Moebius

Moebius

lunedì 15 settembre 2008

E' tutto un Infinite Jest

Da qualche giorno mi cullavo nell'idea di riprendere a scrivere su Immaginaria, in fondo di cose da scrivere, se si ha voglia, se ne trovano sempre.

Stamattina controllando la mia casella e-mail ho trovato il nuovo numero di Giap, la newsletter dei Wu Ming, dedicata alla memoria di David Foster Wallace. E così ho scoperto che ieri è stata diffusa la notizia della sua morte a 46 anni, anzi del suo suicidio per impiccagione, e devo dire che mi ha colpito, e mi lascia quasi sconvolto.

Wallace era uno dei più grandi scrittori contemporanei, vero interprete della nuova letteratura post-moderna. Divertente, ironico, con una satira sempre pungente ma soprattutto innovatore, con il suo stile decostruito ma assolutamente ricco, per le idee, per il linguaggio, per l'incredibile fantasia narrativa. Parecchi anni fa lessi una sua antologia di racconti, "La ragazza dai capelli strani", e mi innamorai di Wallace come scrittore, sentendo che mi erano passate fra le mani delle pagine straordinarie, qualcosa che sarebbe rimasto.

E così, un paio d'anni fa credo, intrapresi la lettura del suo capolavoro, Infinite Jest, uno dei libri oiù belli e più significativi della letteratura contemporanea (recensione mia qui), lettura che mi richiese due-tre mesi vista la mole del romanzo e l'oggettivo impegno richiesto al lettore che si immerge nelle vicende della famiglia Incandenza.

Addio David, la vita è uno scherzo infinito, vero?

giovedì 5 giugno 2008

Gibson: silenzio ed oblio

Segnalo l'intervento fatto da William Gibson a Roma la scorsa settimana durante il Festival delle Letterature (quando io mi sono fatto autografare "Neuromante"). Il suo bellissimo brano inedito "Il flusso del silenzio, l'insistenza dell'oblio", è una importante riflessione sull'impatto delle tecnologie nella nostra vita e nello sviluppo sociale e culturale, come strumenti per combattere l'oblio e per garantire l'affermazione della verità e la trasparenza dell'informazione.


Qui il testo italiano.

martedì 27 maggio 2008

Festival delle Letterature

Se qualcuno fosse interessato, stasera al Festival delle Letterature in corso a Roma saranno presenti due dei miei scrittori preferiti, William Gibson e Joe R. Lasndale.


Chi fosse interessato può consultare il programma della manifestazione qui.

martedì 6 maggio 2008

Tre pazze settimane - 3

Ho già parlato di alcuni momenti che ricorderò con grande piacere in futuro del mio soggiorno negli Usa, soprattutto perché ho potuto condividere tali esperienze con alcuni amici. Le tre settimane trascorse in Florida, come ho già avuto modo di scrivere, sono state ricche di esperienze, difficili da raccontare in poche righe, esperienze che probabilmente riemergeranno nei ricordi col passar del tempo, quando capiterà di parlarne con le persone con le quali sono state vissute oppure quando una “madeleine” farà scattare qualcosa.



E’ difficile ordinare questi ricordi per raccontarli. Ieri ho visto una amica che non è potuta venire con noi in Florida e mentre cercavo di spiegarle cosa avevamo fatto, cosa avevamo visto, mi sono reso conto che quando si vivono certe cose in gruppo è tutto molto più forte e tutto avviene all’interno di confini che delimitano anche i ricordi. Difficile raccontare e spiegare le battute, gli scherzi, i piccoli episodi che hanno determinato la percezione di un periodo in cui sono avvenute tante cose; tutto è apparso molto più grande e potente, sensazioni positive e sensazioni negative e dolorose, di come forse sarebbe stato in un altro contesto. Ecco, forse le cose che potrò ricordare più di tutte saranno proprio le emozioni che ho provato, di gioia, di tristezza, di sicurezza ed insicurezza, che hanno valore e significato per me, e per chi mi si è ritrovato accanto in quei momenti.



Credo che chiuderò qui questi resoconti del mio viaggio in America. Avrei forse dovuto tenere un diario quotidiano per riuscire a raccontare tutto. La cosa più importante da dire è che sono tornato dagli Stati Uniti con più consapevolezze su me stesso, anche dei miei difetti, e sul rapporto che ho costruito con alcune persone, nonostante i miei errori e i miei desideri irrealizzabili.



Tornato dagli Usa bisogna iniziare a pensare a cosa combinare da qui in avanti. Mi sono preso un anno per fare questo master, per avere il tempo per uscire dalla mia indolenza, per cambiare qualcosa nella mia vita, oltre che per lo studio ed il lavoro. Ora dovrò pensare a come far andare la mia vita, spero di aver imparato qualcosa, di essere cresciuto, pur con i miei soliti difetti, con le mie solite ansie ed insicurezze, che forse potranno solo diminuire. In tutto questo devo iniziare a coltivare speranze e a far crescere qualcosa. Poi il resto potrebbe venire da solo.


3. Fine (forse...).

domenica 4 maggio 2008

Tre pazze settimane - 2

Proseguo il resoconto delle tre settimane in Florida ripartendo dalle nottate in bianco. Oltre a quella a Key West, raccontata nel post precedente, ce ne è stata un’altra a due giorni dalla partenza che vale la pena ricordare.


Lunedì scorso, dopo la consegna del portfolio finale che ha praticamente chiuso il master americano, si è deciso di passare la serata a Miami Beach per festeggiare con una bella cena e possibilmente una sana ubriacatura. In un gruppetto siamo prima andati a cena in un buon ristorante di pesce su Collins Av. (come al solito se qualcuno ha bisogno di un consiglio…) e quindi nel nostro ormai solito locale su Ocean Drive dove bere mojito. Apro una parentesi sul mojito: mi raccomando, che la menta sia fresca, il rum tanto, il ghiaccio e lo zucchero quanto basta, bisogna costruire un sottile equilibrio… Va detto però che sti mojito ve li faranno pagare cari…



Dopo cena mentre stavamo già sorseggiando i nostri enormi bicchieroni di mojito siamo stati raggiunti dagli altri, tutti decisi a scatenarsi almeno per una volta (io già avevo dato, ci tengo a sottolineare). Un po’ brilli abbiamo ascoltato un po’ di musica dal vivo e dopo abbiamo iniziato a fare casino su Ocean Drive (perfino una bella “società dei magnaccioni”). Spostandoci un po’ più in là ci siamo infilati dentro un altro locale, dove poter ballare un po’ e prendersi una birra. Alcuni di noi si sono scatenati come mai li avevo visti, effetto dell’alcol forse, mentre piano piano c’è stato chi ha iniziato ad alzare bandiera bianca e ad aspettare gli altri fuori.


Verso le tre, quando i locali da quelle parti chiudono (penso che in America abbiano delle regole molto ferree sugli orari di chiusura) e dopo essere rimasti un po’ a bivaccare ai margini della spiaggia un manipolo di stakanovisti ha deciso di restare ancora a Miami Beach (compreso chi parla) e di “spiaggiarsi” a riposare, riprendere fiato, smaltire l’alcol nella speranza di poter ripartire in direzione campus. Un consiglio: non spiaggiatevi di notte a Miami Beach. Noi abbiamo rischiato di finire arrestati.



Vabbè non esageriamo… La polizia pattuglia la spiaggia, che sarebbe chiusa da mezzanotte alle 5 della mattina, a bordo di coattissimi quad che sembrano usciti da qualche telefilm. Al terzo o quarto passaggio avevano evidentemente deciso che non potevamo stare più lì e ci hanno “gentilmente” consigliato di andar via (nonostante fosse ormai passate le 5 e la spiaggia fosse, teoricamente, aperta). In quel momento io ero a passeggiare sulla spiaggia con una mia amica, quindi ho assistito alla scena da un centinaio di metri dopo che uno dei quad aveva prima puntato su di noi illuminandoci coi fari come se fossimo sotto tiro.



Alla fine, mentre alcuni dei miei amici sono rientrati di nuovo nel bed&breakfast “The Van” dai sette comodi sedili, io e la mia amica di prima ce ne siamo rimasti in giro per Miami Beach fino alla mattina, passeggiando e chiacchierando come non eravamo quasi riusciti a fare in tre settimane (inutile dire che a quest’amica tengo un sacco: sicuramente si è trattato di uno dei momenti migliori per me durante tutto questo periodo perché finalmente ho potuto risentirla vicina).



Quindi dopo una notte in bianco, o quasi in bianco, siamo ripartiti in direzione del campus, riuscendo a sbagliare strada un po’ di volte prima di imboccare la I-95.


2. Continua...

venerdì 2 maggio 2008

Tre pazze settimane - 1

Eccomi di ritorno a Roma. Eh già, tre settimane sono volate via. Giovedì mattina ero di nuovo a casa dopo aver trascorso una esperienza strana ma bellissima che cercherò di raccontare almeno un po’.
Tre settimane in un campus universitario americano sono qualcosa di assolutamente nuovo per chi viene dalla realtà italiana. Soprattutto quando il campus è vicino Miami, con l'Oceano a poche miglia. Sono state tre settimane intense, sia per ciò che riguarda la vita universitaria sia, soprattutto, per tutto quello che può essere definito vacanza.



Certo, ci sono stati alcuni giorni di lezione, alcuni giorni di studio (anche un paio di nottate per completare il portfolio da consegnare alla fine) ma soprattutto c'è stato tanto tempo per vivere qualcosa di bello con alcuni amici con i quali nell'ultimo anno, grazie al master, ho molto legato. Con alti e bassi, ma queste sono cose che riguardano sempre e comunque me e i giri strani che il mio cervello è abituato a fare.
I primi giorni sono corsi via mentre si cercava di ambientarsi e di prendere le misure all’America, in tutti i sensi. Dopo due giorni avevamo già affittato le macchine, indispensabili per muoversi visto che il campus è sperduto in mezzo al nulla, tranne che strade e parcheggi enormi intorno ai quali sorge qualche edificio, negozi e ristoranti. I primi giorni sono stati quelli dello stupore, per le dimensioni, per le tante differenze con l’Italia, per l’emozione di aver finalmente iniziato un viaggio programmato da un anno prima.



Con i miei compagni di master, e amici, siamo partiti quindi alla scoperta prima del campus (dotato di piscina, palestra, campi da basket e un sacco di altra roba che non fa venir voglia di studiare) poi dei dintorni e di Fort Lauderdale, quindi di Miami. Un pezzo alla volta abbiamo iniziato a sentirci completamente immersi in un nuovo ambiente, un ambiente che in modo variabile ha rappresentato una parentesi importante per tutti noi, un momento ed uno spazio nelle nostre vite che ha rotto la quotidianità.
Una parentesi che è passata in modo troppo veloce e repentino ma che è stata piena e densa, posta fra la certezza di quello che avevamo lasciato a casa (studio, lavoro, famiglie, fidanzati/e per i più fortunati/e) e l’incertezza (almeno per me) di quello che verrà ora. Per questo sono state tre settimane di trasformazioni, temporanee e chissà se non definitive, che incideranno molto, non solo nei ricordi ma anche nelle amicizie, nei rapporti fra di noi, forse, per quello che riguarda me, nel modo di vedere il mondo e le altre persone. Sono state tre settimane durante le quali ho vissuto esperienze forti, soprattutto da un punto di vista emotivo, che mi hanno messo a confronto per l’ennesima volta con me stesso e con gli altri, durante le quali ho scoperto nuove sfaccettature del mio carattere e ho capito che qualcosa devo cambiare e migliorare, per me e per chi mi è stato e mi sta vicino.



Il clima della Florida è fantastico: alla fine purtroppo abbiamo fatto meno giorni di mare di quello che si poteva pensare all’inizio (fortuna che c’era la piscina del campus, frequentata quasi soltanto da noi, chissà perché), purtroppo la vacanza ogni tanto è stata interrotta da alcuni giorni di lezione e di studio. Fortunatamente in generale siamo stati bene come gruppo, abbiamo fatto un sacco di cose tutti insieme, forse a volte è mancato qualcosa quanto a spirito di iniziativa (delle gite alle quali si pensava alla fine siamo andati solo alle isole Keys, niente Orlando, niente Disneyworld) ma i tempi erano quelli che erano. Un po’ di rimpianto c’è per non essere rimasti qualche giorno in più: prima di partire chi immaginava che tre settimane sarebbero durate così poco?



Abbiamo visto le Everglades, o almeno un parco all’inizio delle paludi che ci hanno spacciato per Everglades (gita organizzata dall’università per noi…) con qualche alligatore (forse sempre lo stesso?). E poi Miami Beach: stranamente non abbiamo visitato la città vera e propria, solo l’isola di Miami Beach e il quartiere Art Déco. Però conosco bene alcuni locali dove bere mojito.
Ecco il mojito. Ci abbiamo messo alcuni giorni per bere il primo ma una volta partiti… Abbiamo trovato un posto dove facevano dei bicchieroni incredibili, se volete sapere come si chiama fatemi un fischio.


Fra le puntate a Miami Beach, la gita a Key West e altre uscite ho visto cose nuove e respirato aria diversa. E’ stato bello fare tutto questo in gruppo ed in particolare con alcuni cari amici con i quali condividere tutto questo, con le nostre parole d’ordine, le battute ricorrenti, gli scherzi e le battute. Perfino preparare dei panini con degli improponibili affettati e formaggi diventava divertente: ormai voglio mangiare sempre “taccaino” anche se il sapore non è sicuramente lo stesso. Bello andare nel “peggior bar di Caracas” vicino al campus a bere birra e a giocare a freccette e biliardo fino a tardi. Bello stare nella living room del nostro piano a chiacchierare. Bello perfino incazzarsi come so fare solo io e per motivi che vedo solo io, perché come detto sono comunque emozioni vissute fino in fondo.



Le nottate in bianco. Ci sono state due categorie: studio e baldoria. Delle prime c’è poco da parlare, fortuna che di vera nottata in bianco ne ho avuta solo una (c'è chi da invasato ne ha avute di più: non serviva, per quello che ci veniva realmente richiesto) più un’altra volta che sono andato a dormire tipo alle 3 e mezza. Quanto al divertimento e al cazzeggio da segnalare le ultime sere.



Sabato scorso gita a Key West. Bello il viaggio sulla autostrada 1, con qualcosa come un centinaio di miglia da percorre in mezzo al mare attraversando le Florida Keys, questa catena di isole che termina appunto con Key West, il punto più a sud degli Stati Uniti continentali. Key West è un’isola fantastica, belle le spiagge (noi abbiamo beccato le alghe, spero che in altri periodi non ci siano…), bella la città, buoni i dolci (vi consiglio di provare la torta Key Lime, a base di lime: ne ho assaggiate diverse versioni, tutte buone devo dire), bella la vita notturna. Completamente presi da questo posto in un gruppetto non ce la siamo sentita di tornare indietro e abbiamo deciso di tenerci la macchina più grande e passare la notte a Key West.



Fra un locale e l’altro abbiamo assaggiato un po’ di cocktail (mi spiace dover sottolineare anche di aver trovato un cattivo mojito a un certo punto…) e girovagato per la città, fra il pilone che segnala sto famoso punto più a sud (90 miles to Cuba…), la casa di Hemingway, che a Key West ha vissuto molti anni, ed i locali, ovviamente. Alla fine abbiamo trovato Sodoma e Gomorra: così abbiamo ribattezzato il posto dove con altre cinque persone abbiamo finito di ubriacarci e divertirci. All’apparenza si tratta di un irish pub: al piano terra c’è il bancone, i tavolini, un palchetto per la band che suona musica dal vivo, al secondo piano ancora un altro bancone ma è un po’ un mortorio… Se resistete e arrivate al terzo piano troverete Sodoma e Gomorra… E’ un po’ come una prova: solo alcuni riescono ad arrivare fino su e a scoprire l’assurdità di quel posto. Musica, gente che balla. Fin qui nulla di strano. Poi ti giri intorno e inizia a vedere gente che si spoglia e si mette a ballare nuda: puoi fare il nudista, bere fino a morire ma non puoi salire in piedi su una panca o scattare una foto (presumo per ragioni di privacy…). In quel posto abbiamo ballato, riso, bevuto (ormai è un leit motiv…) finché brilli non è toccato andar via. Alla fine notte in bianco cercando di dormire un po’ nel famoso bed&breakfast “The Van”, dotato di sette comodi sedili. La mattina eravamo tutti sfatti (tumefatti direbbe una mia amica) e rincoglioniti: dopo una colazione in un ristorante di quelli dove passano a riempirti la tazza del caffè, partenza per un’altra spiaggia delle Keys di cui avevamo letto su una guida, Bahia Honda: altro bel posto, ve lo consiglio. E poi alla fine in marcia verso il campus, dove siamo arrivati alle cinque del pomeriggio, completamente distrutti ma soddisfatti di quanto fatto nelle 34 ore precedenti. Con il portfolio da chiudere che ci aspettava: ma chi se ne frega, ne è valsa davvero la pena.


1. Continua...

giovedì 24 aprile 2008

Fra un mojito e l'altro

Contrariamente alle buone intenzioni dell'inizio non sono riuscito ad aggiornare spesso come avrei voluto Immaginaria per raccontare come stanno andando queste settimane in Florida, che stanno volando e fra una settimana appena già si ritorna in Italia.


Con il passare dei giorni sembra di essere qui da molto più tempo, sia per quello che riguarda il soggiorno in campus sia per ciò che concerne la Florida e Miami. E' una sensazione strana. E' molto facile abituarsi ad un posto, forse anche grazie al clima quasi vacanziero che stiamo vivendo, nonostante tocchi comunque studiare e pensare ai lavori da completare per chiudere, finalmente, questo master.


Rispetto alle ultime cose che ho scritto, abbiamo visto Miami, anzi Miami Beach: paradossalmente Miami-Miami ancora non l'abbiamo vista. Abbiamo trascorso un paio di giornate al mare a South Beach, un posto molto cool come direbbero qua, dove nell'arco di 100 metri si può passare dalla spiaggia ai locali di Ocean Drive dove bere secchi e secchi di mojito.


Qua sono le due di notte, sono tornato da poco in stanza dopo una serata a Miami Beach per la cena. Dovrei avere sonno ma per ora reggo, chi se ne frega che domani dovrei alzarmi per studiare. Ogni giornata che passa qua mi sembra di essermi comunque perso qualcosa: oggi per esempio tutto il giorno se ne è andato per completare uno degli ultimi lavori da consegnare e nonostante l'uscita serale è come se mancasse comunque qualcosa. In fondo abbiamo visto ben poco della Florida e anche dei dintorni di Miami, e chissà se si riuscirà prima della fine ad organizzare una gita da qualche parte.


Ma oltre a ciò, in questi giorni vivo in modo strano il mio rapporto col mondo e con gli altri. E' forte la sensazione di essere un po' alieno a molte cose che mi circondano in questi giorni, e non si tratta solo del fatto di essere negli Usa. Come sempre mi faccio prendere dalle mie ansie e dai miei desideri inespressi, o irrealizzati, e il morale va giù. Rischio anche di incrinare i rapporti con alcune delle persone che mi sono vicine, con le quali ho vissuto un anno frequentando il master e preparando questo viaggio. Ho questo carattere che mi porta a pensare sempre a quello che non ho, o che vorrei, o a come desidererei vedere il mondo girare, e finisco per non godermi le esperienze, e forse anche le amicizie.


Il proposito per quest'ultima settimana in Florida è di godermela fino in fondo, que sera sera...

domenica 13 aprile 2008

Diario americano

Provo a scrivere qualcosa dalla Florida, e a tenere una specie di diario, se ci riuscirò. Come qualcuno sa giovedì sono arrivato a Miami (dopo 11 estenuanti ore di volo con la compagnia di bandiera ancora viva) per trascorrere tre settimane nel campus di una università della Florida (di Fort Lauderdale precisamente) per concludere il master iniziato ormai un anno fa.


Appena arrivato, dopo aver sbrigato le faccende per i passaporti e la dogana, è stata quella tipica di un italiano, o forse anche di un europeo, che sbarca per la prima negli Usa: tutto grande, tutto come nei film. E ovviamente il caldo, molto umido, che a tutto fa pensare tranne che a studiare.


Dopo il primo orientamento in questi giorni io e il mio gruppo abbiamo superato il jet-lag a forza di tirar tardi la sera, che non è una cattiva idea. Tra l'altro ora che abbiamo affittato due macchine possiamo anche uscire ed esplorare i dintorni: oggi finalmente dovremmo vedere Miami.


La maggior parte del tempo l'abbiamo finora trascorsa in campus, una struttura enorme con piscina, palestra e un sacco di altre cose che non invogliano prorpio a mettersi a studiare.


Nonostante il trambusto di questi giorni sto abbastanza tranquillo, ancora eccitato per l'esperienza. Come detto, se riesco con i tempi (le giornate sono abbastanza frenetiche), cercherò di scrivere ogni tanto qualche impressione ma nessuno conti sulla regolarità. Per ora vi saluto, vado a fare colazione!

lunedì 21 gennaio 2008

American Gangster

Quest'anno al cinema stanno uscendo davvero bei film. E davvero un bel film è l'ultimo di Ridley Scott, da pochi giorni uscito in Italia, American Gangster, la storia del boss di Harlem Frank Lucas e del poliziotto che gli diede la caccia, Richie Roberts.


Il film di Scott è un gangster movie con i controfiocchi, non gli manca nulla sotto ogni aspetto: la sceneggiatura regge sotto ogni punto di vista, alcuni dialoghi sono bellissimi, la regia è perfetta, senza sbavature, così come il montaggio; ogni aspetto tecnico del film funziona perfettamente ai fini del racconto. E, cosa più importante, tutti questi elementi tengono lo spettatore incollato alla poltrona.


Brevemente, la storia: fine anni '60-primi anni '70, dopo la morte del vecchio boss di Harlem, Frank Lucas (Denzel Washington), suo autista, guardia del corpo e pupillo, intravede la possibilità di salire ai vertici della criminalità newyorkese importando eroina purissima direttamente dal sud-est asiatico, sfruttando la compiacenza di alcuni membri dell'esercito americano impegnato in Vietnam. Il poliziotto Richie Roberts (Russel Crowe), uno dei pochi poliziotti onesti fra Newark e New York, riceve l'incarico di formare una squadra anti-narcotici per l'arresto dei principali capi del traffico di droga.


Il film di Scott si gioca quindi tutto sul dualismo a distanza fra questi due personaggi, schierati agli estremi opposti ma entrambi dotati a modo proprio di un codice d'onore che né altri criminali né la maggioranza dei poliziotti di New York e del New Jersey dimostrano di avere. American Gangster è un film solido, che porta lo spettatore all'interno della vicenda senza cedere nulla all'inutile spettacolarizzazione ma alternando attentamente i momenti di maggior suspense con i passaggi emotivi del film, come il rapporto di Lucas con la madre e con la famiglia, originaria del North Carolina, o la vicenda privata di Roberts, che lotta con l'ex moglie per la custodia del figlio. Sia Lucas che Roberts però sono uomini totalmente assorbiti dal proprio ruolo, senza compromessi, o bianco o nero (e per questo, anche se può sembrare banale, funziona bene la coppia Washington-Crowe, davvero bravi entrambi in questo film, e se lo dico io che non sopporto l'attore de Il gladiatore...) e finiscono per sacrificare anche gli affetti.


American Gangster alla fine è un ottimo film proprio perché, pur vicino ad altre pellicole dello stesso genere (penso a Scarface e a Quei bravi ragazzi) non sembra rifarsi a nessun modello in particolare, ma può darsi io mi sbagli: Ridley Scott ha voluto in qualche modo dettare la sua versione del gangster movie, giocandolo sull'umanità dei personaggi (come però, a pensarci bene, sono anche i film che ho citato, quindi, forse, qualche riferimento Scott lo ha avuto...).

mercoledì 16 gennaio 2008

La Sapienza del Papa

A me che il Papa non va più ad aprire l'anno accademico della Sapienza (la mia università, avrei molto più diritto di aprirlo io l'anno accademico) non spiace nemmeno un po', anzi ne sono pure contento. E 'sti cazzi delle polemiche politiche.


La verità è che tensioni nascono per un motivo solo: da tempo ormai la Chiesa ha lanciato una offensiva forte alla laicità dello Stato italiano, il conflitto è inevitabile, e purtroppo gioca a favore della Chiesa stessa che ora potrà dire, per bocca dei suoi difensori d'ufficio, di essere stata zittita, che in Italia i cattolici sono discriminati, bla bla.

lunedì 14 gennaio 2008

La monnezza siamo noi

Dell'emergenza rifiuti campana saprete tutto immagino (mi piace immaginare...), e forse, anzi sicuramente più di me, che so solo quello che si vede e legge in tv e sui giornali. Ed è ormai un luogo comune dire che è colpa della politica, degli amministratori locali e della camorra, of course. Tutto vero, senza ombra di dubbio.


Giusto ieri stavo riflettendo sul problema e sono arrivato ad una conclusione banalissima: il problema rifiuti, al di là delle conseguenze patologiche raggiunte in Campania, esiste perché produciamo rifiuti, perché la nostra società non può fare a meno di produrre rifiuti: la società industriale produceva merci ed oggetti, quella post-industriale rifiuti di ogni genere (torno nuovamente, per l'ennesima volta su questo blog a consigliare la lettura dei romanzi di DeLillo, in particolare Underworld: poche altre volte la letteratura ha saputo spiegare così bene la realtà in cui viviamo).


Proprio ieri pensavo che l'unica soluzione sia produrre meno rifiuti (perché in realtà ne produciamo sempre di più) e per produrre meno rifiuti bisogna consumare di meno, tutti e tutto. Inutile fare esempi, sono sotto gli occhi di tutti. Servirebbe un grande cambiamento culturale, oltre che maggiore attenzione da parte delle classi dirigenti (che sulla monnezza in qualche modo lucrano), ma la colpa è soprattutto nostra.


E stamattina come per magia leggo l'ultimo numero di Giap, nel quale i Wu Ming avvalorano questa tesi (ma non è una novità, come non sono una novità le mie riflessioni, non nascono mica nel vuoto, chissà quante volte le ho già sentite), con un interessante (quanto originale) attacco alla soluzione finale dei termovalorizzatori (eufemismo, la parola termovalorizzatore, che fa pensare alla neo-lingua di Orwell): l'unica soluzione finale è cambiare profondamente il nostro modello di consumo, e quindi di vita: bastano piccole cose e piccoli gesti quotidiani.


E qui, aggiungo io, perché non rendersi conto che oggi abbiamo a disposizione tecnologie che dovrebbero contribuire a produrre meno oggetti e di conseguenza meno rifiuti e che invece non vengono sfruttate come si dovrebbe? Oggi abbiamo meno bisogno di oggetti materiali, almeno per alcune cose; pensate alla potenza del digitale, con una politica industriale meno miope e con qualche passo avanti nella creazione di supporti sempre migliori e flessibili, chi avrebbe più bisogno dei supporti materiali?


Quello dei rifiuti è solo un aspetto di un fenomeno più vasto, forse il più importante nel mondo globalizzato di oggi, di consumo e sperpero delle risorse con conseguente consumo e sperpero della Terra stessa. Consumo e sperpero che dà a breve avrà effetti non solo sul clima, non solo sulla nostra salute, ma anche sugli equilibri geopolitici del pianeta. Siamo sicuri di volerlo?

giovedì 10 gennaio 2008

Monk

Voglio allietare la vostra serata con un po' di buona musica del Thelonious Monk Quartet: Epistrophy, Parigi, 1966.


mercoledì 9 gennaio 2008

Fra giallo, noir e thriller

Negli ultimi giorni, avendo più tempo libero a disposizione, ho dedicato tempo alla lettura come facevo una volta, ai bei tempi andati quando non avevo un cazzo da fare, e, un po' casualmente un po' perché vado a periodi, mi sono dedicato a tre romanzi oscillanti tra il thriller, il noir ed il giallo. Ne scrivo brevemente.


copertinaSingle & Single, di John Le Carré. Bel thriller, molto raffinato come ho già avuto modo di dire qualche giorno fa. Il libro, scritto e ambientato nella seconda metà degli anni '90, inizia con l'esecuzione di un avvocato in Turchia e prosegue con le vicende di Oliver, che all'inizio conosciamo come un giovane prestigiatore, divorziato con un figlia piccola: personaggio solitario e misterioso, che non ha ben raccontato il suo passato a chi gli sta vicino e che ben pressto il lettore scoprirà essere qualcun altro, il figlio del titolare di una delle più note case di intermediazione londinesi, la Single & Single, appunto (l'& Single è lui), ritiratosi, scappato, pentito, di fronte ai traffici illegali a cui la Casa si ritrova a partecipare insieme a mafiosi ed oligarchi della nuova Russia post-comunista. Oliver dovrà affrontare un passato che pensava di essersi messo alle spalle per salvare il padre col quale ha rotto ogni rapporto da anni dopo averlo, diciamo così, "tradito". Ripeto, bel noir, molto inglese e molto internazionale (non solo perché la vicenda si sposta da Londra, alla Svizzera, ad Istanbul, alla Georgia).


La ragazza dal cuore d'acciaio, di Joe R. Lansdale. I lettori abituali di questo blog sanno che Lansdale è uno dei miei scrittori preferiti e che si contraddistingue, secondo me, non tanto per la qualità letteraria, se questo vuol dire qualcosa, quanto per la capacità di narrare storie e di tenere il lettore legato alle sue pagine fino alla fine (almeno alcuni lettori: poi i gusti sono gusti).
Cason è un giornalista arrivato perfino alla candidatura al Pulitzer ma che di punto in bianco ha mollato tutto per arruolarsi e partire per l'Afghanistan prima e l'Iraq dopo. Tornato a casa, nella cittadina texana dove è cresciuto e dove ancora vive la sua famiglia, cerca di ricostruire la sua vita, ossessionato dal ricordo della sua ex fidanzata e dalle atrocità viste in guerra; dopo aver trovato lavoro nel piccolo giornale locale, Cason si mette a seguire il caso di una giovane e bella studentessa universitaria scomparsa qualche mese prima: inutile dire che si ritroverà invischiato in una brutta storia, nella quale dovrà salvare il culo, come scriverebbe Lansdale, a se stesso e a chi gli sta vicino.
Segnalo anche che Lansdale, a modo suo, ha trovato il modo di toccare temi politici, la guerra ma non solo (Cason è un sostenitore della laicità su temi eticamente sensibili, ad esempio; da sfondo alla vicenda poi c'è uno scontro interrazziale per la costruzione di una scuola nel quartiere nero della cittadina in cui si svolge il libro): insomma un romanzo che regala tanta suspence ma non solo, scritto bene e che ritengo uno dei migliori che io abbia letto di JRL.


Quadruppani Serge, In fondo agli occhi del gattoIn fondo agli occhi del gatto, di Serge Quadruppani. Negli ultimi tempi ho trovato entusiastiche recensioni di questo libro e mi era venuta voglia di leggerlo, col risultato di giudicarlo anche io ottimo: le 190 e passa pagine di questo romanzo sono volate. Questo scrittore francese, che si divide fra Roma e Parigi, ha costruito un giallo-noir che dà nuova vita al genere seguendone i canoni ma innovandolo anche dal punto di vista narrativo. Parigi: Michel, informatico disoccupato, si ritrova accusato della morte dell'amico Paul, mercante d'arte, brutalmente assassinato in casa propria; Michel non è tagliato né per fare la parte dell'investigatore né quella del fuggitivo ma alla fine riesce discretamente bene in tutte e due. Dietro la morte di Paul c'è un complotto nel quale il protagonista si ritrova suo malgrado immischiato, e che riserverà anche per lui una sorpresa.

lunedì 7 gennaio 2008

Fiocco azzurro (o rosa?) nel Web

Nasce oggi Wikia Search, motore di ricerca lanciato dai creatori di Wikipedia che, si annuncia come una vera e propria rivoluzione rispetto ai motori di ricerca come li abbiamo finora conosciuti. Wikia Search è ancora in fase alpha, quindi non aspettatevi chissà che prestazioni; trovo però molto interessante la filosofia del progetto, che nasce offrendo grandi possibilità di social networking e con una filosofia di base che vuole rendere molto più trasparenti i suoi meccanismi di ricerca (già ho avuto modo di scrivere qui come Google, sicuramente il motore più potente, sia tutt'altro che trasparente).


Proprio sul versante della trasparenza mi sembra si nasconde la più grande potenzialità di Wikia Search, e la più grande novità. Il ranking delle varie pagine web (per ora che le pagine indicizzate sono davvero pochine; uno dei suoi creatori dice a Repubblica che ci vorranno almeno due anni per arrivare a livelli paragonabili a Google) sarà determinato anche dalle preferenze degli stessi utenti, che avranno la possibilità di votare i risultati delle ricerche e di discuterne in modalità wiki. In più, mi sembra di capire dando un'occhiata superficiale al portale, Wikia Search sembra puntare su tecnologie semantiche (e mi preme sottolineare questo aspetto visto che con una tesi sul semantic web mi ci sono laureato, ormai quasi tre anni fa: come passa il tempo), visto che è attivo nella comunità che si sta occupando di questo sviluppo un Semantic Lab: rosico, questo sì che sarebbe stato un bel caso da studiare.

sabato 5 gennaio 2008

Le promesse provenienti dall'est

L'ultimo film di David Cronenberg, La promessa dell'assassino (pessimo titolo italiano di Eastern Promises), è l'ennesimo capolavoro di un regista che ha ormai il suo posto nella storia del cinema: non ho problemi a sbilanciarmi.



La vicenda è semplice, forse. Una ragazzina russa, poco prima del giorno di Natale, muore di parto in un ospedale londinese in circostanze misteriose, mettendo alla luce una bimba; una giovane dottoressa di origini russe, Anna (la bellissima e bravissima Naomi Watts: sarà rimasta in mente a molti dai tempi di Mulholland Drive), tiene il suo diaro e cerca chi glielo possa tradurre rivolgendosi prima allo zio Stipan e, dopo un litigio, al proprietario di un ristorante russo il cui biglietto da visita ha trovato nel diario. Ben presto Anna scopre la terribile verità, che forse sospettava fin dall'inizio: la ragazza era tenuta schiava e sfruttata dalla mafia russa di Londra. Nell'avvicinarsi alla verità Anna sfiora le trame della vor con la volontà di trovare la vera famiglia della bambina, il cui destino è ormai indissolubilmente legato al suo.


Eastern Promises è un film chiaro, netto, un noir che segue con rigore le regole del genere ma è anche un film ambiguo, fatto di chiaroscuri, di contrasti. E' un thriller dove il sangue scorre il giusto, con avvincenti scene d'azione (bellissimo il combattimento fra Viggo Mortensen, nudo e a mani nude, e due spietati killer in una sauna) ma nel quale c'è di più. Ho giusto pubblicato ieri un post su Luce ed Ombra e come queste nutrano e si nutrano dell'immaginario (e non a caso ho chiuso il post con il video dell'inizio di un altro grande film di Cronenberg, A History of Violence), e Eastern Promises rientra poprio in questo discorso, pienamente.


Ho detto di un film fatto di contrasti. Contrasti fra la Londra che tutti noi conosciamo e quella sotterranea della criminalità organizzata (l'underworld, mi verrebbe da dire citando forse a sproposito, ma non troppo, DeLillo), contrasti fra i personaggi principali del film e all'interno di loro stessi. Come nel precedente film girato con Viggo Mortensen, Cronenberg ci racconta che il male si può nascondere dietro la porta di casa, celarsi nelle forme più insospettabili, basta soltanto saper guardare. L'ambiguità è nei personaggi stessi: è ambiguo Kyrill (Vincent Cassel), figlio inetto di un capomafia, dedito all'alcol e a loschi traffici ma in realtà senza essere realmente tagliato per il ruolo di erede della famiglia; è ambiguo l'autista di Kyrill, Viggo Mortensen (perdonatemi se non ricordo, anzi non l'ho proprio capito, il nome del personaggio: comunque grandissima interpretazione, secondo me), spietato, freddo, un vero professionista che cela però qualcosa, che mostra a suo modo una qualche umanità.


La promessa dell'assassino è quindi più di un thriller perché dipinge ritratti vividi, iperreali, in cui i sentimenti, anche quelli dei mafiosi russi, emergono da sotto la superficie delle parole, e per sentimenti intendo quello che sgorga dall'emotività umana, anche sentimenti negativi, anche il piacere per il male. E' la forza del cinema o della letteratura di genere, soprattutto quando parliamo di grandi autori come Cronenberg. Infine, è un film che si presta a più letture: vi terrà attaccati alla poltrona mentre cercherete di capire come evolverà la trama, ma vi costringerà ad interrogarvi su come vi comportereste voi in una situazione come quella di Anna (perché non andare  subito dalla polizia, per esempio? il fascino del male, di vedere cosa c'è sotto la vita normale di ogni persona comune?), a chiedervi quanto vicende simili sono vicine a casa vostra (il traffico di donne costrette a prostituirsi avviene anche nelle nostre città, vicino le nostre case; non dimentichiamo poi che in Italia abbiamo la mafia doc), se e quante volte girereste la testa dall'altra parte e proseguireste nelle vostre vite lasciando da parte quel mondo sotterraneo che sotterraneo non è.


Ps: un'ultima nota, è un film da vedere in lingua originale (cosa che farò non appena uscirà il dvd), credo che il doppiaggio italiano abbia compiuto qualche scempio, visto che ci sono molte scene nelle quali i protagonisti parlano in russo... ho letto da qualche parte che Mortensen e Cassel hanno studiato russo per questo film.

venerdì 4 gennaio 2008

Di luce, di ombra, di male ed immaginario

Oggi parliamo di luce, di ombra, di male e di immaginario a partire da un interessante articolo che ho letto su Carmilla.


Scrive Danilo Arona che nella nostra epoca si conferma l'idea di una studiosa americana che parlò dei serial killer come epifenomeno dell'Apocalisse. Sì dell'Apocalisse, avete letto bene. Naturalmente si parla di Apocalisse sociale e culturale che affonda nell'inconscio (individuale e collettivo, direi io), quindi non aspettatevi l'arrivo degli angeli.


Il filo del discorso parte dalla distinzione junghiana fra luce ed ombra. L'Ombra è l'antitesi della Luce, così come l'inconscio si definisce per contrasto con la coscienza. L'Ombra esiste solo perché esiste la Luce, e più forte è la Luce più forte è l'Ombra: in assenza di luce, di buio totale non esisterebbero ombre. L'Ombra non è per definizione il Male ma, è il ragionamento dell'autore dell'articolo, sta trasformandosi in qualcosa che riguarda sempre meno l'individuo e sempre più la massa, trasformandosi in Male sociale perché nell'epoca della visibilità più forte (la luce mediatica) si sviluppano anche le ombre più forti, la realtà scompare, come diceva Baudrillard (e io direi, tirandolo dentro per le orecchie, anche Dick), sostituita dai simulacri dei media.


Seconde considerazioni. Il giornalismo moderno, come lo conosciamo oggi, mette le sue radici intorno alla metà dell'Ottocento in Inghilterra; il romanzo di Stevenson "Lo strano caso del Dottor Jekyll e del signor Hyde" è del 1886 e parla proprio di Luce ed Ombra, e di un serial killer; il primo serial killer della storia (almeno il primo registrato come tale) è notoriamente Jack Lo Squartatore, che agì a Londra fra il 1887 ed il 1889. La seconda metà dell'800 fu quindi un epoca centrale, in cui inizia a prendere forma quella che sarebbe diventata la moderna società di massa e nella quale il contrasto fra Luce ed Ombra si fa più forte: aumenta la visibilità mediatica e crescono le manifestazioni dell'Ombra (c'è chi ha scritto che Jack rappresentava l'inconscio dei londinesi a lui contemporanei).


Ecco, continuando a seguire il ragionamento di Arona, che arriviamo all'aspetto che più mi interessa, il legame sempre più forte fra Luce, Ombra ed immaginario. I delitti dei serial killer, da Jack The Ripper in avanti, hanno nutrito l'immaginario: attraverso la cronaca certe immagini sono entrati nella nostra cultura, si sono sedimentate. E a sua volta questo immaginario fatto di libri, film, fumetti, tv che tanto bene hanno raccontato l'Ombra, portandola alla Luce, fa crescere l'Ombra stessa nell'inconscio collettivo. Qui Arona scrive che è la luce mediatica che ha fatto e fa moltiplicare i serial killer, la ritualità degli omicidi seriali esiste proprio perché se ne parli ed emerga alla luce.


Non sono un esperto di psicologia o criminologia quindi non mi interessa più di tanto discutere dei serial killer, sono però affascinato da ogni discorso che pieghi sull'immaginario. Realtà ed immaginario sono indiscutibilmente legati, ed il loro rapporto, direi, è biunivoco, sono due fenomeni che si nutrono l'uno dell'altro. L'immaginario riflette la realtà a modo suo, a volte in maniera realistica altre volte prendendo le strade del fantastico tout court (intendo in maniera molto ampia, forse non correttamente, i generi, tutti i generi, che, volenti o meno, sono definiti per contrasto rispetto alla narrativa, termine per certi versi diventato a sua volta connotazione di genere, un genere che non riguarda i generi).


L'immaginario (e forse quello di genere di più ancora) è legato all'inconscio, a quell'inconscio di massa che prende il nome di immaginario collettivo. Sarebbe una banalità a questo punto affermare che amiamo i generi, alcuni generi in particolare, perché alimentano un immaginario che esiste solo in quanto proiezione della realtà, di qualsiasi realtà, che non vivremo mai per davvero ma che fanno scattare qualcosa in noi, qualcosa sepolto nell'inconscio, nell'Ombra, appunto. E' una banalità ma lo affermo. L'immaginario ci ricorda l'esistenza dell'Ombra, per questo, direi, è indispensabile.


 


mercoledì 2 gennaio 2008

Note di inizio d'anno

Intanto buon anno a tutti: che non si dica che non sono una persona educata.


Inizio il 2008 con poche note:



  • sono disoccupato, e devo dire che questo primo approccio alla condizione di senza lavoro è buono;

  • in questi giorni sto ricaricando le batterie esaurite negli ultimi mesi: senza stress riesco anche a dormire come si deve;

  • mi riposo e mi rilasso nel solito modo: immerso in qualche libro, vedendo qualche film, ascoltando musica, insomma immergendomi nell'immaginario;

  • a proposito di libri, ho finito di leggere Single & Single, di John Le Carrè: bel noir, scritto bene, raffinato, che non saprei definire altrimenti che "inglese"; dovrei scriverle due righe su questo libro;

  • sto leggendo l'ennesimo libro di Joe R. Lansdale: è la volta della sua ultimissima opera, tradotta in Italia col titolo La ragazza dal cuore d'acciaio, romanzo che rivela ancora una volta come questo scrittore sia un maestro della narrazione pura e semplice e della suspence;

  • quanto a film et similia, sto scoprendo con qualche anno di ritardo Twin Peaks: quando lo trasmisero la prima volta in Italia ero relativamente piccolo, poi in repliche successive non l'ho mai visto. Non mi dite chi ha ucciso Laura Palmer;

  • sul fronte musica, sto scoprendo Tom Waits e alterno REM, Led Zeppelin, Coldplay, Ben Harper, Amy Winehouse, Green Day, Linkin Park, musica jazz varia: come si può notare non ho gusti ben definiti e ascolto quello che capita e che scopro piacermi;

  • sempre a proposito di musica, ho scoperto Deezer, un sito sul quale è possibile trovare ed ascoltare in streaming praticamente di tutto e sul quale, se si ha voglia e tempo, registrare anche le proprie playlist: vi consiglio di farci un salto se già non lo conoscete.