Moebius

Moebius

mercoledì 23 novembre 2005

Realtà e mondi speciali

"I lettori dicono che dipingo sempre lo stesso mondo, un mondo riconoscibile. Dov'è questo mondo? Nella mia testa? E' quello che vedo nella mia vita e che inconsapevolmente trasferisco nei romanzi e nei lettori? Almeno sono coerente, dal momento che è tutto un solo romanzo. Ho il mio mondo speciale".


"Mi sembra di vivere sempre più nei miei romanzi. Non riesco a immaginarmi il perché. Sto perdendo il contatto con la realtà? O la realtà sta effettivamente scivolando verso un tipo di atmosfera dickiana?"


Philip K. Dick - Exegesis (nota: dall'introduzione di Carlo Pagetti a L'androide Abramo Lincoln)

E se mi laureassi in...

Che voglia di tornare all'università, di prendermi un'altra laurea! Mi laureo in fantascienza! Spulciando il Corriere della fantascienza ho trovato questo articolo (di un anno fa) in cui si descrive il primo corso al mondo sulla science fiction.
Il corso è nato per iniziativa di Mark Brake, docente di Scienze della Comunicazione al Centro per l'Astronomia e l'Educazione scientifica dell'università di Glamorgan, in Gran Bretagna. La fantascienza e la cultura fantascientifica veicolata dalla letteratura e dal cinema vengono presi come mezzi per studiare discipline come l'astronomia, la storia della scienza, la biologia, costituendo un link fra ciò che in campo scientifico va studiato e ciò che può essere studiato per piacere.

Aggiungeteci un po' di sociologia e di discipline comunicative e lo apro io un corso così in Italia!

martedì 22 novembre 2005

Che Italia che fa

Leggendo i giornali (o vedendo i Tg) si apprendono alcune notizie. Ecco una veloce rassegna stampa su quello che accade in Italia.

CRONACA. Cominciamo dallo psico-dramma che proprio non vedevo l'ora di seguire, che mi interessa al punto che sto per partire anche io per Torino. Annamaria Franzoni ha pianto davanti al video che ricostruisce, per la difesa, come potrebbero essere andate le cose nella villetta di Cogne (che fra un po' verrà inserita in qualche pacchetto turistico, tutto compreso: processo, incontro con la Franzoni, viaggio a Cogne). L'accusa chiede una nuova perizia psichiatrica.
Io la perizia psichiatrica la chiederei a chi fa la fila davanti al tribunale per assistere al processo e ai giornalisti e ai direttori di TG che dopo una settimana ancora mandano servizi sulla gente che fa la fila.

POLITICA-SALUTE. Aumenta la polemica sulla sperimentazione della pillola RU486 (già in uso e ampiamente sperimentata negli altri paesi) per l'aborto farmacologico invece che chirurgico. Dopo il referendum di giugno sulla legge sulla procreazione assistita, si sente di nuovo parlare di legge 194, il nuovo obiettivo dei teo-con: i cattolici ne richiedono l'applicazione articolo per articolo, in modo da rendere le procedure per l'aborto quanto più farraginose possibile. Oltre che l'ingresso nei consultori di militanti cattolici anti-abortisti per l'assistenza alle donne che per motivi tragici si trovano a compiere la scelta di abortire. Chissà, magari se si torna agli aborti clandestini le loro coscienze staranno meglio.
Ho visto militanti di Comunione e Liberazione lungo i bastioni di Orione... Cardinali Ruini imporre la propria morale all'intera galassia ma senza entrare nelle questioni politiche interne di Venere, perché rispettano la separazione fra Pianeta e Chiesa...

TV-INFORMAZIONE-PLURALISMO POLITICO. Questi dati, pubblicati da Repubblica e Liberazione, mostrano come la Chiesa e il Vaticano siano stati presenti nei tg fra gennaio e maggio 63 ore e mezza, mentre i metalmeccanici per 12 minuti (il rapporto è di 317 a 1). Ieri, guarda caso, il TG5 ha mandato un servizio su un metalmeccanico e la sua famiglia: come fate ad arrivare alla fine del mese? Grandi inchieste

CINEMA. Il film più visto del week-end è Melissa P. Il cinema batte quello delle major. Basta, io non commento oltre, non me la sento... Solo, non ho letto il libro, credo che non lo farò, e figurarsi il film. Magari ho sbagliato io.

COMICITA'. "La nostra non è ancora una democrazia compiuta. Il nostro non è ancora un Paese pienamente liberale. Ci sono partiti che sventolano vessilli su c'è il simbolo del terrorismo e della tirannia: la falce e il martello".
E io che pensavo che se c'era un problema democratico e di libertà in questo paese era per via del fatto che le tv, il più grande editore italiano, alcuni giornali, sono di proprietà di una persona sola, che guarda caso è Presidente del Consiglio; perché c'è chi fa in modo di alterare i processi in corso che li riguardano; perché si vuole limitare la libertà di scelta e di coscienza su materie etiche; perché si cerca in tutti i modi di imporre la visione della Chiesa; perché la Costituzione italiana dice delle cose, e se ne fanno altre; perché si cambiano le leggi elettorali in modo da provare a ribaltare i risultati elettorali...

lunedì 21 novembre 2005

Di bandiere, di mutande, di buchi di culo, ma anche altro

Accade che uno scrittore arrivi a 50 anni e decida di fare i conti con i propri personaggi e le proprie storie. Quindi, decida di liberare la sua testa da tutto quello che la cultura vi ha messo dentro durante questi 50 anni. E allora tira fuori bandiere, mutande, buchi di culo (questo sotto è il disegno di un buco di culo).


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E così Vonnegut scrive La colazione dei campioni ovvero Addio, triste lunedì, una trentina e oltre d'anni fa. Un libro, questo, in cui Kurt Vonnegut racconta di come Kilgore Trout, senza dubbio il suo personaggio più noto, il suo alter-ego narrativo, parta per Midland City (questa città non esiste, non cercatela sull'atlante) perché invitato ad un festival delle arti per discutere della fine del romanzo americano nell'era di McLuhan; Trout, naturalmente, non sa chi sia McLuhan è deciso a presentarsi con l'aspetto più possibile da barbone per parlare di come vivono i barboni, eventualmente. Naturalmente questa cosa fa ridere se presa nel contesto del libro, e se sapete chi è McLuhan, lo avete letto o studiato, o almeno sentito nominare.

Kilgore Trout è uno scrittore di fantascienza, che pubblica i suoi libri senza neanche sapere lui dove, ma di solito finiscono pubblicati su qualche libro sulle tope spalancate. Trout, come detto, è un personaggio notissimo di Vonnegut, che scrive e pensa centinaia di romanzi e migliaia di racconti partendo dagli spunti più strani; a volte viene da pensare che certi libri è un peccato non siano stati scritti sul serio (nota: lo scrittore di fantascienza Philip J. Farmer scrisse Venere sulla conchiglia, uno dei titoli attribuiti a Trout dal suo creatore in non ricordo quale romanzo, con lo pseudonimo "Kilgore Trout", appunto, che fu un tale caso da far credere lo avesse pubblicato Vonnegut stesso).

Trout, con tutta la sua assurda visione della vita, del tutto caotica, ne La colazione dei campioni parte verso l'incontro con un altro uomo, Dwayne Hoover, che sta impazzendo ma non lo sa, e che impazzirà del tutto quando leggerà un romanzo di Trout in cui si racconta che tutti gli uomini sono macchine e che un solo uomo è vero.

Questa esile trama è solo una scusa, una scusa per far liberare Vonnegut di tutta la roba che il suo cervello ha accumulato in tanti anni (come dice lui nella premessa). E' una non-storia in realtà, ma un modo per costruire qualcosa che rimane più o meno indefinito fino quasi alla fine; e allora ecco una satira geniale ed esilarante, aiutata da altrettanto geniali illustrazioni, sulla società americana, sulle macchine bianche e quelle nere, sulla pubblicità, sulla società di massa, sul consumismo, sulla guerra e sulla politica americana (incredibilmente attuale ancora oggi, purtroppo), e sulla cultura, su quello che c'è scritto solitamente nei romanzi, su quello che si considera di solito cultura, su ciò a cui si attribuisce un significato enorme, e magari è solo frutto di strategie di marketing. Sulla verità e sulle verità preconfezionate, cercate a tutti i costi e vendute come un qualsiasi altro prodotto (la colazione dei campioni era e forse è ancora il nome di una marca di cereali).

Il fatto è che non sempre c'è una verità. Vonnegut scrive un romanzo in cui entra lui stesso, a raccontarcene l'assurdità, in cui si fa Creatore e personaggio, per smontare gli stessi meccanismi del racconto, della narrazione, per collegare insieme tante di quelle cose al punto di dire verso la fine "che mettessero gli altri ordine nel caos, io avrei messo caos nell'ordine". E' quindi, alla fine di tutto, un romanzo dei più liberi mai letti da me, e credo mai scritti, anche nel linguaggio, semplice e comunque mai volgare, che non contiene verità (alcuni filosofi potrebbero discutere sul fatto che il linguaggio stesso è verità)  ma che racconta la ricerca della verità, senza nessuna assolutezza, riconoscendo la libertà degli individui nella libertà dei personaggi, a cui il Creatore alla fine donerà libero arbitrio.

Infine, un libro da leggere perché la sgargiantissima copertina non può certo passare inosservata: è il valore aggiunto che giustifica il prezzo.


 


copertina


 


Nota: qui sono a disposizione le illustrazioni del libro, per chi fosse interessato. Chissà se la Feltrinelli si arrabierà per il disegno del buco di culo copiato sopra. Vabbè, sto facendo pubblicità al libro: se venderanno due copie in più sarà anche merito mio: dovrebbero pagarmi loro...

domenica 20 novembre 2005

La verità

« "Non capisco se dici sul serio o no", fece l'autista.
"Neppure io lo saprò finché non avrò scoperto se la vita è una cosa seria o no" rispose Trout. "E' pericolosa, lo so, può fare molto male, ma questo non significa necessariamente che sia anche seria".»

Kurt Vonnegut - La colazione dei campioni

sabato 19 novembre 2005

Se lavora

Alla fine, oggi ho fatto l'ultimo giorno di lavoro. Però mi hanno prolungato il contratto fino a tutto dicembre. Quindi eccomi qua, ancora "occupato", e poco conta se ancora non ho lo stipendio di ottobre, se il lavoro è poco più di un part-time e se la precarietà ormai va accettata come un dogma (sono un lavoratore flessibile, sicuro! Però un po' di rigidità non fa male).

A dire il vero non so come prendere il prolungamento del contratto, visto che la situazione in azienda è di crisi per varie storie che non posso accennare qua; per ora intanto mi tengo impegnato; so cosa fare durante le giornate; ho una scusa per non fare niente nelle ore che sto a casa. E spero sempre di prendere lo stipendio. Ecco, nella precarietà totale mi riservo di cominciare a cercare qualcosa di meglio (e soprattutto più sicuro), nonostante la bella compagnia di cui godo al lavoro. Per ora va bene, così, poi si vedrà.

Il resto? Il resto niente, ragazzi miei. Ci sarebbero cose di cui discutere, forse, ma ora non mi va. Fatemi pensare a Roma-Juve di stasera, che è meglio.

mercoledì 16 novembre 2005

Come sono i vostri vicini?

E' una domanda legittima questa sui vostri vicini. Osservateli bene, potrebbero nascondere i semi di una nuova vita di condominio, basata su una certa libertà di costumi, violenza, ritorno a una vita tribale.
Questo è quello che suggerisce James Ballard in Il condominio, sicuramente uno dei più importanti dello scrittore inglese, che si inserisce nella sua opera orientata a descrivere i cambiamenti antropologici e sociologici determinati dalla trasformazione dell'uomo in un animale metropolitano, dall'influenza della tecnologia, sempre più importante nelle nostre vite comode, dalle costrizioni sociali imposte dalle convenzioni, dai mass media, dalla vita di relazione e dalla società post-industriale (molto si può capire da queste citazioni).


copertina

Ballard, come spesso, ci racconta le vicende di una media e alta borghesia di professionisti che costituisce una sorta di elite della società; elite però in cui si sviluppano istinti distruttivi e devianti, in una sorta di ritorno alle origini.
Il condominio in questione è un grattacielo di 40 piani, con 2000 abitanti, alla periferia residenziale di Londra; i professionisti e gli esponenti dell'alta e media borghesia che abitano il palazzo formano una classe apparentemente omogenea. Apparentemente, perché la chiusura del palazzo, il suo essere una comunità autosufficiente, fa emergere tutte le differenze fra gli abitanti di un piano e l'altro. E così, una piccola ritorsione dopo l'altra, il grattacielo si trasforma in una giungla di lotte tribali ed individuali, per conquistare i piani migliori e quindi ascendere anche socialmente.

Ballard estremizza aspetti della vita di tutti i giorni fino a scavare dentro la psicologia umana, denro i meccanismi sociali che governano i comportamenti degli individui fino a delineare una trasformazione antropologica dell'uomo: alla crescita dell'umanità, sociale e tecnologica, corrisponde una sorta di regressione ad una guerra di tutti contro tutti, a comportamenti primitivi ed istintivi, in cui vige la legge del più forte e poi nessuna legge più; in cui la violenza, il sesso, il caos, sono gli elementi primordiali iscritti nel nostro DNA, tarpati dall'educazione e dalla cultura di millenni di evoluzione, ma sempre pronti ad uscire in ogni momento.

Il quadro fornito da Ballard è, come ho detto spesso per questo autore, iperreale: fantastico ma assolutamente credibile. Si può rabbrividire delle aberrazioni che Ballard descrive con la sua scrittura asciutta e razionale; ma ad un livello più profondo certi meccanismi appaiono chiari e lineari, ed è difficile non pensare che siamo bombe pronte ad esplodere. E poi pensi un altro po' e ti dici che l'uomo è una bomba che non ha mai smesso di esplodere. Forse il condominio potrebbe diventare una città... E allora pensi alle periferie francesi in rivolta. E pensi ai grandi casermoni delle periferie italiane, agli eco-mostri, alla gente che una casa non ce l'ha e a quelli che vorrebbero una terra per il proprio popolo; pensi a tutte le periferie del mondo pronte ad esplodere, e pensi alle bombe che fanno esplodere preventivamente queste periferie. Allora capisci che non siamo poi tanto lontani dall'esplosione della psiche umana e delle società.

lunedì 14 novembre 2005

Dietro un nome che cosa c'è?

Buongiorno e buona settimana a tutti. Ieri mi stavano venendo in testa alcuni pensieri niente male da tradurre in un post. Peccato che nella mia pigrizia non ne abbia preso nota subito: peccato, erano così alti che avrebbero fatto accantonare definitivamente la "Critica della ragion pura" di Kant.

A parte questo, mi arrangio e cerco comunque di buttare qualcosa giù. Faccio un giro un po' largo. Mi hanno raccontato di una blogger (che non passa e mai passerà qua, spero) che ha chiuso il suo blog dopo che il fidanzato l'ha scoperto, perché nella blogosfera si era creata una identità fittizia da femme fatale, e il por'omo che avrà pensato? Poi stavo parlando, con una cara amica, dei nickname: cambiare nick per sparire, per trasformarsi? C'è chi non rivela ai suoi lettori il proprio nome manco sotto tortura e c'è chi si espone in prima persona come il sottoscritto. Per non parlare, poi, di chi non si pone proprio il problema. Infine c'è anche chi usa il nick, ed il blog, come un mezzo per far uscire sé stessi, per crearsi uno spazio in cui mettersi liberi a girare nudi per casa (è una metafora, se non lo avete capito) senza essere visti.

Poi ognuno avrà la sua da dire, circa il proprio nickname. Tutto questo mi fa venir voglia di accennare qualcosa sul mio, di nickname. Intanto, lo sapete tutti, non ho mai fatto mistero della mia vita, del mio nome: Stefano e PhilipDick sono senza dubbio la stessa persona, solo che a volte Stefano parla più di Phil e viceversa. Chi passa di qua da parecchio tempo mi conosce bene davvero, perché non ho mai fatto mistero delle mie passioni, di quel poco che mi accade, di quello che mi va e non mi va (ognuno poi avrà una sua immagine di Ste/Phil: come mi vedete? naturalmente chi mi conosce di più è avvantaggiato), e se qualcuno di voi dovesse farmi un regalo saprebbe cosa mi piace, forse (si aspettano doni: il mio indirizzo è...).

Ok, e allora? Vengo al punto. Perché, secondo voi, ho scelto PhilipDick come nick? Ok, non è una gran domanda, in fondo ne ho parlato tante volte.
Della mia passione per PKD sapete tutto o quasi, ma è una passione che va oltre il piacere provato a leggere i suoi libri: si tratta di aver acquisito un modo differente di leggere la realtà, di interpretare ogni cosa secondo parametri ultrarelativistici: tutto potrebbe qualsiasi cosa. Sia chiaro, ovvio, che so che il tavolo che ho davanti c'è davvero, così come il mio pc.
Quando scelsi il nick l'idea iniziale era Ubik, però era già stato preso (e ho scoperto poi diverse varianti dello stesso Ubik), e visto che volevo un nickname che richiamasse Dick allora ho optato direttamente per PhilipDick; a posteriori avrei potuto chiamarmi con il nome di qualche personaggio dei libri di Dick, chessò, Rick Deckard (già preso pure questo) oppure Joe Chip, ma sarebbe stata un'altra storia.

Al momento di aprire il mio, di blog, ormai mi sentivo a mio agio con PhilipDick, e non poteva essere dversamente.

Vengo al punto. Il fatto è che per me è sempre più naturale identificarmi con Dick, con il suo pensiero, con il suo voler sempre guardare oltre il velo che ricopre la nostra realtà per osservare quello che c'è sotto (cosa che però può portare ad un eterno circolo...). Se avessi una forte idea di una vita dopo la morte penserei addirittura che il buon Philip mi guardi e mi lanci dei messaggi; per esempio, quando lessi "Occhio nel cielo" ad un certo punto si descriveva un sistema di comunicazione con Dio, realizzato con i massimi sviluppi ottenuti nei campi dell'informatica, della semantica e della comunicazione: era il periodo in cui dovevo ancora iniziare la tesi, che non sapevo per che verso prenderla, e guarda caso queste tre discipline dovevano rientrarci, come è stato (mi immagino quel vecchio barbone che mi diceva "allora? la fai o no 'sta cazzo di tesi?").

Sapete molte cose mi accomunano a Dick, tranne che lui ha consumato quantità industriali di LSD, che ha trascorso molto tempo in cliniche psichiatriche, che a un certo punto della sua vita ha visto Dio, che gli ha parlato e si è manifestato nella forma di un raggio rosa che scendeva su di lui (esperienza raccontata in "Valis", nelle vicende del suo alter-ego Horselover Fat). Insomma se togliete queste cose...

Il fatto è che tendo a vedere la realtà opaca, traslucida: dietro c'è di sicuro qualcos'altro, solo che senza droghe psicotrope difficilmente riuscirò mai a scoprirlo...

Detto questo: i vostri nick hanno una ragione particolare? sono frutto di determinate esperienze, passioni, amori, odii, oppure sono del tutto casuali?

venerdì 11 novembre 2005

Il pensatore del terzo millennio

Quando ci si spreme le meningi si viene ricompensati così



Qui ho trovato questa notizia curiosa. La statua che vedete è all'ingresso in azienda in Yahoo!, per celebrare lo sforzo dello staff nella lotta a Gmail, che mette in crisi Yahoo!Mail. Della lotta fra i due colossi del web non me ne può importare di meno, soprattutto da quando Google è in borsa e i suoi fondatori sono ancora di più ricchi sfondati. La statua però è troppo divertente.

mercoledì 9 novembre 2005

Frank Miller's Sin City

Quando mesi fa vidi Sin City al cinema, vi dissi di come fossi rimasto affascinato dalle atmosfere di quel film, nonché dallo stesso fumetto che avevo appena scoperto. Dipenderà dai gusti, certo, ma la forza di quel film e dei fumetti di Frank Miller, che sto leggendo con piacere, risiede intanto in scelte stilistiche specifiche che rendono l'immaginario di Sin City ben delineato e riconoscibile. Il film di Robert Rodriguez costituisce la messa in scena dei sogni e delle immaginazioni di Frank Miller, le cui tavole vengono riprodotte sullo schermo scena per scena, e risulta secondo me la giusta sintesi fra due medium diversi ma allo stesso tempo profondamente simili, come il cinema ed il fumetto, per la loro capacità di creare l'immersione del lettore (in senso semiotico) nelle vicende, e di guidarlo su percorsi di interpretazione che richiamano la conoscenza del genere e degli elementi tipici di immaginario che costituiscono la base di ogni opera ben riuscita, attraverso il meccanismo della sospensione dell'incredulità.

Al di là del film, che ho adorato, è bene parlare del Sin City originale, quello scritto, disegnato ed inchiostrato da Frank Miller. La forza delle storie, che non hanno un centro, che non hanno un protagonista, risiede nel suo tuffare il lettore in due grandi aspetti dell'immaginario (e scusate se insisto tanto su questo punto, ma nel mio blog è la chiave di lettura obbligata): il genere noir, come meta-genere che ne riassume tanti e che funziona spesso da sotto-genere (per esempio come non riconoscere i toni noir in un film come "Blade Runner"?), e la metropoli, e tutte le sue seduzioni ed alienazioni, nel rapporto fra individuo e massa, fra merce e arte, fra consumo e spettacolo e delle merci.
Miller con Sin City compie una operazione di questo genere: lavora e plasma la materia dell'immaginario per ottenere un effetto narrativo accattivante, seducente, per tenere incollato il lettore alle sue tavole, ma opera anche nella direzione di descrivere un mondo aberrante, dove non ci sono buoni, dove ci sono solo interessi, dove la legge e l'etica prendono direzioni diverse dalle consuete. La Citta del Peccato (ma in realtà il nome della città è Basin City) è un concentrato di illegalità, di corruzione, di spersonalizzazione dell'individuo, del tutto assorbito all'interno degli ingranaggi che regolano la vita di Sin City, dei suoi valori e dei suoi codici di comportamento.

E non è un caso che non ci sia un protagonista della serie (sviluppata in 7 albi) ma che al centro di tutto ci sia la città stessa, con i suoi quartieri, in cui si esercita di volta in volta un potere diverso: da una parte i poliziotti, (non i buoni) che lavorano spesso per i potenti della città, dall'altra la malavita e, ancora, nella splendida Città Vecchia (splendida per le sue splendide abitanti), dove governano le ragazze, le prostitute ammalianti e seducenti, in grado di portarti in paradiso se rispetti le loro regole, e hai soldi per pagare, ma che potrebbero strapparti la pelle (ho scritto pelle, eh...) se non righi dritto.





Per spiegare la forza di questo fumetto ricorro alle parole di chi certi concetti li ha già espressi bene, nell'introduzione ad Affari di famiglia, e che ha rafforzato in me l'amore per le spede laser: "Riflettere sulla tradizione del noir e sulle sue forme ci permette di entrare nel cuore dei meccanismi narrativi di Sin City, affascinanti ma tutt'altro che semplici, specchio deformante ma non menzognero dei rapporti sociali e della stessa sostanza del potere. Miller disgrega definitivamente quella tradizione e ne utilizza le rovine semiotiche come materiale di costruzione per le sue avventure disperate e mortali, in cui crimine e peccato che impattano sul corpo individuale sono metafore della malattia più profonda che investe il corpo sociale".
Miller recupera tutta la tradizione del genere noir, a fumetti ma non solo, e rielabora immagini e personaggi tipici (il detective, il giustiziere solitario, la femme fatale...) fino a creare qualcosa di assolutamente nuovo, che coniuga un immaginario tipico sviluppato negli anni 40-50 con la sensibilità moderna e l'immaginario degli ultimi dieci anni, in cui sangue, sesso e violenza diventano, appunto, metafore di qualcos'altro, arrivando anche al pulp, se questa parola vuol dire qualcosa.

Le storie di Dwight, di Gail, della ninja-prostituta Miho, di Becky, che deve sempre telefonare alla mamma (Affari di famiglia, Un'abbuffata di morte), o di Wallace ed Esther (All'inferno e ritorno: favoloso), o ancora di Marv e Goldie (... senza titolo, solo Sin City, è il primo volume), mi hanno preso nella rete, anche per lo stile assolutamente peculiare ed originale di Miller, che con il b/n, con i chiaroscuri, lavora creando delle tavole belle da morire, che generano un effetto di iperrealtà, fino a diventare surreali (e perfino psichedeliche, come nella chicca che rappresentano alcune tavole interamente a colori di "All'inferno e ritorno"). La forza delle tavole di Miller sta anche in un montaggio che è tipicamente cinematografico, rendendo del tutto naturale il sincretismo fra i due medium (così ben realizzato nel film), sviluppandosi con inquadrature che trovano angolazioni in cui l'influsso della tradizione delle immagini in movimento è a dir poco evidente.

So di aver scritto molto, e chissà quanti hanno preferito non leggere così tante parole, ma dovevo dedicarmi ampiamente a questo post, era un debito che sentivo verso il piacere provato a sfogliare questi fumetti, su cui è bello ritornare, ogni tanto.



|Fumetti USA (Dark Horse) - Sin City (v.7): All'inferno e ritorno|       |Fumetti USA (Dark Horse) - Sin City (v.3): Un'abbuffata di morte (rist)|


|Fumetti USA (Dark Horse) - Sin City (v.5): Affari di famiglia|


martedì 8 novembre 2005

Un po' di tempo nella Città Vecchia...

Stasera un po' di tempo passato con questa gente qua...



Come si fa a non dare di matto per questa donna qui?



Per non parlare della versione di celluloide...



lunedì 7 novembre 2005

Destini incrociati

Pietro è un bambino di 12 anni, buono, dolce, studioso, che sogna di andare al liceo. E la sua migliore amica è Gloria, la ragazzina più bella della scuola, intelligente, vivace, divertente, e con un carattere niente male. Però sono diversi perché provengono da famiglie diverse, tanto è perfetta quella di Gloria tanto è sfasciata quella di Pietro con un padre ubriacone e con "guai con la giustizia"; e queste differenze si faranno sentire nello spiegare tutto quello che accade dopo, ed anche il loro rapporto speciale, che è quello di due ragazzini che non sanno cos'è l'amore ma provano qualcosa l'uno per l'altro.

Graziano è un cantante fallito che passa l'estate a Riccione a suonare nei locali e a fare il playboy (300 donne in un'estate, record della riviera) e il resto dell'anno in Giamaica; non fa un cazzo per il resto della sua vita, suona e tromba, e non c'è altro da sapere. Però è una trottola continua, un giramondo (un gran cacciaballe, pure), ma è una trotttola anche nei sentimenti, arriva il punto in cui cerca qualcosa, e chissà se lo troverà, lui, con la sua sensibilità bovina, la sua capacità di calpestare i sentimenti altrui e, quando serve, di farsi mettere i piedi in testa e comandare a bacchetta dalla prima bambola che vuole sfondare in tv. Ma che a un certo punto decide di tornare in paese
Flora è una professoressa di italiano delle medie: è una donna bellissima, ma in paese alla gente non piace, forse perchè sta sempre sulle sue, perché non fa amicizie, non si impegna a far uscire la propria personalità. Ma è una donna fantastica, ve lo assicuro, con qualche segreto da scoprire e che spiega tante cose, ma purtroppo fragile, molto fragile.

Insieme a tanti altri personaggi Pietro e Gloria, Graziano e Flora, sono i protagonisti delle vicende che si svolgono Ischiano Scalo, paese della maremma laziale dove non c'è niente da fare, che Niccolò Ammaniti racconta in Ti prendo e ti porto via.

Che dire di questo libro? E' bellissimo, ma io lo dico di tanti, vero? Beh, questo lo è davvero. Due persone mi hanno detto a distanza di tempo che questo libro fa star male, per tanto è bello, per quanto colpisce nello stomaco, per quanto smuova emozioni. Ed è vero, fa star male: perché le vicende di Pietro e Gloria e Graziano e Flora sono per certi versi le vicende di tutti. Ammaniti scava e scava fino a trovare una sorgente, e alla fine spiega nell'essenza un mare di sentimenti e di azioni umane. Però si tratta sempre di errori, errori che rivelano stupidità, immaturità, esperienze sbagliate... Nell'intrecciarsi dei fili che legano questi personaggi (insieme a tutta l'umanità provinciale che anima il libro) Ammaniti spiega molte cose ma altre le lascia lì, di fronte al lettore, che non se le spiega e soffre per Pietro, che meriterebbe un'altra vita, che se avesse 12 anni si innamorerebbe di Gloria, che vorrebbe essere Graziano almeno per il successo con le donne, che si innamorerebbe di Flora ma poi ne scoprirebbe l'immensa fragilità (ma quanto ti starei vicino io, Flora...). 



Ammaniti fa un quadro splendido, dove ogni pezzo alla fine si incastra con gli altri, dove dici per forza che doveva essere così anche se si arriva alla tragedia, e pensi quanto sia stupido Graziano, quanto sia scemo Pietro, quanto sia un po' egoista Gloria, quanto sia debole Flora... ma Graziano... ma Flora... ma Pietro... e Gloria è Gloria. E alla fine tutto si spiega, tutto ha senso, un senso tragico che risiede nelle piccole cose, nelle piccole vicende di paese. E senti che lo scrittore non doveva farti questo torto, doveva darti un lieto fine, non farti star male. Però, forse, c'è un lieto fine... C'è qualcosa che si apre, qualcosa pronto a rinascere, qualcosa destinato a ferire e a chiudere le ferite allo stesso tempo. Perché c'è da prendere e andare via.

venerdì 4 novembre 2005

Ho immaginato

Ho immaginato di essere felice davvero, di conoscere qualcuno che mi aiuti a volare in alto sopra le nuvole, come i sogni del protagonista di "Brazil";
ho immaginato di stare bene prima di tutto con me stesso, di fare qualcosa che mi piace e che mi dia soddisfazione;
ho immaginato di essere amato per ogni mio difetto;
ho immaginato di essere amato e basta;
ho immaginato di saper scrivere;
ho immaginato di incontrarti e di fare l'amore con te;
ho immaginato di rivedere la ragazza che ho conosciuto in treno domenica;
ho immaginato come sarebbe la mia vita se avessi più fiducia in me, più sicurezza;
ho immaginato di cambiare alcuni attimi, singoli momenti del passato e come sarebbe diventata la mia vita;
ho immaginato di aprirmi agli altri come un fiore, e lasciar uscire fuori tutta la mia personalità, perché credo che nemmeno io ancora la conosco bene;
ho immaginato di volare da una parte all'altra a mio piacimento;
ho immaginato di leggere tutti i libri del mondo; ho immaginato di scriverne uno, soltanto uno, che faccia piangere, ridere, innamorare, emozionare, spaventare, conoscere e imparare, addormentare sereni, e che faccia spegnere i pc e le tv;
ho immaginato di rotolarmi sull'erba, di saper nuotare, di tuffarmi fra le nuvole e assaporare la realtà;
ho immaginato che la realtà da assoporare sia di volta in volta differente;
io immagino sempre, immagino la mia vita ma non solo, anche quella degli altri, e di chi non esiste.

giovedì 3 novembre 2005

Voglia

Stamattina ho voglia di immaginare. Immaginare e basta. E' troppo che non lo faccio, ed è ora che mi lasci andare perché so di esserne capace. Perché niente è più forte dell'immaginazione e dell'irreale. Voglia di chiudere gli occhi e trovarmi da un'altra parte, accendendo le parti giuste della corteccia, far viaggiare messaggi sulle sinapsi, scatenare endorfine. Riaprire gli occhi e scoprire di avere un'altra realtà davanti, da plasmare e da costruire, come tanti pezzi da far incastrare. E poi immaginare di nuovo, e ancora, e ancora. 


Voglia di sognare.

mercoledì 2 novembre 2005

Buddha ed il cyberpunk

Mettetevi comodi, faccio una cosa che non faccio mai. Vi parlo di un libro. Non sbuffate, che mi arrabbio. E poi stavolta un libro che vi consiglio potreste pure leggerlo, sono solo 130 pagine.

Di che libro si tratta? Non siate impazienti, ve lo dico subito. Pescando non troppo a caso in biblioteca ho trovato questo libro che è stato una vera sorpresa, Forbici vince carta vince pietra, dello scrittore inglese Ian McDonald, una delle nuove e migliori leve della fantascienza contemporanea, ma soprattutto di quella letteratura di immaginario che piace a me, piena di contaminazioni e che tende a sfuggire da banali classificazioni di genere.



Questo Forbici ecc. ecc. è un libro che attinge a grandi fonti, come ho scritto nel titolo: la letteratura cyberpunk (rivista e corretta) ed il buddismo. Ma non solo, perché sarebbe riduttivo: c'è tanta cultura giapponese tradizionale insieme agli anime e ai manga, a cui il libro per certi aspetti assomiglia; c'è tanto cinema, di cui si sente l'influsso; c'è una rielaborazione continua di stili e generi, come piace a me.
E' un romanzo, questo di McDonald, che rimedia tanti aspetti della cultura di massa, li miscela e li mescola in una sorta di sincretismo tecno-spirituale. Un libro che, paradossalmente, acquista forza in funzione di un film uscito dopo, che tutti hanno visto e che è diventato un cult, Matrix (che è di 4-5 anni successivo a questo romanzo). Come nel film dei Wachowski, attinge a tematiche tipiche del cyberpunk, come la realtà virtuale e l'esistenza di grandi intelligenze artificiali che governano il mondo, e le fonde con le filosofie orientali, costruendo una sorta di viaggio spirituale e di liberazione che si realizza nella possibilità di manipolare a proprio piacimento la realtà (il finale di questo libro somiglia molto a Matrix).

Il libro racconta la storia di Ethan, che vediamo in Giappone nello svolgimento di un viaggio spirituale con l'amico Masahiko, disegnatore di anime, in mountain bike lungo il sentiero degli henro, seguendo le orme del Daishi. Ethan sente il bisogno di liberarsi e di purificarsi, perché porta con sé un segreto che andando avanti si rivelerà essere il grande potere di cui però vorrebbe disfarsi, ma che la potente burocrazia europea a cui Ethan è legato vorrebbe controllare. Un potere che nasce dalla tecnologia e dagli istinti primordiali dell'uomo, che nei secoli si sono tradotti in tutte le forme della spiritualità: il potere delle immagini e delle parole, un potere che altera la psiche di chi lo subisce e la vita di chi lo pratica.

McDonald è stato veramente una piacevole scoperta per me, perché, oltre alle tematiche di cui vi ho detto e alla capacità di utilizzare elementi di immaginario tipici per chi ha visto anime e letto manga, il romanzo scorre fluido su due binari: il percorso del pellegrinaggio per le strade del Giappone e quello fra i ricordi e i segreti di Ethan, che lo condannano a ricercare una salvezza.

Non so descrivervi meglio questo romanzo, scritto tra l'altro molto bene. Spero però di aver incuriosito qualcuno. Ah, un'ultima cosa, nel libro c'è un vero e proprio elogio alla bicicletta, tipo lo zen e la manutenzione della mountain bike: ora so che andando in bici per tanto tempo fra gli ingranaggi del mezzo meccanico ho cercato l'illuminazione. Alla prossima.