Moebius

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giovedì 29 settembre 2005

The world that Jones made

E Jones creò il mondo. In che senso? È quello che scoprirete leggendo l’omonimo libro del buono e caro Philip K. Dick. Questo Jones è uno dei primi libri di Dick, fa parte di quella produzione degli anni ’50 da cui risulta il più delle volte un Dick ancora molto acerbo, che sta sviluppando alcuni dei temi che diventeranno poi tipici dei grandi capolavori degli anni ’60 e che sta ancora decidendo se dedicarsi alla letteratura mainstream o alla fantascienza pura. Sappiamo già quale fu la scelta, anche se la fantascienza dickiana porterà il genere al di fuori del ghetto.

 

Jones è un precog (un predic nel libro) come ce ne sono sempre nei libri di Dick, ed ha delle facoltà straordinarie che gli permettono di leggere nel futuro fino ad un anno esatto di distanza. Il mondo è stato sconvolto dalla terza guerra mondiale, le radiazioni nucleari hanno portato come conseguenza più evidente la nascita di tutta una serie di strani mutanti; e si è affermata come dottrina politica e morale il Relativismo, dottrina che predica la tolleranza di ogni idea e fede, purché nessuno cerchi di convincere gli altri della bontà delle proprie idee, pena l’arresto e la condanna. Jones grazie ai suoi poteri riuscirà a conquistare il potere assoluto sulla Terra predicando l’intolleranza, fomentando l’odio verso il nemico esterno (nel caso delle strane gelatine aliene che planano sulla Terra ma che risultano del tutto innocue) e programmando l’espansione della Terra nello spazio. Cussick, l’antagonista di Jones nel libro, è invece un membro della polizia segreta che veglia, appunto, sul rispetto del relativismo e lotterà per difendere i principi in crede (ma c’è da chiedersi: è poi così giusto il relativismo assoluto? Sono poi dei così sani principi? Chi può dire cosa sia veramente giusto?)

 

Come sempre nei libri di Dick le vicende dei personaggi sono strettamente intrecciate, aldilà della vicenda principale, perché alla fine ogni filo è tessuto insieme in modo da mostrare una realtà in cui gli uomini sono solo pedine. È un Dick molto meno cupo e pessimista dei libri successivi, che apre, nel finale, anche ad una visione forse ottimistica del futuro dell’umanità ma che già comincia a riflettere sul tema del libero arbitrio (che non è mai veramente libero: il futuro è già scritto e se pensiamo di guidarlo scopriamo che ci sono forze più forti), che rifiuta ogni forma di totalitarismo, sia dittatoriale che democratico, che limita la libertà della gente di pensare con la propria testa prima di tutto (e Dick sarà ossessionato dalle vicende del nazismo come ne L’uomo nell’alto castello, noto anche come La svastica sul sole). Ancora non ha del tutto operato le sue scelte, questo Dick agli inizi, ma ha iniziato a tessere i fili della realtà soffocante, alienante e del tutto altra dei suoi libri successivi, in cui ogni scelta morale presenta sempre due facce della stessa medaglia (come una moneta che rappresenti la faccia di un vostro amico…).

 

Insomma, Jones è un libro un po’ incompleto, che risente ancora della ricerca di Dick di una strada tutta sua che a quel punto ancora non aveva trovato (e infatti si sentono echi di libri distopici come Il mondo nuovo o 1984) e di uno stile definito (infatti questo libro forse pecca un po’ anche da questo punto di vista). Da leggere, ma dopo le grandi opere di PkD.

5 commenti:

  1. ho scritto che Jones è meno cupo e pessimista ma non si creda che qui Dick sia meno critico verso le ideologie e verso la società contemporanea: ho detto meno cupo, ma Dick è sempre cupo e pessimista. Ok, questa avvertenza tanto era per me, non credo che nessuno si preoccupasse...

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  2. però la storia mette voglia di leggerla subito... accidenti! :)

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  3. sid: i libri di dick andrebbero letti tutti, senza dubbio :) io che ne ho letti pure troppi divento leggermente più critico, perché ho ben presenti alcuni grandissimi capolavori

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  4. è vero che non è all'altezza di altri romanzi di Dick, ma non direi che si tratta di un libro incompleto: anzi, per molti versi la struttura narrativa è molto più solida (e meno farraginosa) che in altri libri, comunemente considerati come suoi capolavori.

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