Moebius

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giovedì 11 settembre 2014

Se ogni giorno è per il ladro, a noi cosa resta?



Per chi come me vede la lettura come un’azione attiva per aggiungere sempre e comunque qualcosa a se stessi, alla propria visione del mondo, alla conoscenza di ciò che ci gira intorno, un libro come Ogni giorno è per il ladro di Teju Cole è una sorgente a cui attingere a piene mani. 

Attingere esperienze. Fare scoperte. Viaggiare nella memoria. Immaginare un mondo altro da sé (e toccare un mondo altro da sé, perché immaginare è sempre vedere e costruire qualcosa). Trovare le chiavi per aprire certe porte. 

Il libro di Cole (scritto nel 2007 ma pubblicato, non solo da noi, nel 2014)  è una sorta di diario di un giovane nigeriano che, dopo essere emigrato negli Stati Uniti 15 anni prima, ormai cittadino americano, torna per alcune settimane nel suo paese per incontrare i parenti lasciati indietro, gli amici ma soprattutto immergersi in una città e in un paese allo stesso tempo fermi e in fermento. 

Il protagonista del libro sembrerebbe lo stesso Cole ma è invece un suo alter ego, che senza rinnegare le sue origini (anzi andando alla ricerca di tutto ciò da cui è partito per cercare, come afferma nel libro, “l’impossibile”), è ormai perfettamente occidentalizzato e dell’Occidente ha interiorizzato il senso per il bene pubblico e per la legalità, il rifiuto della violenza, le regole democratiche. 

Arrivando in Nigeria (anzi già prima di partire) deve fare subito i conti con uno dei paesi più corrotti del mondo, in cui la mazzetta è elemento imprescindibile nella vita quotidiana di qualsiasi nigeriano; dove lo sviluppo è sempre soltanto apparente e non frutto di programmazione, ricerca e innovazione; dove le disparità sociali fra ricchi e poveri sono sempre più profonde; in cui la cultura è quasi sempre soffocata dalla mancanza di visione ma anche dalla corruzione e dall’illegalità che pervade ogni settore e che soffoca anche un patrimonio storico ricchissimo.

In quelle settimane trascorse a casa di alcuni zii, il protagonista-che-forse-è-ma-in-realtà-non-è-Cole incontra parenti, amici di infanzia, riscopre una città, Lagos, profondamente cambiata ma allo stesso tempo sempre uguale. 
Egli prova a capire non tanto, e non solo, cos’è la Nigeria contemporanea quanto piuttosto se, in qualche modo, potrebbe perfino tornare a vivere lì. 

Alla fine si tratta di un pensiero passeggero, che appare e scompare qua e là nella narrazione e quasi sempre la risposta è no: no, perché è difficilissimo trovare una nicchia in cui coltivare interessi e passioni culturali; no perché professioni prestigiose come quella di medico non consentono più di vivere dignitosamente mentre sono altri i settori dove circolano i soldi; no perché bisognerebbe imparare a convivere ogni giorno con la violenza e la corruzione. 

E infine no perché manca la cosa più importante di tutte, la libertà. La libertà di diventare quello che si vuole e persino la libertà di essere infelici. 

Quella che scopriamo da Cole è una società con una grande livello di sofferenza repressa (alcuni dei passaggi più belli del libro sono dedicati a questo aspetto); i nigeriani si dicono felici perché “devono” essere felici: lo dice il governo, lo dice la religione (cristiana o musulmana che sia), lo dice la regola sociale. 

Si tratta di un paese in cui la storia viene rimossa regolarmente non solo a livello ufficiale ma anche nella vita di tutti i giorni. E se non c'è elaborazione del passato non c'è cultura e non c'è speranza.

L’impressione che ha il lettore è che il protagonista-che-forse-è-ma-non-è-Cole si senta quasi più straniero in Nigeria che in America, dove ha comunque dovuto intraprendere un lungo, e immaginiamo difficile, percorso per adattarsi alla vita occidentale, per integrarsi e per prenderne tutti i vantaggi (una laurea in medicina e una specializzazione in psichiatria, la possibilità di viaggiare e di tornare in Nigeria da turista). 

Questo ritorno alle origini è in realtà anche il racconto di uno sradicamento dalle proprie radici e dalla propria famiglia. Non c’è quasi nulla di romantico perché la vita, qualsiasi vita, è sempre costellata di separazione, di tagli col passato, di ricostruzioni che ci rendono diversi rispetto a quando siamo partiti. E questa diversità si concretizza con la distanza non solo con chi è rimasto indietro (e che immagina un giorno di poter compiere lo stesso viaggio) ma anche con i noi-stessi che eravamo.

Infine, chiudo con alcune considerazioni sulla scrittura di Cole, nella versione tradotta da Gioia Guerzoni per Einaudi. Si tratta di uno stile molto pulito e lineare, senza fronzoli ma da cui emergono frasi dal grandi impatto (dopo magari aver raccontato di una visita in un museo o in una libreria o a qualche vecchia amica).


Citazione:
“…...e mi chiedo perché sono venuto, perché ho cercato, ancora una volta, di recuperare l'impossibile”.