Moebius

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sabato 23 aprile 2005

Infinito e cinema

Il 15 aprile, come qualcuno ricorderà, ho assistito alla conferenza tenuta da Paolo Fabbri presso la Biblioteca Ostiense della mia città, nell’ambito della rassegna di incontri Infiniti, che analizzano il tema dell’infinito dal punto di vista della filosofia, della scienza, dell’arte (vi rimando al sito delle Biblioteche di Roma per maggiori informazioni).

In particolare la conferenza della settimana scorsa, con il semiologo Paolo Fabbri, riguardava il tema Infinito e cinema, a partire dal film di Kubrick 2001: Odissea nello spazio, scritto con Arthur C. Clarke, che ne ha invece scritto il romanzo (che è nato insieme al film, da un precedente racconto di Clarke, La sentinella).

 

Su 2001:

 

La scelta di questo film da parte di Fabbri, grande appassionato di cinema, oltre che per i suoi studi sulla semiotica dell’arte e dei mass media, nasce, intanto, dalla notorietà del film, e poi dal fatto che questo film permette di parlare di “infinito” in una maniera originale.

Per quello che riguarda il film c’è da dire che è una pietra miliare della fantascienza ma più in generale per il cinema e per l’immaginario. La memoria di tutti, quando pensiamo a questo film, ci fa pensare subito a HAL 9000, il computer intelligente in grado di provare sentimenti, soprattutto di rabbia e frustrazione. Il tema del rapporto fra l’uomo e la macchina è quello più ampiamente discusso quando si parla questo di questo film, ma è anche il più superficiale, perché dentro 2001 c’è molto di più. Intanto il tema dell’ “odissea”: HAL è il ciclope (l’occhio rosso di HAL come quello di Poliremo) che non vuole far scappare Ulisse (Bowman, l’ultimo superstite di HAL: bow-man, l’uomo con l’arco, e Ulisse uccise i proci con il suo arco). Alla fine vince “Ulisse”, che toglie, letteralmente la memoria ad HAL.

È la conclusione la parte più straordinaria di questo film, quel viaggio nell’infinito da parte di Bowman, a velocità incredibile che lo porta di fronte al monolito sospeso nel nulla, che è quello a cui rimandava il monolito trovato all’inizio del film, che ha dato vita all’umanità, conferendogli l’intelligenza per maneggiare gli utensili, per costruire e per uccidere. Alla fine del suo viaggio Bowman arriva, dopo aver attraversato spazi infiniti, nel più finito dei luoghi immaginabili, una stanza, chiusa da quattro mura, in cui, grazie anche alla maestria della regia di Kubrick, il protagonista si vede di volta in volta più vecchio, attraversando in pochi secondi un arco di tempo infinito, fino a trovarsi di fronte al monolito da cui è iniziato tutto, e da cui rinizia tutto, dal “bambino delle stelle” (come lo ha chiamato Clarke), che sovrasta la Terra in una sfera di energia nello spazio.

 

In questo film c’è sempre un avanzamento dell’umanità. Intanto quello personale del protagonista, come descritto adesso; poi la nascita dell’umanità stessa, all’inizio del film, quando la scimmia diventa “uomo”, attraverso la tecnologia; e poi l’ultimo passaggio: il Baby Star rappresenta l’avanzamento dell’umanità verso l’infinito. Il ritorno di Ulisse a casa (la Terra), non è definitivo, ma, anzi, è l’inizio di un nuovo viaggio verso l’infinito.

Alcune caratteristiche principali si possono individuare a proposito di questo film. La circolarità: è un film costruito sull’immagine dell’occhio, ogni cosa è rotonda e tutto si muove circolarmente (i pianeti, le astronavi, l’osso scagliato in cielo dalla scimmia). La dilatazione temporale: il tempo non è lineare, ma ci sono salti continui, accelerazioni vertiginose, che corrispondono a mutazioni antropologiche dell’uomo; non c’è una unica natura umana, ma vediamo l’uomo trasformarsi fin dall’inizio della storia dell’umanità fino alla nascita del bambino delle stelle.

C’è da dire che Kubrick e Clarke avevano inteso diversamente il ruolo e la natura del monolito, e quindi il senso stesso del film. Clarke parla di “stargate”, di porta che conduce agli dei, ad un altro mondo che fa parte però di un altro universo; gli dei prima erano parte dell’universo materiale, poi hanno raggiunto un livello superiore di conoscenza fino a diventare il monolito. Kubrick intende invece il monolito come una entità che interagisce con la realtà circostante e la trasforma, e trasforma il mondo tutto circolare (si noti il contrasto con la forma di parallelepipedo del monolito), e l’uomo.

 

Sul tema dell’infinito:

 

Da qui, Paolo Fabbri fa partire tutta una serie di considerazioni e di suggestioni. Finito ed infinito si sono sempre presupposti a vicenda: l’infinito è il termine positivo, mentre il finito si definisce in negativo, come l’opposto dell’infinito. E Fabbri mostra ciò attraverso alcuni paradossi classici della filosofica greca (come quello di Achille e la tartaruga) o miti, come il mito del Tartaro. Il Tartaro è il luogo del caos, apeiròn (non ho studiato greco, mi perdoni chi lo conosce), è aporia, assenza di percorso: il Tartaro è ciò che non ha direzione. I greci intendevano l’infinità come percorso, come l’infinita percorribilità di un luogo che magari è finito ma non avendo forma non dà punti di riferimento, non da legami cui aggrapparsi. Non è l’infinito che contiene il finito ma piuttosto il contrario: è nel finito che si definisce qualcosa di infinito quando non si ha direzione e ogni movimento è un movimento nel nulla perché non si sa dove si va. In uno spazio pienamente infinito non ci si può muovere: l’infinità diventa un laccio.

Per quello che riguarda lo spazio ed il tempo, definire l’infinito è solo un problema di misura, come ha mostrato la scienza, dove c’è l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.

 

Un altro aspetto evidenziato da Fabbri, che riguarda propriamente il suo campo, è che nel linguaggio “l’infinito” è la forma verbale che non pone limitazioni. Quando coniughiamo l’infinito o lo sostantiviamo diamo un tempo all’infinito: quando diamo un soggetto ai nostri discorsi, e quindi definiamo uno spazio ed un tempo, il tempo linguistico diventa finito. È il soggetto che pone fine all’infinito: ciò che è infinito lo è solo finche non troviamo questo limite.

 

In 2001, la questione fondamentale non è la distanza percorsa nell’universo ma il tempo, il percorso del tempo, non quello che compie materialmente l’astronave, è infinito, o indefinito. Non si può pensare una forma dell’infinito (che è Tartaro, non ha forma), senza che ci sia un soggetto che si collochi in un tempo finito. Accentuare il tema del tempo fa sì che in 2001 ci si ponga il problema di come evolverà l’uomo: in realtà viviamo una paradossale immortalità, in un dato tempo e in dato spazio siamo immortali (io sono… sono ora e per sempre, se potessi guardarmi indietro all’istante in cui l’ho pronunciato sono sempre lì). Essere. L’atto del linguaggio è ciò che ci permette di pensare l’infinito, perché il linguaggio è ciò che ci fa fissare un tempo.

Kubrick ha posto questo problema dell’infinito facendolo sfociare in una trascendenza. La mistica, quale che sia il credo, fa risalire tutte le cose a un Dio. In 2001 piuttosto sembra porsi una tematica differente, esattamente contraria: e se Dio apparisse soltanto alla fine? Quindi, l’entità non è nelle cose, ma nello svolgersi delle cose? È una metafisica estrema: il senso delle cose si capisce soltanto alla fine, non risalendo all’inizio.

In conclusione, usando le parole di Fabbri, “però, non abbiamo deciso niente sull’infinito”.

 

Questo è il resoconto molto dettagliato (pure troppo) della bella conferenza cui ho partecipato, e mi sa che ben poca gente sarà arrivata fino in fondo a questo post. Alla fine ho fatto anche una bella domanda articolata al professor Fabbri, anche se più che una domanda era una serie di considerazioni a partire un po’ da quanto detto e un po’ dal mio bagaglio di conoscenze legate all’area di studi di Fabbri stesso; considerazioni che forse è meglio risparmiarvi, se non per quello che riguarda una generica riflessione sulla conoscenza e la cultura: finite o infinite? Secondo me tutte e due allo stesso tempo; e finito e infinito è il modo stesso di leggere la realtà, e di conoscere, che noi stessi mettiamo in moto ogni giorno, perché cerchiamo sempre di rispondere a domande che sono “inifinite”. Naturalmente è inutile dirvi che oltre ai miei studi di semiotica ci ho messo dentro pure Philip K. Dick (e film come Blade Runner e Existenz), e il Calvino di Se una notte d’inverno un viaggiatore.

I prossimi appuntamenti con questa serie di conferenze sono il 28 aprile (Biblioteca Borromeo, ore 18:30), Infinito e spazio nel pensiero ebraico, e il 18 maggio (Sala Raffello, ore 17), Infinito e Universo (quest’ultima tenuta da Margherita Hack).

9 commenti:

  1. E' lungo lo so, ma non potevo non postarlo... :)

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  2. sono arrivato in fondo ma non certo solo per ricambiare la cortesia... :-)
    comunque il film di Kubrick quando lo vidi per la prima volta, tanti anni fa, mi colpì molto già allora... queste interessanti considerazioni me lo fanno rileggere sotto una luce particolare. Però devo ammettere che dovrei rivederlo per poter dire la mia...
    E questo Fabbri è stato esauriente poi nel rispondere alle tue considerazioni?

    Il militante

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  3. dv essere stato interessante!!! lo so che il Romanzo che ho segnalato non fa parte dei generi che leggi tu :)))!!! ps. mi faresti un grande favore mi dici se si vedono tutte le immagini del mio blog altrimenti dovrò cambiare template o modificarlo!!! Lory

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  4. Ste,
    si! Ho capito adesso! eccome se ho frainteso :D
    Cmq non mi rimangio la proposta ;)
    Mi dispiace che con l'altra persona non sia possibile costruire e vivere quello che vorresti...

    questo post me lo assaporo ancora ....

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  5. Ste ma quanto scrivi? Hihihihih :P Bacio, buona domenica!

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  6. tornata...e sei pregato di non gufare sui miei studi:P
    tiè:P
    un bacio enorme...

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  7. Ste,
    si, chiudersi è sbagliato... lo so. Solo delle volte non si è nello stato giusto per stare con gli altri...
    Grazie

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