Moebius

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lunedì 20 marzo 2006

Cosmopolis, di Don DeLillo

Eric Packer è un giovane miliardario che una mattina di aprile dell'anno 2000, dopo una notte insonne passata ad elucubrare sulla sua vita, parte da Manhattan per andare a farsi fare un taglio di capelli a Hell's Kitchen (e perché proprio a Hell's Kitchen il lettore lo scoprirà più avanti). Con la sua limousine bianca ed enorme, supertecnologica ed accessoriata, decide di attraversare l'intera città, circondato dalle sue guardie del corpo, in una giornata che si rivelerà decisiva. E Cosmopolis quindi è una sorta di Ulisse (di Joyce): una giornata intera di Eric Packer, fra i vari personaggi che compongono la sua vita, o che vivono solo nel ricordo, ed incontri occasionali, alla ricerca non solo di un taglio di capelli (o della notizia del ribasso dello yen, su cui Eric ha speculato fortemente, al punto da mettere in crisi la sua intera fortuna) ma del senso profondo ed intimo della sua esistenza.

Don DeLillo anche in questo recente libro (del 2003) riesce a dipingere attraverso alcune situazioni iperreali e a volte grottesche il mondo contemporaneo, come pochi altri. Le avventure e gli incontri di Eric, fra le sue amanti, la sua giovane moglie, poetessa ed ereditiera con cui non riesce a fare l'amore, fra anarchici che protestano per New York, i suoi collaboratori, che costituiscono una variegata comunità che di volta in volta abita la sua automobile, e tutta una serie di personaggi che entrano ed escono come fantasmi, ognuno portando con sé qualche verità da scoprire, delineano un quadro che nella sua complessità rappresenta la società ipertecnologica, consumistica, dominata dai rifiuti in cui viviamo, o potremo vivere. Eric è appunto una sorta di Ulisse che viaggia in un insieme di paure e di sicurezze allo stesso tempo, che si interroga su tutto, soprattutto sulla natura della cultura, in cui i dati e le informazioni sono centrali, in cui si ripone la fiducia di trovare i significati che cerchiamo, e che invece sono tutti intorno a noi, nelle piccole cose, a cui bisogna dare un nome, per far sì che le parole abbiano un senso, e risolvere i nostri dubbi. Trovati tutti i pezzi, allora possiamo seguire le tracce fino al nostro destino.

Davvero un bel libro, in cui c'è tutto DeLillo: l'interrogarsi continuo sul senso dei nomi e delle parole, come se dalla semantica venisse il senso del mondo, e forse è così; elementi tipici del suo immaginario, come i grattacieli (non viene detto esplicitamente, ma secondo me il superattico di Eric è in cima alle Torri Gemelle, e così la scelta dell'aprile del 2000 come momento della storia acquisisce un significato più profondo, tutto da decifrare) o gli aerei da guerra, l'arte e l'architettura come prodotti di consumo, e come specchio della realtà, la tecnologia ed i media come strumenti attraverso i quali ri-mediare la realtà, e farla vivere in modo nuovo. Il tutto con una prosa ricca da un punto di vista lessicale e stilistico, in cui ogni parola è pesata e misurata al di là di un puro senso estetico ma per i significati che ogni idea e oggetto portano con sé.

1 commento:

  1. [Ste]
    Io non è che ho bisogno di te, e questo dovrebbe esser il bello dei rapporti, rapporti basati non sul bisogno ma sulla voglia di vedersi, far due chiacchiere raccontarsi, no?
    Il mio dirti che mi trascuri era solo una battuta per stuzzicarti un po’ visto che non ci siamo più incrociati…
    Ma davvero le mie parole ti suscitano tutto questo?… arrossisco, sai?
    Comq questa persona c’è ma non fa parte della mia vita… era, infatti, solo un sogno..

    Per la catena non ti preoccupare anche se non la fai per me va benissimo… anzi, cosi “muore”…
    Quindi sei un lussurioso? Bene bene :)
    Un bacio

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