che diceva di spingere più forte che poteva in salita per finire prima l'agonia?


A vedere una bicicletta ci si emoziona perché come dice Fiorenzo Magni nel documentario che vi ho detto il ciclismo è il mondo e il mondo è il ciclismo: finché ci sarà il mondo ci sarà il ciclismo e viceversa, perché, sempre come dice Magni, i bambini con cosa giocano? Con una palla e con un triciclo.

Buon Giro a tutti, vado in bici!

martedì 2 maggio 2006

Un pozzo nero per Alfredino e per l'Italia

Vediamo un po', torno a consigliare un buon libro a chi passerà di quà. Si tratta di Dies Irae di Giuseppe Genna, uscito poco tempo fa. Intanto, premetto, non avevo letto mai niente di Genna e sono rimasto davvero impressionato dalla qualità della sua scrittura prima di tutto: ricca sia stilisticamente, linguisticamente e lessicalmente, con ogni parola pesata e messa al posto giusto.

Questo Dies Irae è un romanzo difficile da classificare perché è tanti romanzi insieme, e tanti generi insieme: è una serie di storie intrecciate alla Storia della nostra povera Italia, seguendo un po', anche stilisticamente, la grande letteratura post-moderna americana, DeLillo e Pynchon citati più volte nel libro, soprattutto il primo. E a un bellissimo libro di DeLillo di cui ho ampiamente parlato, Underworld (che modestamente considero uno dei romanzi più importanti della letteratura contemporanea), si rifà il romanzo di Genna: un Underworld italiano, come poi è ammesso esplicitamente dallo stesso autore.

La vicenda copre 25 anni, dal 1981 all'inizio del 2006 . Il 1981 è un anno chiave, non solo nel romanzo: è l'anno della scoperta della P2 e della morte di Alfredino Rampi, il bimbo caduto in un pozzo di Vermicino e la cui sorte è stata seguita per 18 ore dall'intero paese in diretta tv. La morte di Alfredino è il prologo del libro (pagine scritte benissimo: leggendo queste prime pagine mi sono convinto a prendere il libro di Genna) ma anche di questi 25 anni: quell'episodio, al di là del romanzo, è stato davvero uno spartiacque, banalmente perché quella lunga diretta tv ha cambiato la nostra percezione del mondo, i linguaggi televisivi e con essi la nostra cultura (e non è una scoperta di Genna, è abbastanza condiviso questo punto). Perché accostare P2 e Alfredino? Perché Genna, noto per essere uno scrittore di thriller (come si definisce lui nel romanzo, un po' spregiativamente) inizia il romanzo con un grande complotto, che inizia da lì e con un effetto domino corre per tutti gli anni 80 e 90: Craxi, la cultura televisiva e dello spettacolo, la politica dei venditori e i venditori della politica, la fortuna economica e televisiva di Berlusconi, Berlusconi in politica (un altro tassello che si incastra: la tessera 1816 della Loggia di Gelli che diventa Presidente del Consiglio), Moana Pozzi che scopre del materiale compromettente, il crollo del muro di Berlino, Tangentopoli.

Tutto ciò fa da sfondo, o forse è il contrario, alle vicende di Giuseppe Genna (in una vicenda che in parte è sicuramente autobiografica e in parte, credo, sarà di fiction: resta vero però che Genna ha lavorato a Montecitorio sui faldoni della Commissione di inchiesta sulla P2 ed è entrato in contatto con i Servizi), di Paola C. e di Monica B., vicende che attraversano, appunto, questi 25 anni. Giuseppe, Paola e Monica vivono vicende separate ma in qualche modo collegate, e si incontreranno, all'inizio del romanzo e alla fine di questo venticinquennio. Genna, Monica e Paola hanno in comune un pozzo nero in cui affondano i propri drammi esistenziali, più o meno gravi, che rivelano tre mondi diversi, tre modi diversi di guardare il mondo: essere tirati fuori dal posso nero è difficile, forse impossibile ma ci si può riuscire affrontando e scoprendo le paure più profonde. Sarebbe superfluo entrare nel dettaglio delle vite dei tre personaggi principali: scopritele, ne vale sul serio la pena.

Mi soffermo un attimo sulla vicenda di Giuseppe Genna, almeno il Giuseppe Genna del romanzo; Genna si descrive e si racconta, e racconta la sua ossessione per la scrittura di un enorme e praticamente infinito romanzo di fantascienza, Dies Irae, appunto, che racconta dell'evoluzione della specie umana ma che è soprattutto metafora di questo nostro mondo, in cui al centro c'è sempre il pozzo nero di Alfredino (altra ossessione dello scrittore); Genna racconta di una vicenda medianica, lui che registra le voci dei morti (sarà fiction, sarà realtà? E' matto del tutto?); Genna racconta, adulto, del suo lavoro a Montecitorio e del suo essere uno scrittore: queste pagine sono per me interessanti sul serio perché Genna descrive il suo desiderio di realizzare opere diverse dai thriller di successo e parla allora della letteratura, del ruolo dello scrittore.
Insomma tante cose questo Dies Irae: una lettura piena di contenuti e di significati, una lettura non semplicissima, vista la vastità dei temi trattati, il procedere a salti del romanzo (salti non solo narrativi ma a volte anche stilistici) e la scrittura bella ma complessa. Un libro, però, che lascia qualcosa dentro e, pasolinianamente, rivela molto (pur nella fiction), perché lo scrittore sa le cose, perché collega i fatti.