Moebius

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domenica 29 marzo 2015

The Imitation Game

Vedere, e recensire, un film dopo che tutti quelli che lo volevano guardare lo hanno già visto e che giornali e blog ne hanno già scritto forse non aggiunge nulla.
Serve però a me, per registrare le impressioni, a caldo o a freddo a seconda dei casi, e per fare ordine fra le idee. Per far emergere le idee.

Quindi parliamo di The Imitation Game,  visto venerdì sera insieme a un'altra decina di spettatori in una saletta piccola e in qualche modo intima, in buona compagnia per fortuna.
Passo indietro. Il motivo per il quale finora non lo avevo visto era un sincero pregiudizio sul modo in cui era stata resa la storia di Alan Turing. Temevo una riduzione a macchietta di un personaggio dalla storia drammatica di cui avevo avuto modo di leggere negli anni (off topic ma non troppo: un buon libro per comprendere il contributo di Turing alla moderna informatica e agli studi di intelligenza artificiale è Macchine come noi, Laterza). Poi naturalmente era anche mancata l'occasione giusta.

Venerdì sera.
- Andiamo al cinema?
- Vedo cosa danno. Ah, c'è Whiplash,  lo vorrei vedere. Noi e la Giulia, dovrebbe essere carino. Ah no, è alle 20.50. Guarda fanno ancora The Imitation Game.
- Ok, dai. Poi se non mi piace te lo rinfaccerò per tutta la vita.

Venerdì notte, dopo il film.
- Ti è piaciuto?
- Sì molto. Hai scelto bene.
- Fiuuuuuu. 

E a me? 

Giudizio più che positivo. Film di impostazione classica, che si concentra su un periodo ben circoscritto della vita di Turing, e probabilmente il più noto al grande pubblico, quello di Bletchley Park alla caccia del codice per decrittare la macchina Enigma. La biografia di un geniale matematico diventa quindi la storia eroica di un gruppo male assortito che impara a lavorare insieme e a rispettarsi per dare un contributo decisivo alla vittoria della guerra contro il nazifascismo. 

Ci sono il dramma esistenziale di Alan, una forte figura femminile, un quasi amore, la repressione dell'omosessualità, colpi di scena e un po' di spionaggio spiccio. Aggiungete un attore in ascesa come Benedict Cumberbatch, una giovane diva come Keira Knigthley, miscelate bene e otterrete quasi due ore di ottimo intrattenimento,  buoni sentimenti, commozione e grandi ideali. 

 Una critica? La storia di Turing è ipersemplificata (e probabilmente nemmeno troppo precisa); alle sue teorie si fa soltanto qualche cenno e non è detto che lo spettatore esca dal cinema avendo compreso l'importanza del gioco dell'imitazione del titolo (cioè il Test di Turing) nella storia della scienza e del pensiero contemporaneo. Inoltre Turing è rappresentato come una sorta di freak,  evidentemente con una qualche forma di autismo (si dice che potesse soffrire della sindrome di Asperger ma non mi risulta sia del tutto confermato).

Però non sarebbe corretto giudicare un film per quello che avremmo voluto fosse. Giustamente è stata fatta una scelta, e questa ha portato molte più persone al cinema e molte più persone a interessarsi alla storia di Turing.

The Imitation Game emoziona, avvicina lo spettatore alla Storia, stimola riflessioni e voglia di approfondire. E intrattiene. 
 Se ancora c'è qualcuno che non lo ha visto, beh, è consigliato col mio bollino.

PS. Qualche articolo utile:

Un computer ha superato il test di Turing (notizia poi in parte ridimensionata)


giovedì 19 marzo 2015

Walking on the moon

Ieri erano 50 anni da quando l'astronauta russo Aleksej Archipovič Leonov ha compiuto la prima passeggiata spaziale della storia
(foto da: Il Post

lunedì 9 marzo 2015

Una ragazza divertente

All'uscita avevo un po' snobbato l'ultimo libro di Nick Hornby, Funny Girl, fondamentalmente per due motivi.
Il primo è che sono passati molti anni da quando ho letto qualcosa di suo (forse Un ragazzo oppure più probabilmente Come diventare buoni).
Il secondo, collegato al primo, è che nella mia testa (in quel particolare scoparto della mia testa in cui archivio e classifico i libri che leggo, gli autori che mi piacciono, le cose che metto nella mia personalissima lista dei desideri) lo scrittore inglese da un certo punto in poi mi è sembrato appartenere a un periodo ormai passato (gli anni '90, primi anni duemila) in cui io stesso ero diverso e avevo gusti in parte differenti anche in materia di letture.

Per me Nick Hornby è sempre stato quello di Febbre a 90° e Alta Fedeltà, libri in qualche modo molto caratterizzanti del momento in cui sono stato scritti e di un modo di sentire che sembra lontano anni luce. Un po' la stessa cosa la sento per Jonathan Coe, un altro che a cavallo fra '90 e anni zero amavo molto e consigliavo a tutti e che oggi forse non amerei allo stesso modo.

E' stato quindi quasi per caso che, cercando qualcosa di leggero e divertente, l'ebook dell'ultimo Hornby è finito sul mio ereader, rivelandosi in linea con le aspettative, nel bene e nel male.

Brevemente, il romanzo (ambientato a metà anni '60) racconta la storia di Barbara, bionda ventenne e col fisico da starlette televisiva che da una sperduta cittadina nel nord dell'Inghilterra di trasferisce a Londra per cercare di coronare il sogno di diventare un'attrice comica come il suo idolo Lucille Ball.
Manco a dirlo, dopo un breve periodo di ambientamento nella metropoli Barbara riesce a dimostrare il suo talento comico e a diventare la protagonista di una sit-com della BBC.

Da lì in avanti la vicenda scorre in modo lineare, senza clamorosi colpi di scena; Barbara si muove nella swingin' London, in una parabola che da provinciale imbranata la porta a frequentare feste e luoghi alla moda, dribblando spasimanti e godendosi la fama di donna in ascesa della commedia tv inglese.

Il romanzo, scritto con grazia e umorismo, racconta soprattutto un'epoca, gli anni '60, in un Inghilterra in cui si passa da una cultura tradizionale a un'altra che sarà segnata per sempre dai Beatles e dai Rolling Stones, dai rotocalchi e da trasformazioni sociali profonde che porteranno alla crisi dei laburisti e, qualche anno dopo, all'arrivo della Tatcher.

Con qualche leggero colpo di pennello, Nick Hornby mostra i cambiamenti in corso nella società inglese e racconta come fosse una tipica storia di successo e scalata sociale le vicende di Barbara e degli altri personaggi che le ruotano intorno (Clive, il vanesio attore co-protagonista della sua sit-com; Dennis, il produttore; i due sceneggiatori Tony e Bill).

I momenti migliori del romanzo sono probabilmente quelli in cui compaiono i due sceneggiatori, uno apertamente gay con ambizioni artistiche, l'altro probabilmente gay ma dalla sessualità incerta (anche e soprattutto a se stesso); sono i due personaggi che fanno da snodo alla vicenda in quanto autori di una sit-com che deve essere allo stesso tempo innovativa e rispecchiare i cambiamenti sociali in atto e in quanto personaggi più complessi, intorno ai quali far girare le tematiche in qualche modo più impegnate del romanzo (cultura alta vs cultura bassa; l'omosessualità, all'epoca ancora un reato in Inghilterra; i rapporti fra i sessi che si fanno sempre più paritari e, sessualmente, liberi, almeno in certi settori; il matrimonio e una nuova idea di famiglia).

Il libro strapperà molti sorrisi al lettore e sono sicuro piacerà a molti; Funny Girl manca però di pathos, non c'è mai un momento drammatico o una svolta narrativa inaspettata che riattizzi l'attenzione del lettore. Sembra davvero di vedere una vecchia serie tv, dove tutto è ovattato, piacevole e poco impegnativo, con una vena malinconica che è la cifra tipica di Hornby ma nella quale è davvero difficile riconoscersi (al contrario, ad esempio, di quanto potrebbe accadere al vecchio lettore di Alta fedeltà).