Moebius

Moebius

giovedì 30 giugno 2005

Oddio, hanno resuscitato PkD!

Leggo allibito questa notizia qui, con l'idea che molto probabilmente sia una bufala, senza aver ancora approfondito. L'Università di Memphis FedEx (FedEx???) Institute of technology ha creato un androide con le sembianze di Philip K. Dick, che nei suoi libri ha messo tutte le inquietudini dell'umanità legate allo sviluppo tecnologico, e alla possibilità dell'esistenza di androidi, di simulacri, che si sostuiscano, o si possano sostituire, agli esseri umani, con una gran vena di pessimismo di fondo che si traduce però in una filosofia dove, alla fine, è la percezione di esistere a generare l'idea di vita, come gli androidi di Blade Runner: perché loro non sarebbero vivi? A volte Dick viene citato a sproposito come l'autore che ha messo in opera le paure per lo sviluppo indiscriminato della scienza, in realtà tutto torna alla domanda: cos'è la vita?


Chissà che direbbe Dick, morto nel 1982, pochi tempo prima dell'uscita nella sale di Blade Runner, a vedere il suo replicante?



L'androide è stato presentato nel NextFest (23-26 giugno) organizzato dalla rivista Wired, la bibbia dell'evoluzione tecnologica e della società dell'informazione. Quindi sembrerebbe una cosa seria. Quello che mi sconfinfera poco è che questo Dick Androide sarebbe in grado, grazie a mirabolanti sviluppi dell' Intelligenza Artificiale, di sostenere una conversazione sugli argomenti dei suoi libri: l'illusione della realtà, la confusione fra realtà e finzione, il rapporto fra l'uomo e la tecnologia, la percezione della vita e dell'esistenza. Può essere? La foto sotto è l'androide intervistato...



Mentre cerco di capirne di più io stesso, vi lascio questi due link, che trovate anche nell'articolo che vi ho indicato, se qualcuno fosse curioso.


PDick Android


Memphis FedEX Institute of technology


Ripeto la mia idea, è solo una abile manovra pubblicitaria, posto che l'androide parli davvero e interagisca in qualche modo, lo farà solo in seguito a comandi specifici in modo da simulare un comportamento intelligente, come molte applicazioni viste negli studi di intelligenza artificiale, come lo storico Eliza, con cui è possibile interagire (provare per credere) come se si fosse davanti ad uno psicologo (questa è la versione scaricabile). Ci sono poi tante persone virtuali sparse in rete, una lista la potreste trovare qui.

mercoledì 29 giugno 2005

Star Wars Fan Film Awards

La settimana scorsa me ne stavo dalla mia bella in quel di scafati, quando, vedendo la tv, mi appare su Telecapri una trasmissione incrdibile: dei veri e propri cortometraggi di guerre stellari. Erano evidentemente realizzati da fan, ma non erano per niente artigianali, anzi, quello che ho avuto modo di vedere aveva anche scene spaziali e persino un duello con spade laser!!!. Con sicurezza posso affermare che erano stati presi da internet (il formato era più piccolo rispetto allo schermo, in alto appariva la scritta Italian Star Wars Fan Film Awards). Erano in inglese con sottotitoli in italiano.


Ora, cercando sulla rete ho trovato questo sito sul quale è possibile vedere alcuni si questi filmetti. Spero che sia d'interesse per qualcuno, per Stefano di sicuro!!!


Ciao a tutti, Simone

Steamboy e la Grande Esposizione Universale (un po' di sociologia delle comunicazioni di massa)

Nei giorni scorsi sono andato al cinema, tanto per cambiare, insieme al mio amico Wiseman, per vedere Steamboy, film d’animazione giapponese di Katsuhiro Otomo (che ha firmato più di 15 anni fa il cult Akira), che ha avuto critiche contrastanti ma che a noi è effettivamente piaciuto, a partire dall’ambientazione (Esposizione Universale di Londra del1866)  e dalle premesse teoriche e sociologiche (purtroppo l’influenza di certi studi si fa sentire).

 


 

Ray Steam è un geniale ragazzino capace di mettere mano a qualsiasi macchina, degno figlio e nipote di due illustri inventori autodidatti. Un giorno riceve a casa un pacco inviato da suo nonno contenente una strana sfera con una valvola, e riceve il compito di consegnare tale invenzione (di cui non comprende l’uso) a un noto scienziato americano in visita a Londra. Ma subito arrivano dei brutti ceffi a cercare di impossessarsi della sfera.

Ray arriverà a Londra, dove in quei giorni sta per inauguarsi la grande esposizione universale, nel Crystal Palace, in cui tutte le più importanti meraviglie del mondo industriale sono messe in mostra, e soprattutto mirabili invenzioni.

 


 

Il titolo del film richiama il genere steam-punk, in cui in un preciso contesto storico si svolge una vicenda basata su presupposti tecnologici diversi (appartenenti ad epoche successive, oppure del tutto immaginari), come, nel caso del film, incredibili macchine basate sulla forza della caldaia a vapore (non a caso steam vuol dire vapore…). Interessante che l'origine del termine (stando a Wikipedia) risalirebbe in seguito al romanzo La macchina della realtà (The difference engine) (comunque il primo romanzo riconosciuto come steampunk è del 1979), scritto a quattro mani da William Gibson e Bruce Sterling, che ormai dovreste conoscere; in questo romanzo (molto interessante, ve lo consiglio) il presupposto è che Lord Babbage e Lady Ada Byron (la figlia del poeta) hanno davvero costruito il calcolatore automatico di cui avevano solo teorizzato la possibilità (per davvero: sono considerati i precursori dei moderni computer).

 


 

Il film è divertente e la vicenda è costruita bene, e chi ama questo genere di animazione non rimarrà deluso, anche perché da un punto di vista tecnico è veramente ben riuscito, un misto di animazione tradizionale e digitale (come ormai è sempre), e soprattutto le ricostruzioni digitali di Londra sono favolose ed estremamente realistiche.

 

Sulla grande Esposizione

 

Oltre ad essere un bello strumento di evasione e divertimento questo film è anche molto interessante per il tema e l’ambientazione scelta, che è quella, come detto della grande Esposizione Universale, sia da un punto di vista storico che dal punto di vista dello sviluppo della società di massa e dell’immaginario collettivo, con la messa in scena del grande spettacolo delle merci. La prima Esposizione fu quella di Parigi del 1789, che venne definita un gigantesco bazar, perché oltre ad osservare le merci il pubblico poteva anche acquistarle. La grande svolta si ebbe nel 1851, con l’Esposizione di Londra in cui venne costruito il Crystal Palace, gigantesco edificio in ferro e vetro che può essere considerato un vero e proprio «monumento alla modernità». Questa esposizione in particolare venne inaugurata dalla regina Vittoria (il primo testimonial della storia della pubblicità moderna); «La prima industria culturale di massa dispone qui della sua vetrina: le politiche e le ideologie del lavoro che si incarnano nella quantità delle merci e della loro visibilità vi trovano la trasparenza necessaria ad esercitare il loro potere, un potere che contratta con l’immaginario collettivo».

Le grandi Esposizioni hanno un doppio radicamento territoriale: uno all’interno delle città in cui vengono costruiti questi luoghi simbolici destinati alla celebrazione della civiltà moderna; l’altro all’interno del territorio dei media, essenziali per la diffusione al di là dei limiti spazio-temporali del luogo e dell’evento e al di là del pubblico dei suoi spettatori dal vivo. «In questa doppia appartenenza la spettacolarizzazione delle merci e quella dei mezzi di comunicazione trovano uno dei loro più potenti acceleratori».

«La stampa, l’illustrazione e la fotografia estendono in forma di simulacri e di narrazioni il dispositivo delle esposizioni […]. Realizzano così un processo di metropolitanizzazione del territorio, cioè una sempre più forte presenza della tecnica e delle merci, dei loro bisogni e linguaggi, al di là dei confini dello spazio metropolitano, elaboratore originario di modelli di produzione e consumo, di stili di vita, mode, desideri, mitologie».

Le Grandi Esposizioni Universali sono un centro di attrazione sia per i grandi apparati produttivi che «per l’immaginario collettivo, nel divulgare lo spirito delle macchine, la seduzione delle merci e della loro messa in scena, le mitologie moderne del progresso, le forme espressive della cultura di massa e della società dello spettacolo».

 

Queste nozioni sulle Esposizioni Universali e tutte le citazioni sono tratte da Alberto Abruzzese, “Poteri: massa e merci”, in Abruzzese, Borrelli, L’industria culturale, Carocci, 2000.

martedì 28 giugno 2005

Quando qualche parola entra nella nostra vita

È parecchio che non scrivo niente di me, o quasi, e qualcuno, forse, se c’è qualche lettore attento, ci avrà fatto caso. È perché un po’ non ritengo di avere grandi cose da rivelare al mondo, e un po’ perché preferisco tenere per me i pensieri che in questo periodo mi feriscono e mi fanno vivere in un perenne black-out emotivo e razionale.

 

Per questo motivo, per questo black-out che vivo, scrivo poco di me. Per questo motivo faccio sempre meno cose. Per questo motivo mi butto sui libri, così mi rilasso. Per questo motivo mi guardo un film. E non faccio niente. È un black-out che va avanti da un po’ di tempo, e non dipende da nessuno, o, se vi dipende, solo in parte. Il fatto è che psicologicamente sono un disastro, sono instabile, e cerco sempre qualche appiglio che tirarmi su ma di appigli ne vedo sempre di meno. Non ho equilibrio, come ho detto tante volte, e devo trovarlo, per forza. Sennò finisce che mi disgreghi al vento, granello dopo granello. Mi chiedo quanto sia rimasto di me.

 

Non ho motivi apparenti per stare così, eppure mi sento fragile e incompleto. Mi manca qualcosa, mi manca sempre qualcosa. Avrei bisogno che accadesse qualcosa, qualche piccolo evento che cominci a ridare e a spiegare il significato di questa esistenza.

 

Ancora una volta mi ritrovo a scrivere di come a volte leggendo un bel libro si ha l’impressione che quelle pagine mi aspettavano, da sempre. Vi voglio parlare, anche se ho solo superato la metà, di Dance Dance Dance di Haruki Murakami, un libro magico, direi.

Il protagonista senza nome del libro (chissà se lo troverà alla fine, secondo me no: forse sta qui la magia, è facile immedesimarsi in un personaggio senza nome) è un giornalista free-lance (che si occupa di eno-gastronomia) che si trova a fare il proprio lavoro più perché va fatto e lo pagano che per altro (è come spalare la neve, spalare la neve della cultura). Però viene da un periodo di buio nella propria vita, da cui ne è uscito con lo scopo di trovare una spiegazione ed un significato da attribuire alla sua esistenza. Questo significato comincia a cercarlo nelle piccole cose, in strani e misteriosi viaggi, in piccoli incontri con persone a lui in qualche modo affini e, soprattutto, immergendosi nella realtà, ficcandoci dentro la testa per vedere quello che c’è sotto.

 

È un libro molto metafisico, surreale, in cui quello che appare reale sembra, più probabilmente, artificioso, come se la gente avesse sempre una maschera sul viso, che cala solo in rari momenti, e come vivessimo solo in un grande set (ma con alcune persone, quelle giuste, si può calare la maschera, anzi, cade da sola).

E quello che invece appare del tutto irreale, inesistente, vacuo, frutto di sogni o di illusioni, è invece davanti a noi, e dobbiamo rassegnarci alla sua esistenza, anche perché è l’unica cosa che aiuta a rimettere ordine, anche se sembra avere a che fare con una dimensione diversa della nostra realtà, con una dimensione forse psicologica, forse paranormale, forse reale quanto l’altra, solo che non tutti sono in grado di guardarvi dentro.

Perché se stiamo perdendo i fili della nostra vita l’unica cosa che possiamo fare è danzare, seguire i passi, che prima saranno titubanti, incerti, perché appaiono nuovi, ma poi li ricorderemo cominceremo a danzare senza fermarci. E danzando si attraversa tutta la pista, si scopre che tutto è collegato, ogni evento e ogni incontro, e forse si tesse una trama dotata di senso.

Forse c’è un uomo pecora per ognuno di noi, che assume forme diverse e parla lingue diverse, ma che saprà indicarci, comunque, la via per iniziare la danza.

 

Ecco, in questo momento mi sento senza appigli. Non conosco i passi, e aspetto che qualcuno mi faccia un segno per capire da dove iniziare. Ho bisogno di ricaricare le batterie, e di rimettere a posto i granelli di sabbia scappati, portati via dal vento. E allora muovermi, piano piano, e danzare.

lunedì 27 giugno 2005

Guarda casa tua dal satellite!

Da pochi giorni Google ha inaugurato un nuovo servizio di mappe, molto interessante perché non solo fornisce le mappe stradali ma anche le foto via satellite. C’è stata una polemica circa il fatto che le foto via satellite fornite da Google coprono in qualche maniera gli obiettivi sensibili americani (Casa Bianca, Pentagono, ecc.) per ovvi motivi di sicurezza nazionale ma lasciano del tutto scoperti i possibili obiettivi del resto del mondo (potete leggere sul Corriere della Sera).

 

A me di questo mi importa veramente poco. È invece interessante il fatto che possiamo giocare con queste mappe fino a trovare, per esempio, casa nostra, zoomando man mano finché non arriviamo dove vogliamo.

 

Questa è Roma (purtoppo salvando la foto me ne da solo una porzione)

 


 

Questo è il centro di Roma (anche qui il salvataggio è solo parziale. Oltre all'isola Tiberina, si riconoscono bene, in alto, Piazza Navona ed il Pantheon)

 


 

Questo è il mio quartiere (e si riconoscono bene viale Marconi, ponte Marconi, via e Piazza Enrico Fermi, via Oderisi da Gubbio, piazza della Radio)

 


 

 

 

Questo è il mio palazzo (evidenziato in rosso: le frecce indicano approssimativamente il mio portone e il mio terrazzo, che si vede poco perché in ombra)

 


 

 

 Mi sono laureato qui, questa è la facoltà di Scienze della comunicazione, via Salaria (la freccia indica il punto quasi preciso dove si trovava l'aula in cui sono diventato dottore)

 


Questa invece è la piana del Fucino in Abruzzo (e quella specie di freccia indica la città di Avezzano): tutti i quadratini tipo mosaico sono i campi coltivati

 


 

Questo è Luco dei Marsi, in Abruzzo, dove passo parte dell’estate da 26 anni.

 


 

E questo è ancora il paese al massimo dello zoom consentito da Google maps per i piccoli centri

 


 

Ad altri il commento su questo servizio, che io trovo divertente. Alcuni diranno: e al privacy? E la sicurezza? Boh, non mi pongo il problema, secondo me è un peccato che il massimo dello zoom consentito non permetta di vedere me mentre sto a leggere sul terrazzo! Certo, che se pensiamo che con i satelliti teoricamente siamo tutti sorvegliabili…

domenica 26 giugno 2005

Pena di morte 2005

Giorni fa è stato diffuso il Rapporto 2005 dell’associazione Nessuno tocchi Caino sulla diffusione della pena di morte del mondo. Mi sembra giusto parlarne perché non tutti possono sapere quanto questa pratica sia ancora diffusa nel mondo, non solo negli Stati Uniti, in cui avvengono le uniche esecuzioni di cui di solito parlano i nostri media.

 

Potete trovare una versione abbastanza dettagliata dei contenuti del rapporto sul sito di Nessuno tocchi Caino, io riporto solo alcuni dati che mi sembrano particolarmente significativi.

 

I paesi che nel 2004 hanno deciso di abolire la pena di morte per legge o di fatto sono 138, mentre quelli che ancora la mantengono sono 58, a fronte dei 61 del 2003 e dei 64 del 2002. C’è una lieve tendenza alla diminuzione della pena capitale anche nel numero delle esecuzioni, 5476 contro le 5607 del 2003.

La quasi totalità di queste esecuzioni è avvenuta in Asia, dove la Cina con circa 5000 esecuzioni è il paese che raccoglie oltre il 90% delle esecuzioni mondiali. A seguire, in questa triste classifica ci sono l’Iran, con 197 esecuzioni (rispetto alle 154 dell’anno prima), e, terzo, il Vietnam con 82.

Nel continente americano se non fosse per gli Stati Uniti non esisterebbe la pena di morte (negli USA sono stati effettuate 59 condanne, ma la tendenza è in leggera diminuzione).

In Europa l’unica eccezione è la Bielorussa (5 esecuzioni), mentre paesi come Grecia e Turchia hanno abolito definitivamente la pena di morte dai loro ordinamenti.

In Africa soltanto tre stati mantengono ancora la pena di morte, Egitto, Sudan e Somalia (con un totale di 9 esecuzioni).

 

Va sottolineato come la stragrande maggioranza delle esecuzioni avvenga in paesi dittatoriali o illiberali, in cui, tra l’altro, non vengono nemmeno diffuse cifre ufficiali sulle condanne a morte (si stima che in Cina migliaia di persone vengano uccise sommariamente sul posto al momento dell’arresto: la cifra reale delle esecuzioni in Cina potrebbe avvicinarsi alle 10.000 persone). Va considerato poi che in questi paesi, dove la maggioranza delle condanne viene eseguita per reati di droga o di criminalità comune, molto spesso dietro questi reati si celano le esecuzioni degli oppositori ai regimi o di appartenenti a minoranze etniche e religiose.

 

I paesi democratici in cui è in vigore la pena di morte sono 14; sono state 4 le democrazie che nel 2004 hanno eseguito 65 condanne a morte, 59 gli USA, 3 Taiwan, 2 Giappone, 1 India.

 

4 sono stati i paesi che hanno ripreso le esecuzioni dopo anni di sospensione, il Libano, l’Afghanistan (in cui c’è stata una lapidazione extra-giuridica), l’India e l’Indonesia. L’Iraq ha reintrodotto la pena di morte nel suo ordinamento e l’Autorità Palestinese ha giustiziato 4 detenuti per omicidio, dopo 3 anni dall’ultima esecuzione.

 

Mi fermo qui, ma ci sarebbe ancora tanto di cui parlare, come le esecuzioni di minori (5 nel 2004) o sulle donne. Per non parlare di come la “guerra al terrorismo” diventi strumento di repressione interna dei regimi dittatoriali “amici”, che sfruttano questa propaganda contro gli oppositori.

 

Spero che qualcuno si senta sensibilizzato contro quella che io considero una vera e propria barbarie, e chi mi conosce sa quanto io possa incazzarmi su questo argomento. La civiltà si misura anche sulla capacità di uno Stato di punire ogni reato nel rispetto della vita e della dignità umana; la superiorità morale di chi deve amministrare la giustizia si vede proprio nell’uso equo della forza giuridica. Non credo che sia reato che possa giustificare la pena di morte, nessuno.

sabato 25 giugno 2005

Per confermare il post di stamattina...

"Essere stanchi e nervosi è la condizione ideale per entrare nel mondo di scrittori come Faulkner o Philip K. Dick. Negli altri periodi meglio evitarli"


Haruki Murakami - Dance Dance Dance


Quello che dicevo stamattina, certi libri sembrano fatti apposta per noi. Di Faulkner non saprei che dire (fa parte di quella sterminata di scrittori che non ho mai letto), ma per Dick, ha quasi ragione Murakami. Dico quasi perché mica è detto che bisogna solo essere nervosi per leggere PkD. Però quando vi pare che il mondo giri al contrario, vi sentite fuori luogo, e non riuscite a spiegarvi niente di quello che accade intorno a voi, leggere Dick fa bene. Non perché vi schiarirà le idee, ma perché ve le aggroviglierà ancora di più, e vi farà pensare che c'è qualcuno ancora più fuori posto di voi, nel mondo, che più di voi non sa che parte andare (a cominciare dal defunto PkD, ovviamente).

sshhh!

Ho parlato più volte della mia passione per i libri, per quello che c’è scritto dentro e per gli oggetti in quanto tali. Il fatto è che quello dei libri è mondo strano in cui tuffarsi. Il più delle volte trovo sempre il modo di buttarmici dentro o quando sono triste o quando sono allegro, ogni momento è buono. Soprattutto quando mi gira male, i libri sono amici che difficilmente voltano le spalle, che ci ascoltano, e che ci parlano soprattutto.

Un libro comincia a parlare fin da quando entri in una libreria o in una biblioteca, e giri fra gli scaffali cercando di individuare quelli che fanno al caso tuo. E la scelta non sempre è facile, per me che, appena mi ficco fra le pile di libri, ne individuo subito un bel mucchio che potrebbero piacermi. Allora come si fa a scegliere? Li si ascolta, i libri. Dico davvero, non ce ne accorgiamo, nemmeno io me ne accorgo, e se accade me ne ricordo solo saltuariamente, come ora.

Hanno strane strategie per farsi riconoscere da te, alcuni urlano, strepitano, sono pieni di lucine colorate e suonano il clacson: ehi, mi comprano tutti, tu che fai? Passi oltre? Sono chiassosi, e forse proprio per questo li eviti. Altri invece stanno zitti, sicuri che nessuno nemmeno li guarderà. Molti, forse la maggioranza, fanno un fischio, o un cenno, per richiamare l’attenzione di quelli che sanno potrebbero apprezzarli. E poi bisbigliano nelle orecchie dei possibili lettori, per farsi acquistare. Naturalmente il linguaggio è strano e spesso non lo capiamo, a volte però a livello inconscio ci facciamo guidare da quei sussurri, a seconda del nostro umore.

Ci sono i libri bulli, che cercano di mettersi in mostra, quelli che si fanno gli affari loro, quelli che restano nell’ombra e che sbucano da un vicolo per proporti un affare (spesso sono fregature, ma qualche volta si cela una sorpresa). E ci sono quelli che ti sono simpatici, che sono un po’ solitari, che se ne stanno per i fatti loro, ma che pensi sempre possano essere più grandi di quelli che sembra. Si tengono volutamente nascosti, perché aspettano la persona giusta. E allora iniziano a parlare, parlano e ti parlano di te, o di come ti senti, o di come eri un tempo, o di come potresti essere in futuro. Ma parlano invariabilmente di te.

mi è capitato più volte. E anche ora, per esempio, con il brano che riporto.

 

«Ci sono persone che riconoscono la mia “normalità” e ne sono attratte. Queste rare persone e io ci attiriamo a vicenda, come pianeti sospesi nel buio dell’universo, che una forza irresistibile avvicina l’uno all’altro, per poi allontanarli di nuovo. Mi cercano, creano un bel rapporto con me, e un bel giorno se ne vanno. Possono essere amici, amanti, mogli. Anche nemici. Ma sempre, prima o poi, se ne vanno. Per stanchezza, disperazione, o perché le cose che avevano da dire si erano esaurite, come un rubinetto che non da più acqua. Da me ci sono due porte, una per entrare e una per uscire. Rigorosamente diverse. Dalla porta d’ingresso non si può uscire e da quella d’uscita non si può entrare. Tutti seguono questa regola. Possono variare le modalità, ma tutti finiscono per andare via. C’è chi è andato via per sperimentare nuove, chi per risparmiare tempo. Qualcuno è morto. Fatto sta che non è rimasto nessuno. Tranne me, unico superstite. La loro assenza è sempre con me. Le loro parole, i loro respiri, i motivi canticchiati a bassa voce, aleggiano come polvere negli angoli di casa mia.»

 

Haruki Murakami – Dance Dance Dance

 

venerdì 24 giugno 2005

Povero pupo!

Finalmente comincia a spiegarsi la fobia del Presidente del Consiglio per i comunisti. Finalmente abbiamo scoperto da dove deriva tutto questo! Da un trauma infantile che il nostro ancora ricorda, e che ha influenzato tutta la sua vita, impostata fin da quando intraprese la carriera di cantante sulle navi da crociera (con l'intenzione di sterminare i rossi a forza di Do).


Come riportato qui, il nostro ha dichiarato che all'età di 12 anni mentre attacava manifesti per la campagna elettorale della DC per le prime elezioni per il Parlamento italiano, nel 1949, venne picchiato da un gruppo di comunisti. A casa, il povero, disse alla madre cosa successe ma lei, convinta che ne avesse combinata qualcuna delle sue (evidentemente la madre lo conosce bene: che sia comunista pure lei? Era già un perseguitato politico), gli diede il resto. DI botte si intende.


Capito che uomo? Ha sfidato le sue paure per affrontare in faccia i comunisti che lo picchiarono (uno, sembrerebbe, somigliava a Prodi), sennò avrebbe fatto altro. Cazzo, ad avere una macchina del tempo sarebbe da tornare indietro e salvare dal pestaggio il bambino. Non si sa mai... O forse bisognava picchiare più forte?

giovedì 23 giugno 2005

Le quaglie!

D'estate non c'è mai niente da vedere in tv, però stasera per una volta c'è qualcosa da non perdere, Dove osano le quaglie, su Rai Tre, con Marco Presta e Antonello Dose che in radio da 10 anni sono, invece che quaglie, conigli, con la trasmissione Il ruggito del coniglio su Radio Due, tutte le mattine in onda fino a un paio di settimane fa (ci risentiamo a settembre), e che ascolto da 3 anni, facendomi rallegrare.


Questa prima serata (e la settimana prossima ce ne sarà un'altra) segue le seconde serate che sono andate in onda quest'inverno. La comicità e l'ironia dei due conigli trasportata in tv funziona sempre, con quelle piccole prese in giro di vizi e virtù italiche, e con una satira leggera ma pungente (in radio si sfogano di più però, sarà che la platea è, forse, minore). Vabbè torno a vedere le quaglie, tanto non credo che nessuno si preoccupi.

Stai parlando con me?

Avrete sentito che l’American Film Institute ha stilato la classifica delle 100 frasi più famose della storia del cinema (americano, ovviamente). Queste classifiche trovano sempre il tempo che trovano, ma sempre meglio che parlare della top 100 delle minchiate di Burlesconi o di Rutelli. Trovano il tempo che trovano, queste classifiche, perché ognuno ha i propri film e attori preferiti e perché poi anche il cinema italiano qualche frase da ricordare potrebbe averla prodotta (oltre ai maccheroni di Alberto Sordi e al francese maccheronico, appunto, di Totò e Peppino: ma se magna solo qui da noi?) e quindi le battute che più sono rimaste impresse nella memoria.

 

Al primo posto della classifica è stata piazzata “francamente me ne infischio” (Clark Gable, Via col vento), poi “sto per fargli un offerta che non può rifiutare” (Marlon Brando, Il padrino), “tu non capisci! Avrei potuto essere rispettato, avrei potuto essere un lottatore. Avrei potuto essere qualcuno invece di essere un buono a nulla che è quello che sono” (sempre Brando, Fronte del porto).

 

Altre frasi in classifica: “adoro l’odore del napalm al mattino” (Robert Duvall, Apocalypse Now); “che la forza sia con te” (Harrison Ford, Guerre Stellari), “il mio tesssssssoro” (Gollum, Il signore degli anelli), “stai parlando con me?” (Robert De Niro, Taxi Driver), “suonala ancora, sam” (Ingrid Bergman, Casablanca), “E. T. telefono casa” (ET), “Rosebud!” (Rosabella, in italiano: Orson Welles, Quarto potere), “I’ll be back” (Arnold Schwarzegger, Terminator), o, ancora Schwarzy, “Hasta la vista, baby” (Terminator 2), “Adrianaaaaa” (Silvester Stallone, Rocky), “Carpe Diem” (Robin Williams, L’attimo fuggente), “Toga, toga!” (Animal House).

 

L’elenco è comunque incompleto, a quanto ho letto non c’è nemmeno una battuta di Woody Allen (“qui ci vorrebbe uno pratico”, di fronte ad una donna nuda, Play it again, Sam, oppure la sopravvalutazione del cervello in Manhattan), che ne ha partorite a bizzeffe, e nemmeno una da Pulp Fiction che è pieno di dialoghi ad effetto. Oppure da The Blues Brothers, “ho visto la luce” oppure, “siamo in missione per conto di Dio”, come si fa a dimenticarli?

 

Per l’elenco completo delle 100 quotes vi rimando al sito dell’AFI (American Film Institute)

 

Ma a parte le chiacchere, quali sono le vostre frasi preferite? Quelle frasi che citate quando dovete tirarvi fuori da una situazione e non sapete che dire, oppure che riassumono un momento della vostra vita, o che vi ricordano qualcosa.

 

Le mie sono, in ordine sparso (oltre ai Blues Brothers):

 

Che la forza sia con te

 

Ho visto cose che voi umani non potete nemmeno immaginare (Rutger Hauer, Blade Runner)

 

Sono il signor Wolf, risolvo problemi (Harvey Keitel, Pulp Fiction)

 

Di fronte a qualsiasi avversità della vita, questi sono veri e propri mantra.

 

 

 

 

 

 

mercoledì 22 giugno 2005

Andiamo a giocare a Titano?

Il gioco è uno dei temi più spesso presenti nei libri di Dick. Ed è, ovviamente, l’asse portante de I giocatori di Titano, uno dei libri scritti nella fase di massima prolificità e di qualità narrativa dello scrittore americano, a ridosso di libri come Ubik, L’uomo nell’alto castello (noto anche come La svastica sul sole), Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (Blade Runner), e per questo non spicca fra capolavori del genere. Rimane comunque un buon libro, in cui molti temi cari a Dick si fondono con temi classici della fantascienza.

 

La Terra è un pianeta quasi disabitato perché una guerra globale ha reso sterile la maggioranza della popolazione. Sul pianeta  si sono stabiliti i vug, gli abitanti di Titano, esseri dalla forma indefinita, una sorta di enormi gelatine intelligenti e telepatiche, che in pratica hanno imposto agli umani le loro regole e governano di concerto con le autorità umane. Quel che resta dell’umanità è impegnata in un gioco portato dai titaniani, il Bluff, un misto di Monopoli e Poker, attraverso cui i terrestri vincono o perdono proprietà vere (intere città e regioni, visto la scarsità della popolazione) e, soprattutto, si decidono i propri rapporti amorosi, visto che è l’esito delle partite di Bluff a stabilire chi è sposato con chi.

Il gruppo di gioco Volpe Azzurra, di cui fa parte il protagonista Peter Garden, è al centro di una trama che coinvolge umani e titaniani, e da cui dipendono le sorti del pianeta e dell’umanità.

 

Il tema centrale come detto è quello del gioco, che oltre ad assolvere le funzioni di cui si è detto, è il perno intorno a cui gira non solo il romanzo, ma per certi versi tutta la fantascienza di Dick. Il tema del gioco è presente in molte storie dickiane, come nel primo romanzo di Dick, Lotteria dello spazio, oppure nei racconti e nei romanzi dove è presente la bambola Perky Pat, o, ancora, nel libro, Labirinto di morte (se avete visto il film eXistenZ, di Cronenberg, che è una rielaborazione di tutta la fantascienza dickiana, capirete bene cosa intendo). Nel gioco si proiettano i dubbi e le incertezze sulla realtà percepita: il gioco è, spesso nei libri di Dick, la porta attraverso la quale si accede alla realtà o se ne esce, e che comunque determina il naturale corso delle cose. Forse anche perché tutta l’opera dickiana, imperniata sul relativismo, fa propria l’idea della casualità della vita e degli eventi, a partire dal Big Bang, direi.

Nel libro poi sono presenti altri temi tipici come le proprietà psi (la telepatia, la telecinesi, la precognizione), il pessimismo di fondo che si realizza quasi sempre in personaggi deboli e meschini, donne forti e dure vs donne fragili e ingenue (le due tipologie di donne che a fasi alterne Dick sposava), la difficoltà di distinguere realtà e finzione (anche se in questo libro i confini sono abbastanza netti), i simulacri degli esseri umani e l’idea simulacrale della realtà stessa.

 

Non è uno dei capolavori di Dick, ma è un libro comunque piacevole da leggere, con colpi di scena e toni da thriller, anche se con meno riflessioni filosofiche del solito. Da leggere dopo qualcuno dei capolavori che cito sempre.

martedì 21 giugno 2005

«Eravamo davvero un bel gruppo. Un buttafuori del Texas orientale, un nero frocio, una ex reginetta della Patata Dolce, un ex killer nonché reverendo in pensione alto un metro e novantacinque, e un nano dai capelli rossi con un carattere a dir poco particolare. Per essere al completo mancavano solo un paio di venditori di auto usate, una scimmia e un organetto a manovella.»

 

Joe R. Lansdale - Rumble Tumble

 

La recensione completa di questo libro, se vi è piaciuta 'sta citazione, la trovate qui.

lunedì 20 giugno 2005

Sono maniaco compulsivo

Sono un maniaco compulsivo! Sì, lo ammetto ho bisogno di aiuto! Come altro potrebbe spiegarsi il fatto che quando sono triste mi dedico ossessivamente allo shopping? Naturalmente non compro scarpe, borsette, cappellini. No, signora mia.

Mi butto in libreria. Che novità, eh?

Allora, ecco gli ultimi acquisti, non si sa mai che qualcuno dovesse trovare qualche bel consiglio. Approfittando degli sconti che in questo periodo si trovano sempre in libreria ho investito un po’ di soldi, consapevole del fatto che il capitale non ritornerà mai. Un investimento a perdere? Peggio della Parmalat?

 

Cominciamo. Dance Dance Dance, del giapponese Haruki Murakami, consigliato da Zoe. Un folgorante noir giapponese, come dice la copertina. A dire il vero l’idea era di comprare, sempre dello stesso autore, Tokyo Blues e Norvegian Woods, che avevo regalato tempo fa ad una amica (e il giudizio è stato ottimo) ma la quarta di copertina di quest’altro mi è parso più interessante, più “divertente”, si può dire di un libro?

Poi, Quattro amici, dello spagnolo David Trueba, consigliato da Nikkio, anche se a dire il vero il nikkione aveva consigliato un altro libro dello stesso autore, ma anche stavolta quest’altro mi è parso più promettente (sia chiaro che la scelta è stata casuale: nessuno creda che per comprare un libro ascolto Nikkio: ne va della mia reputazione).

Poi due libri di uno dei miei autori preferiti, James G. Ballard. Si tratta di Il condominio e Il mondo sommerso, due delle opere più interessante di uno dei più grandi scrittori inglesi del ‘900, che ha contribuito non poco a sdoganare la fantascienza, con libri come Crash, di cui vi ho già parlato.

Ancora, Maneggiare con cura, di Joe R. Lansdale. Una antologia di racconti noir, thriller, horror, grotteschi e fantastici, di uno degli scrittori americani contemporanei più interessanti. Mi è piaciuto talmente tanto Rumble Tumble che sto leggendo in questi giorni, anzi divorando, a dire il vero da ieri, e penso di finirlo oggi massimo domani (tanto non è grosso): un noir surreale e divertente, con toni da black-comedy, pieno di colpi di scena e di personaggi assurdi e improponibili.

sabato 18 giugno 2005

Appello!!!!

A.A.A. DVD Blade Runner cercasi!!!!

 


 

Ma vi pare giusto che il DVD di Blade Runner sia introvabile perché fuori catalogo? Pare che verrà ripubblicato, forse, l’anno prossimo. E intanto io non lo posso comprare. Quello che proprio non riesco a capire è come sia possibile che un film come Blade Runner vada fuori catalogo, mica stiamo parlando di un film muto cecoslovacco del ’23…

La cosa bella è che anche usato è quasi impossibile da trovare. Mi sono persino buttato su e-bay e lì vendono perfino DVD masterizzati (che nelle aste raggiungono cifre folli: uno stamattina era arrivato a 35 euro! Ma siete matti? Me lo noleggio e me lo faccio masterizzare da qualcuno a quel punto), e se qualcuno mette in vendita un DVD originale anche lì non c’è partita, bisogna essere dei paperoni… Visto che il disco è raro e pare che la gente lo cerchi, mica solo io. Cazzo, ripubblicatelo!!!!

 

Non è che là fuori c’è qualcuno con un DVD del film di Ridley Scott che non vede da tanto tempo e che proprio non gliene frega niente? Glielo pago bene… Purché sia una cifra onesta…

 

venerdì 17 giugno 2005

Voglio andare nella città vecchia...

Ieri notte sono stato nella Città del Peccato, fra le puttane più belle del mondo e i peggiori ceffi che possiate trovare, gente che potrebbe farvi fuori con un soffio, ma non gli toccate la mamma, mi raccomando.

Sin City è una città particolare, domina da sempre la famiglia Roark, e tutto quello che può esserci di sporco lì lo troverete di sicuro. E state certi che sarete costretti a rivedere i vostri parametri di giudizio, perché tutto è marcio e niente è interamente pulito. Anzi, forse nemmeno un po’. E poi, ribadisco, le donne ragazzi… vale la pena farci un salto solo per vedere ballare Nancy al Kadie’s, o farvi un giretto per la città vecchia, troverete una dea che profuma d’angelo che vi farà sentire in paradiso…


 

 

Insomma, se non si è capito Sin City mi è piaciuto un casino. Come saprete il film è tratto dai fumetti di Frank Miller (un grande, come può dirvi il Nikkio) ma non solo è tratto dai fumetti, è i fumetti stessi: in pratica è il fumetto animato, riversato su pellicola e supporti digitali vari. Perché ogni inquadratura, ogni piano, ogni sequenza, è presa direttamente dai graphic novel di Miller, riproducendone ogni tavola e vignetta. E poi la stessa sceneggiatura e i dialoghi provengono dritti dritti dal lavoro di Miller (che infatti compare nei credits come regista accanto al grande Robert Rodriguez, oltre allo special guest director Quentin Tarantino, che ha fatto visita un giorno sul set, in quanto amicone di Rodriguez).

 

 

È un film a episodi, diciamo così, che girano tutti intorno al Kadie’s, il locale dove si esibisce Nancy (la bellissima Jessica Alba, quella che in tv faceva Dark Angel, che guardavo solo per lei). Così conosciamo Marv (Mickey Rourke), così brutto che non è mai riuscito ad avere una donna neanche pagandola, ma capace di uccidere un uomo solo a mani nude, ma che una notte ne ha trovata una che pareva un angelo; Hartigan (Bruce Willis), vecchio poliziotto, pieno di acciacchi, ma deciso a fare giustizia;


 

le puttane della città vecchia, fra cui la bellissima e spietata Gale (Rosario Dawson, la stupenda ispanica de La 25a ora) e la piccola Becky, che deve sempre telefonare alla mamma (Alexis Bledel: la ragazzina della serie tv Gilmore Girls, o meglio, Una mamma per amica…); Dwigth (Clive Owen), l’uomo di Gale, che è riapparso a Sin City dopo tanto tempo, e nemmeno lui è un tipo tanto semplice da tenere; Jacky Boy (Benicio Del Toro: bravissimo, lui e la sua testa), un tipaccio pure lui, ma è anche quello che non immagineresti mai.

Il cast è fantastico, tra gli altri ci sono anche Rutger Hauer (ah, caro vecchio Roy Batty…) nei panni del cardinale Roark ed Elija Wood (Frodo è diventato cattivo).

 




 

Le storie sono un cocktail di noir e azione, storie, paradossalmente, piene di sentimento, avvincenti, che ti incollano alla poltrona. Tutto quello che vedete a Sin City potrebbe essere diverso da quel che sembra, andateci sempre con i piedi di piombo, e un pezzo di ferro in tasca fa sempre comodo. E qui è tutto merito di Miller, che ha scritto e disegnato il tutto.

Robert Rodriguez (regista che adoro: “Dal tramonto all’alba”, “C’era una volta in Messico”) ci ha messo altrettanto del suo, con una vividezza delle immagini, una vita data ai personaggi d’inchiostro, che vi fa sentire davvero all’interno della pagine di Miller. La fotografia in bianco e nero, condita da qualche breve di colore (che da un tocco di iperrealtà favoloso) è bellissima, alcune inquadrature meriterebbero di stare in un quadro, giuro. Naturalmente, credo, il ricorso al digitale si dimostra indispensabile per una resa così sullo schermo: un vero piacere per gli occhi.

 

Quindi un film da vedere, che non lascerà deluso nessuno, credo. Qualcuno, che non ama un certo tipo di cinema, potrebbe trovarlo un po’ troppo patinato, come un’edizione di lusso di un fumetto, ma chi ama vedere qualcosa di “bello” su uno schermo cinematografico ne resterà piacevolmente colpito.

giovedì 16 giugno 2005

Laurea e lavoro: io speriamo che me la cavo

Questa inchiesta di Repubblica, che trovate qui, è davvero molto interessante e vale la pena leggerla approfonditamente, anche se lunga. A partire da fonti Istat, emerge un profilo dei laureati italiani veramente disarmante per chi come me si avvia a cercare lavoro. Quello che viene evidenziato, da più di un sociologo (non vi annoio con i particolari, come detto potete trovare tutto sul sito di Repubblica), è che la mobilità sociale determinata dal titolo di studio è ancora molto bassa, nonostante sia molto più alta tanti anni fa. Però resta il fatto che chi proviene da classi medio alte ha il 50% di possibilità di laurearsi, un figlio di impiegati il 30%, quello di un commerciante il 10% e, infine, il figlio di un operaio il 7-8%, e quest’ultima è la categoria in cui rientro, con grande orgoglio, io. A leggere questi dati sembra che ho fatto un miracolo, complimenti dottor Dick. 

 

In mezzo c’è la scuola, che sembra essere il vero grande spartiacque, perché è lì che i ragazzi si formano per la prima volta, e lì si acquisisce la possibilità di scegliere la facoltà giusta, non solo per le proprie capacità, ma anche per trovare lavoro.

Perché, è noto, non tutte le lauree sono uguali. Le lauree scientifiche, ingegneria, medicina, economia, architettura, sono quelle che lasciano più possibilità di impiego, mentre quelle umanistiche e sociali sono notoriamente quelle che sfornano più disoccupati e soprattutto gente che alla fine si adatta a fare quello che trova, laurea o non laurea. Quelli laureati nella prima categoria hanno molte più possibilità di trovare un posto fisso (fra i 2/3 e i 4/5, la proporzione), mentre solo un terzo degli altri laureati lo trova entro 3 anni, e soprattutto nel suo campo di studi.

Ma soprattutto quello che colpisce è il fatto che le lauree più spendibili sul mercato del lavoro sono scelte, in genere, dai figli delle classi più agiate, mentre le lauree umanistiche e sociali sono scelte in percentuali via via maggiori da chi proviene dagli strati sociali più bassi. La spiegazione potrebbe essere che questa seconda categoria di lauree richiede costi minori (niente laboratori, niente attrezzature specifiche, tipo per chi deve fare architettura) e permettono di seguire i corsi in modo più saltuario, e quindi, eventualmente, di lavorare durante gli anni di studio.

 

Altro dato importante, che emerge da alcune ricerche, è che in Italia l’80% dei laureati trova lavoro grazie alle conoscenze e all’interessamento di parenti e amici (e state certi che io proprio non conosco nessuno) e che poi, magari anche avendo ottenuto un gradino piuttosto alto nella scala sociale, rimangono fermi per tutta la vita senza migliorare.

 

Insomma, questo articolo fa riflettere, e conferma per l’ennesima volta cose che ormai sono di senso comune: la strada è già spianata per i ricchi o per chi parte già da una posizione di vantaggio, mentre gli altri devono sudare 7 camicie senza sapere dove questo li porterà.

Un’ultima cosa: la laurea in Scienze della Comunicazione sembra essere il limbo dei disoccupati, essendo in e finendoci dentro molti di quelli (non si offenda nessuno) che hanno voglia di perdere tempo. Nell’ultima sessione di laurea della mia facoltà ci siamo laureati in 600, ma vi rendete conto che significa? 600 disperati a caccia di un lavoro, tutti sulla stessa “piazza”.

Comunque non mi pento, perché non avrei potuto studiare altro, e lo dimostra questo blog, in cui metto dentro le mie passioni non solo del tempo libero ma anche dei miei studi.

 

Concludendo: io speriamo che me la cavo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

mercoledì 15 giugno 2005

Britney ancora senza mutande! A 70 anni!

Ultime notizie: Gesù, o meglio il suo clone, ha 30 anni! Ed è lecito chiedersi se supererà quota 33! Bill Gates scrive i suoi diari dal carcere. Britney Spears, alla veneranda età di 70 anni ancora va in giro senza mutande. E alla Casa Bianca ci sarà ancora un Bush, Billy.

 


Se vi impegnate riuscirete a trovare degli affitti a prezzi stracciati, a meno di 3 milioni di dollari!

 


 

Ormai cloni e androidi saranno fra noi, e le ragazze andranno conquistate hackerando il loro cuore al silicio…

 


 

 Ci sarà il Product Replacement, ovvero la pubblicità nei nostri sogni, e ci si chiederà se sia etico (nota: il romanzo del 1953 I mercanti dello spazio, di Pohl e Kornbluth, trattava proprio questo argomento). E, ancora, il musical Clinton! è un vero successo, e guardate un po' che bambola di attrice.

 


 

Volete qualcosa di sexy? Eccovi un bel pomodoro!

 


Sscottanti temi scientifici: come tagliare di dieci volte i costi della fusione nucleare; androidi o cloni, voi da che parte state?; come apparire di 50 anni più giovani.

 

Non sono matto, no, no. È solo qualcosa che potremmo leggere sulle prime pagine di note riviste americane fra 50 anni o anche fra 150, perché si sa che nel mondo di Internet le notizie volano e i giornali se non vogliono essere sorpassati dalle nuove tecnologie devono essere più veloci ancora. Tanto chi se ne accorge se le notizie sono vere o no?

 

Questo è il risultato di una simpatica iniziativa della associazione degli editori americana che ha lanciato una campagna pubblicitaria con finte copertine di noti magazine in cui si immagina in maniera il più possibile scherzosa e divertente (ma altre volte anche credibile) cosa potremmo aspettarci dal futuro. Non che poi sarà così, ovvio. Però questa fanta-copertine sono veramente interessanti, perché mostrano le tendenze attuali del nostro immaginario, con la paura della clonazione umana e di attempate cantanti pop, nonché con i soliti androidi, oppure sui disastri ambientali prossimi futuri. Per esempio potremmo diventare così...

 


Per far fronte alla crisi dei valori aderite alla religione di spacelogy, e se la vostra donna non vi va più bene eccone una che non richiede nemmeno aggiornamenti!



 

Se volete darci un’occhiata:



 

martedì 14 giugno 2005

La saggezza di Bellachioma

I referendum sono falliti. Si poteva essere a favore o contro, ma certo chi esulta per la "maturità" degli italiani che hanno disertato i seggi e chi esalta la "passione civile" degli astensionisti (prof. Baggio, Scienza e Vita) non ha capito il danno fatto alla democrazia e alla partecipazione politica in Italia.


Ma il peggio, come al solito, l'ha offerto il Cavalier Bellachioma. Lui, dice, si è astenuto per "non dividere il paese". Che saggezza! E' proprio da lui, che cerca sempre il compromesso e il negoziato, le larghe intese. Come quando accusa la magistratura di tramare alle sue spalle. O quando ritiene che i giornalisti di quotidiani, radio, tv (comprese le sue) e persino i potentissimi professori di liceo sono tutti sanguinari comunisti. O quando ha dato dei "turisti della democrazia" agli Europarlamentari. No, decisamente il suo voto avrebbe traumatizzato il paese. Ha fatto bene ad andare in Sardegna, nella sua villa bunker abusiva, come tanti italiani che ieri hanno preferito le spiagge.


E poi l'aria di mare favorisce la ricrescita dei capelli.


Ciao a tutti,


Simone


P.s. E Ciampi? Ha combattuto (partigiano) per il diritto di voto, non me la sento di biasimarlo per aver dilaniato il tessuto politico del Paese andando alle urne.

L'accademia dei sogni

L’ultimo romanzo di William Gibson, L’accademia dei sogni (uscito in Italia nel 2004, dal titolo originale di Pattern recognition), me lo sono letto con calma immergendomici a fasi alterne, passandoci due o tre ore sopra e poi magari non aprendolo per un paio di giorni, consapevole che segna il definitivo distacco del creatore del genere cosiddetto cyberpunk (insieme a Sterling, ormai vi sarete stufati di sentirlo) dalle sue opere precedenti.

L’accademia intanto è ambientato nel 2002, fra New York, Londra, Tokyo e Mosca, e rappresenta il modo di Gibson di metabolizzare l’11 settembre. È un libro strettamente legato agli eventi delle Torri Gemelle, pur parlandone solo di striscio; è legato al crollo delle Torri non solo perché il padre della protagonista vi è rimasto disperso ma, soprattutto, perché rappresenta un evento che ha disegnato un nuovo modo di vedere il mondo, di assistere alla sua narrazione, di interpretarne il senso e la semiotica (utilizzo il termine semiotica non a caso, parlando Gibson stesso di semiotica dell’esperienza culturale e sociale, per spiegare la nostra collocazione nel mondo e nella realtà. E non per la prima volta, si veda la definizione di fantasma semiotico tratta da Il continuum di Gernsback, riportata nella definizione di immaginario qui a sinistra).

 

Cayce lavora nel marketing e nella pubblicità, perché ha una grande e strana capacità, quella di capire ad un prima occhiata se un marchio o un logo segnerà o meno il successo di un prodotto o di una marca. Cayce però ha anche una logofobia, per quello che riguarda marchi noti ed affermati, ed è strano, visto il lavoro che svolge. Il padre di Cayce è rimasto disperso l’11 settembre, come detto, ed era una ex spia della CIA. Cayce fa parte di una comunità virtuale, quella dei cultori delle sequenze, brevi filmati, piccoli corti o forse parte di un film più grande, realizzati con delle capacità tecniche e con una ricchezza di contenuti e di sentimenti in grado di coinvolgere persone in tutto il mondo, e i più attenti si incontrano su un forum, per discutere delle sequenze e del suo sconosciuto autore. Le sequenze circolano solo in rete e non si sa da dove provengano né chi le metta on line. A un certo punto Cayce riceve il compito di trovare il creatore delle sequenze, in parte è un lavoro e in parte è una missione, il modo per intraprendere una ricerca che va oltre l’incontro con un autore e che diventa il modo per dare senso e chiudere una parentesi della propria vita.

 

Questo libro parla di noi, del nostro mondo contemporaneo, delle persone che vivono questo mondo, per intero, e che lo vivono anche quando si immergono nel virtuale. È anche il racconto di come possano crearsi amicizie e rapporti intensi in rete, fra forum ed e-mail; come il virtuale entri a far parte della nostra vita, e diventi importante, volenti o nolenti; come persone che non abbiamo mai visto diventino dei confidenti, degli amici, o dei nemici. Tutto entra a far parte della nostra vita, tutto è semioticamente rilevante, tutto ha significato in quanto tutto è collegato e le distanze sono solo parole, perché basta un biglietto aereo per colmarle, per non parlare di una e-mail; tutto è collegato, ogni elemento del nostro immaginario compone le nostre vite reali. Le sequenze rappresentano proprio la costruzione di un immaginario (in particolare con la nascita di una subcultura di appassionati che collocano il fenomeno al centro delle proprie vite) in cui la gente si rispecchia, che vorrebbe vivere, o che ama per il puro piacere estetico. O, ancora, che diventa il modo attraverso cui cambiare il proprio modo di collocarsi nel mondo e di interpretarlo, laddove i punti di riferimento spariscono, perché il mondo e la realtà sono nel caos.

 

Un bel libro, come sempre, mica vi parlo di libri brutti. Ve lo consiglio perché è un libro in cui molti blogger potrebbero rivedersi e trovare qualcosa di vicino alla proprie esperienze, dando un senso che non sarà mai definitivo, perché l’esperienza evolve sempre e ci riserva sempre delle sorprese.

lunedì 13 giugno 2005

(quasi) Un anno di Immaginaria

Mercoledì 15 sarà un anno che ho aperto il mio blog. Un anno di Immaginaria. Mi spiace aver perso tutti i post prima di febbraio perché ho “inavvertitamente” cancellato il blog, come qualcuno ricorderà. Però è comunque un anno che a questo indirizzo qualcuno ha ancora il piacere di venire a lasciare un commento alle cazzate che scrivo. E sono contento, grazie.

È un anno che cerco di ricostruire il mio mondo (di) immaginario in questo luogo (o non-luogo?) virtuale, a partire dai miei libri, i miei film, quello che trovo valga la pena parlare per parlare di me, di voi, del mondo reale in cui viviamo, che è comunque sempre fatto di immaginario. Ma soprattutto cerco sempre di parlare di me, anche quando scrivo di un libro, anche quando parlo di qualcosa che accade nel mondo, anche quando vi invito a votare al referendum. Parlo sempre di me, mi sono sempre messo in gioco in questo blog. E credo di aver mostrato sempre me stesso: uno Stefano di volta in volta diverso, a volte più simile a PhilipDick che a se stesso, ma Phil è Stefano e viceversa.

La scelta del nick è avvenuta perché “Ubik” era già impegnato e in quel momento non mi era venuto niente altro in mente per avere sempre un nick dickiano. Perché il mio mondo di immaginario è un mondo dickiano, come molti di voi ormai sanno bene, in cui tutto è il contrario di tutto, in cui non c’è certezza di niente, sul mondo, sulla realtà, su quello che viviamo quotidianamente, sulle persone che incontriamo, a cui vogliamo bene, o che decidiamo di ignorare. Io so che quello che tocco con mano c’è, ma la mia realtà è definita da quello che ho in testa, dai sentimenti che provo, dai sogno che faccio, ad occhi chiusi ed a occhi spalancati, come in una cura Ludovico. Il fatto è che io ancora non lo so cosa o chi cavolo sono, proprio no.

Pazzo? Nervoso sono ed ero, citando Poe. Nervoso, triste, sempre alla ricerca di qualcosa che non arriverà mai, che riesco solo a sfiorare o immaginare. Mi sento immobile, perché in questo anno in cui ho riempito di byte la rete non è cambiato assolutamente niente, o forse è cambiato tutto ma non me ne sono accorto. Ok, mi sono laureato, e chi passa qui da parecchio tempo sa quanto questo traguardo è stato difficile, e non perché io non fossi in grado di scrivere una tesi di laurea, ma ce l’ho fatta e dovrei esserne contento. Però continuo a perdere le persone a cui voglio bene, a farle allontanare, ho cominciato così un anno fa e continuo ora, un anno dopo. Probabilmente è così che deve andare, perché in questa mia ricerca che non so proprio dove porterà, forse a niente, trituro tutto e tutti, consumo ogni cosa senza neanche assaporarla appieno, e alla fine torno sempre a pensare ai miei errori, ai miei sbagli, e scopro che ne faccio di continuo, e che neanche io starei vicino a me, se potessi. Forse è per questo che scrivo di meno, ultimamente, perché Phil non vuole stare con Stefano, e quindi non si presta a farmi usare il suo nome.

Mi sento impotente, privato di ogni organo di senso, incapace di percepire e comprendere il mondo circostante, e le persone che popolano, o hanno popolato, il mio mondo. In un anno qualcosa comunque penso di aver imparato, ma ancora non riesco ad evitare tanti errori, come quello di mettermi a scrivere un post senza un canovaccio preciso da seguire, sapendo che alla fine farò sempre la figura del pessimista cronico.

 

Voglio trascorrere un anno migliore, magari sempre col mio blog (anche se un giorno sì e un giorno no mi viene voglia di cancellarlo, come se fosse sua la colpa), un anno in cui non debba più guardarmi indietro per rimpiangere tante cose. Ripartire, e rimettersi in moto. Alzarsi e camminare. Sorridere. Essere positivo. Tutte parole, però. Sono solo un parolaio.

Allora?

Allora? Ci siete andati a votare? Sbrigatevi, fate ancora in tempo. Su, su, in piedi, non siate pigri!

giovedì 9 giugno 2005

Old Boy

Un film coreano. Mmmhhh… Niente mmmhhhh, per favore. Stiamo parlando di cose serie. Old Boy, ragazzi miei, è un film da vedere, per forza, se amate il cinema, quello vero, quello curato nella forma e che ti schiaffa davanti una storia dura, cruda, che ti lascia quasi inorridito e orripilato ma non per la violenza del film, che direi quasi catartica (eh, che originalità, non lo dice mai nessuno parlando di un film pieno di sangue e scene truculente), quanto piuttosto per la trama stessa, per il colpo di scena quasi finale.

 


 

Un uomo viene rinchiuso per 15 anni in una stanza, lasciato solo a diventare pazzo, iroso e assetato di vendetta. Una vendetta cieca che non dovrebbe (vorrebbe) conoscere alcun ostacolo. 15 anni segregato, a prendere a pugni un muro, con l’unica compagnia della tv, attraverso la quale scopre che avrebbe ucciso la moglie. Poi la luce del sole, libero, libero di vendicarsi. Ha 5 giorni per trovare chi lo ha rinchiuso e soprattutto per capire perché.

Incontrerà una bella ragazza (bella davvero: saranno tutte così le coreane? Purtroppo mi sa di no) che lo aiuterà o forse no.

Vendetta. Combattimenti a mani nude, a colpi di martello, denti cavati, sempre col suddetto martello, dieci, venti avversari tutti insieme, stesi anche con un coltello nella schiena. Ma questo non è niente, perché il film non si risolve qui, ragazzi, è molto ma molto peggio.

 


 

La violenza, la lotta, il combattimento, i denti cavati, le mani mozzate, sono tutte degli strumenti per arrivare alla verità. Perché tutto ha una causa, ogni causa ha un effetto. Tutto è collegato e solo dentro di noi risiede la verità, basta avere la volontà di cercarla. E la volontà di vendicarsi, perché la vendetta è un piatto che va consumato, freddo, freddissimo.




Un film tipicamente asiatico, per questo aspetto per il quale ogni cosa è collegata, ogni causa ha un suo effetto, e genera una reazione a catena, che è tipicamente orientale, secondo me. Ma è un film tipicamente asiatico anche nella forma, nella riflessione e nella ricerca individuale interiore di una verità, di una realtà. Di una realtà che è sempre una prigione, piccola come una stanza o grande quanto il mondo intero.



 

Da un punto di vista formale non è molto tarantiniano, secondo me, come si dice da mesi da quando questo film è stato presentato al Festival di Venezia, giusto per il tema della vendetta, che Tarantino tratta in Kill Bill. Si legge molto l’influsso di un classico del cinema d’azione orientale come John Woo, quello vero. Ma non solo, perché ridurlo ad un film d’azione, è riduttivo, molto riduttivo. Tecnicamente è fenomenale, e ve lo assicuro, credetemi, dategli fiducia a ‘sti coreani (il regista è tale Park Chan-Wook) che hanno messo in piedi un film dove ogni fotogramma è un gioiello, dove ogni minimo particolare è curato, in cui la regia, la fotografia e il montaggio sono un vero valore aggiunto del film, con sequenze volutamente fumettistiche o in stile videogioco. È un piccolo capolavoro da questo punto di vista. Poi il protagonista del film, Choi Min-Sik, è un attore eccezionale, roba da far accapponare la pelle da tanta bravura.

 

Un film che richiede stomaco però, reggetevi forte, perché alcuni potrebbero rimanere impressionati. Quindi un film violento, truculento, che vi spaventerà, ma che sfocia nel grottesco, nell’incredibile, nell’indicibile, addirittura. E alla fine è meglio non sapere. E se trovate una scatola viola con un nastro viola, non l’aprite, dentro troverete qualcosa che sconvolgerà senza dubbio la vostra vita.

 

PS: dopo aver visto questo film mi è venuto in mente che un film del genere il cinema italiano non potrebbe nemmeno sognarlo. E allora? Allora prendiamo i vari Muccino, Ozpetek e tutti quelli che vanno di moda (per modo di dire) ora e li chiudiamo in una stanza per 15 anni. Quasi quasi faccio una petizione…

Una bella lunga giornata

Una bella lunga giornata quella di ieri, cominciata alle nove e mezza della mattina quando sono uscito e finita alle undici della sera quando sono rientrato. Quando ti gira tutto contro, quando sembra che sotto i tuoi piedi questa palla che gira intorno al sole abbia iniziato a girare al contrario, solo per te, sia chiaro, quando avresti proprio bisogno di fare altro, allora ecco che finalmente arriva una lunga giornata programmata da tempo.

 

Ieri è venuta a Roma una mia carissima amica, che purtroppo non ho sempre vicino. L’ho raccattata alla stazione la mattina, abbiamo girato un po’ in centro, in attesa di incontrarci sotto all’ufficio di un’altra nostra cara amica in comune, per pranzare insieme e passare il pomeriggio a pazzeggiare. Una ventata di distrazione, in cui, tra l’altro mi sono fatto una “cultura” sulla cristalloterapia (cazzo, a me servirebbero tutte quelle cavolo di pietre, se funzionassero davvero!), ho comprato l’ennesimo libro (per la cronaca Rumble Tumble, di Joe R. Lansdale), perché sapete che se entro in libreria qualcosa finisco sempre per comprare, ho trovato il fumetto di Sin City in edicola (ad una prima occhiata pare fico davvero), e ora finalmente potrò guardare l’ora senza guardare di continuo il cellulare (troppo buone con me, le ragazze: diventare dottori ha i suoi vantaggi, non c’è che dire…).

 

Veramente una bella mattinata ed un bel pomeriggio, in cui per qualche minuto sono finito anche a parlare di cose di cui non avrei pensato dover discutere, e di cui sarebbe meglio non parlare. Però a domanda, rispondo. E lì mi sono messo a pensare di nuovo, però non importa, perché durante la giornata ero comunque riuscito a tornare la palla a girare per il verso giusto, quindi è stato più sopportabile. E poi ero arrivato alla mia fermata, quindi…

 

Salutate le mie amiche, cena veloce e poi di nuovo fuori per un cinema con un’altra mia amica (sono pieno di donne vero? Peccato che non me la da nessuna!) e con una sua amica. A vedere che? Il fantastico film coreano Old Boy, un film grandioso, che consiglio a tutti se lo trovate ancora al cinema. Un po’ Tarantino (molto meno di quanto ci abbia propinato la pubblicità), un po’ John Woo d’annata, un po’ tipico film asiatico in cui tutto ha un qualche senso, basta aspettare che ci spieghino i rapporti di causa ed effetto; alcune scene di una crudezza incredibile, altre di un divertimento assoluto, scene d’azione tipo videogioco, e grandi riflessioni, tipicamente orientali. Vi parlerò più dettagliatamente di questo film, che ne vale la pena.

lunedì 6 giugno 2005

Referendum

Sono giorni che mi ripropongo di scrivere un post sul referendum sulla Legge 40 sulla fecondazione assistita e sulla ricerca sulle cellule staminali embrionali, su cui saremo chiamati a votare fra meno di una settimana (e andate a votare, è la cosa più importante in una democrazia!), però non ho il morale alle stelle e non mi va di mettermi a leggere e documentarmi per scrivere un post che sia esaustivo. Poi voi direte, a che serve un post? Tanto ne parlano tanto sui giornali e in tv (ora sto seguendo il dibattito del lunedì mattina sul referendum di La7, e stasera la stessa La7 farà uno speciale sul referendum). Però spesso l'informazione non è chiara: magari si dice che Fini voterà tre sì e un no, che Rutelli si astiene come Ruini, che Berlusconi e Prodi ancora non si pronunciano chiaramente, che Fassino voterà 4 sì... ma spesso non si capisce un cacchio!


E poi molti cambiano direttamente canale quando si parla di queste cose o non leggono i giornali... volevo fare un servizio civico, perché anche solo una persona in più che andrà a votare sarà un successo. Infatti adesso come adesso il problema vero è che molta, moltissima gente non andrà a votare, e non solo perché la Chiesa dice di astenersi, mettendo bocca per l'ennesima volta nelle faccende dello Stato italiano, o perché i filo-preti si sono accodati sull'astensione, ma proprio perché non gliene frega niente e non ne ha capito niente.


Io invito ad andare a votare, perché in democrazia si fa così, ci si conta, e la maggioranza vince. L'idea di vincere perché non si raggiunge il quorum previsto del 50% più uno è una baggianata: se va a votare il 49% e i sì saranno il 90% (sparo cifre a cazzo, ovvio), i sostenitori dell'astensione saranno lo stesso contenti? Almeno abbiate il coraggio di andare no, se la pensate così. Io, naturalmente, per chi mi conosce, voterò 4 sì.


La cosa che mi preme sottolineare è che nonostante le cazzate dette in questi giorni da gente come la Fallaci, che parla di Frankenstein, di eugenetica, di creazione dell'uomo perfetto... Sono, appunto tutte cazzate. Qui si parla solo del diritto delle coppie di avere figli, indipendentemente dalla ristretta morale della Chiesa. La legge 40 su cui si voterà, comunque, continuerà a vietare la clonazione umana, anche terapeutica, le pratiche di eugenetica, eccetera, eccetera. Quella è disinformazione bella e buona.


Per chi volesse saperne di più i giornali sono pieni. Vi consiglio il blog http://referendumanchio.splinder.com.


A favore del referendum, vi rimando a www.lucacoscioni.it


Contro al sito della Cei, perché qui non si vuole imporre nessuna verità, ognuno però se la cerchi documentandosi e ascoltando le opinioni in campo.

giovedì 2 giugno 2005

Anche io catena...

La mia cara amica Zakynthos mi ha coinvolto in una delle tante catene che girano per i blog in questo periodo. Una l’ho già fatta cadere, dopo esserci stato messo dentro più volte, a questa do seguito solo parzialmente perché vi risparmio e non coinvolgo nessun altro. Chissà che maledizione mi aspetta ora che interromperò la catena, però ‘sti cavoli!

Questa in particolare mi piace perché tratta di libri.

 

Libri che possiedo nella mia libreria, e genere:

proprio nei giorni scorsi ho fatto ordine perché lo spazio dentro casa è quello che è, e sono stato costretto a inscatolare un bel po’ dei miei fumetti preferiti, in attesa di tempi migliori. Per quello che riguarda i libri, come cavolo si fa a dire che libri si ha? Ne ho talmente tanti, ho fatto un calcolo approssimativo, circa 200, fra romanzi e i libri di saggistica varia, soprattutto residuo dello studio, ovvio (forse un quinto del totale). Fra i romanzi, una buon terzo saranno libri di fantascienza, o comunque di “genere” e di immaginario, come piace dire a me. Fra gli altri, una ventina di “dick”, tutti i “gibson” pubblicati, qualche “sterling”, “tolkien”, un’altra ventina di “king”, qualche “asimov”, “benni” e “pennac” vari, molti scrittori americani contemporanei come qualche “palahniuk”, “delillo”, “bunker”, un paio di “ballard” (che non è americano). E per fortuna sono solo 4 o 5 anni che ho iniziato con decisione a comprare libri, mentre prima li leggevo soprattutto prendendoli in prestito in biblioteca.

 

Ultimo libro che ho comprato:

allora… gli ultimi libri che ho comprato sono stati “L’accademia dei sogni” di William Gibson e “I giocatori di Titano” di Philip K. Dick, anche se tecnicamente non li ho comprati, ma me li avrebbero regalati (a proposito, Cì, mi hai regalato pure il DVD di “eXistenZ” di Cronenberg). Diciamo che bastano questi, anche perché non ricordo quali sono stati i libri che ho comprato prima, forse un paio di tascabili di fantascienza in edicola (i cari “Urania collezione”).

 

Libro che sto leggendo ora:

il suddetto “L’accademia dei sogni” di Gibson, molto bello ve lo consiglio, anche se ormai questo libro non è più ascrivibile al genere cyberpunk. Una profonda riflessione sulla nostra società contemporanea, impulsi, passioni post-11 settembre, e rapporto con la tecnologia e la società che cambia. Oltre alla favolosa e complessa scrittura di Gibson, che merita sempre un bel plauso per lo stile. E poi, fra i saggi, ci sarebbe sempre “L’intelligenza collettiva” di Pierre Lévy.

 

Tre libri che consiglio ad altri blogger, e perché:

1-     “Ubik”, come sempre di PkD. Lo consiglio sempre, c’è chi l’ha letto ed è rimasto soddisfatto. Per capire veramente come funziona la mente umana nell’epoca del relativismo assoluto, in cui i concetti di percezione e di realtà sono un’opinione.

2-     “Soffocare” di Chuck Palahniuk. Una satira violenta, ironica, esilarante della società contemporanea. Un libro per riflettere, e pieno di frasi vere. Quasi terapeutico, direi.

3-     “Underworld” di Don DeLillo. L’opus magnum del XX secolo: un affresco storico, sociale, psicologico, un viaggio fra nell’umanità, indagandone i sentimenti e la cultura.

 

Ora dovrei girarla a 5 sfortunati. Ma come detto ho deciso di interrompere la catena. Chi vuole seguirla, libero di farlo.

 

mercoledì 1 giugno 2005

Riguardo all'autore del post precedente...

Non preoccupatevi, Ste non ha cambiato sesso, sono stata io a postare usufruendo dell'invito che Ste mi ha proprosto poco tempo fa.


Ciao!


Red Blaze

A grande richiesta, la recensione di Ubik

COME COMINCIARE QUESTO POST?


...Ieri sera sono andata in missione sulla luna insieme a Joe Chip, Glen Runciter e almeno 11 dei nostri migliori inerziali*, sono scampata ad una bomba umanoide, sicuramente sarà stata una trappola di Hollis, e ora mi trovo sull'astronave in attesa di tornare sulla terra. Runciter è ferito mortalmente e abbiamo dovuto congelarlo, ma mi sa che è troppo tardi per permettergli di rimanere almeno  in semi-vita...


*persone con poteri sovrumani che riescono a contrastare la telepatia e la preveggenza.


COSA NE PENSO DI UBIK.


Ubik, il libro forse più famoso di Philip K. Dick.
O almeno credo, visto che questo è il primo libro che ho letto di questo geniale scrittore, e la sua scoperta la devo a Ste. E' lui che mi ha incitato a leggere Ubik dicendomi che non me ne sarei pentita. In effetti ho trovato questo libro davvero avvincente, per i contenuti strani, ma raccontati in modo così coinvolgente che ti sembra di essere uno dei personaggi della storia, e poi per la confusione spazio-temporale nel quale si viene catapultati. Come succede a Joe Chip che all'improvviso vede  mutare le cose attorno a sé, per esempio il fantastico impianto stereo iper-tecnologico che ritorna grammofono. Anche il mondo esterno cambia, quasi un tornare a riscoprire le radici, il punto di partenza di tutto. Tutto questo raccontato con un pizzico di ironia che ti fa sorridere.


I QUESITI CHE MI SONO POSTA.


Una cosa che non ho mai smesso di chiedermi fino alla fine del libro è “E' Runciter ad essere morto o Joe e tutti gli inerziali?“, insomma come è possibile che Joe riceva messaggi da Runciter, visto che sembra morto stecchito dopo l’esplosione sulla luna e soprattutto cosa significano?
Questa domanda mi è sorta dopo il messaggio che Joe legge in bagno “IO SONO VIVO E VOI SIETE MORTI” e la scrittura sembra quella di Runciter.
MA ALLORA CHIA HA RAGIONE???


E poi ancora, cos’è ‘sto UBIK? Un integratore energetico? Uno spray aggiusta tutto?
Alla fine penso che ognuno possa dare un’interpretazione personale di Ubik, quindi qui mi arrendo e non tento di spiegare nulla, anche perché rovinerei la storia a chi deciderà di leggere questo libro.


CONCLUSIONI?!


Che conclusioni? Posso dire che il libro mi è piaciuto, e chi mi conosce bene, sa che io e i libri di fantascienza non siamo mai stati grandi amici. Quindi mi sento di consigliarlo a chiunque, perché è davvero un capolavoro, e merita di essere letto.


Un bacio a tutti.