Moebius

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sabato 12 marzo 2005

Cyberpunk 1

(post scritto l’11 ottobre 2004)

 

Nei giorni scorsi ho usato il termine cyber in due post; il primo per presentare una manifestazione in corso a Firenze fatta di convegni, rassegne cinematografiche e arte contemporanea; il secondo per i cosiddetti World Cyber Games, che altro non sono che il campionato mondiale di videogiochi.

 

Oggi il prefisso cyber viene messo in tutte le salse, a volte a sproposito, altre in maniera appropriata. Ma perché parlano tutti di cyber? Intanto diciamo che il tanto decantato cyberspace (italianizzato cyberspazio o ciberspazio) è un termine che viene usato per indicare genericamente Internet e ancora più in generale tutto ciò che può essere considerato uno spazio di “informazione”.

Ma da dove viene il termine?

 

Il termine cyberspace è stato coniato da William Gibson nel romanzo-manifesto del cyberpunk, Neuromante. E proprio qualche cenno di cosa è il cyberpunk voglio dare in questo post, e in altri che seguiranno.

Con Neuromante, Gibson si è imposto come l’autore di punta di un gruppo di giovani scrittori che aveva raccolto, fra la fine degli anni ’70 e la prima metà degli ’80, tutta la sensibilità legata all’evoluzione della tecnologia e all’affermazione dei computer e delle reti di computer.

Il cyberpunk nasce in un contesto culturale ben definito e si è caratterizzato come molto di più di un sottogenere della fantascienza. Il cyberpunk è soprattutto un modo per parlare del mondo contemporaneo e dell’influsso della tecnologia sulle nostre vite, ricorrendo a (e contemporaneamente formando) un immaginario tutto nuovo in cui la vera ricchezza è l’informazione, sono i dati. Un mondo dove attraverso la tecnologia l’uomo acquista nuove estensioni al proprio corpo e alla proprio mente (alla stessa maniera in cui McLuhan intendeva i media: come nuovi organi che estendono le percezioni e le capacità).

 

Il cyberpunk quindi si è imposto come una delle avanguardie letterarie più importanti degli ultimi 20 anni, fissando qualcosa di più che un genere (a cui poi hanno attinto anche altri forme di comunicazione, a cominciare dal cinema) ma stabilendo un modo di vedere il mondo, e di viverlo (tralasciando gli elementi più propriamente di fiction), basato sulla presenza dei media e delle tecnologie, che impongono un diverso modo di leggere la realtà circostante e, soprattutto, il corpo umano e le identità psicologiche.

 

Il cyberpunk (termine la cui origine non è chiara: probabilmente lo si deve a qualche critico) ha connotato quindi un gruppo di scrittori che inizialmente amavano farsi chiamare come il gruppo dei mirrorshades, perché un elemento caratterizzante nei loro romanzi e racconti era la presenza degli occhiali a specchio, ficcati da qualche parte. Poi si è affermato il termine cyberpunk, che oggi vuol dire tutto e il suo contrario, se consideriamo che proprio gli autori che ne hanno fatto parte considerano l’esperienza del cyberpunk conclusa da più di dieci anni, a cominciare da William Gibson, quello con le maggiori qualità letterarie, e da Bruce Sterling, il teorico del movimento, nonché grande scrittore naturalmente. Come avanguardia il cyberpunk sarebbe quindi concluso, avendo esaurito la sua spinta innovativa; ma il cyberpunk rimane vivo per quello che riguarda l’influenza che ha avuto sulla nostra visione del mondo; per il suo rappresentare comunque uno stile di vita diverso, che riconosce l’importanza della tecnologia e le da un ruolo fondamentale; il cyberpunk rimane nel nostro immaginario perché rappresenta comunque un mondo dove le storture dovute ad uno sviluppo incontrollato lasciato alle mani delle grandi organizzazioni economiche e commerciali e a quelle criminali rispecchiano molte cose che non vanno nella realtà contemporanea.

 

Bruce Sterling ha definito il cyberpunk “l’integrazione del mondo high-tech e della cultura pop, specialmente nel suo aspetto underground”. Perché il cyberpunk è soprattutto un movimento pop, che affonda le sue radici nella cultura popolare, e soprattutto nelle subculture di opposizione al sistema (e da qui l’accostamento col punk).

Dal punto di vista delle tematiche trattate il cyberpunk deve molto a diversi autori, di fantascienza e non. Philip Dick ha anticipato molti temi cyber, rappresentando i suoi mondi alternativi dove espletare in maniera diversa la propria personalità, nonché per la carica antagonista e radicale dei suoi romanzi, in cui i governi sono corrotti e spesso totalitarismi mascherati in cui il singolo individuo è solo un ingranaggio.

James Ballard è un altro autore a cui il cyberpunk attribuisce una paternità morale, perché nei suoi romanzi ha raccontato le vicende di una umanità alienata che entra in simbiosi con la tecnologia; perché i temi dell’informazione, della comunicazione, dei grandi miti di massa e in genere della cultura pop, sono sempre presenti nei suoi libri.

Questo per citare due autori che conosco bene, ma ce ne sono altri come Thomas Pynchon, Akira Mishima, William Burroghs. Oltre poi a molta fantascienza classica. Ma non bisogna poi dimenticare tutta quella lettereratura in cui i sistemi mediatici e tecnologici diventano strumento del potere, ad esempio classici come 1984 di Orwell o, perché no, Il mondo nuovo di Huxley, che hanno poco a che fare col cyberpunk ma che gli autori che ne fanno parte non possono non aver letto.

 

 (fine della prima puntata)

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