Moebius

Moebius

giovedì 24 febbraio 2005

Una voce nel buio

È venuto il momento. Il momento di ricordare. Di ricordare perché. Di ricordare quando. Sono finito qui.
È buio pesto qua dentro, e fa freddo, freddissimo. Per di più sono legato a una sedia, se è una sedia. A volte sento un po’ di aria che mi sfiora i capelli. Forse c’è qualche condotto di aerazione da qualche parte. Finestre non credo.
Non so nemmeno quanto sia grande questa stanza. Non troppo, perché se grido non si sente rimbombo per niente, ma non credo che sia nemmeno troppo piccola: lo sentirei altrimenti. Però è vuota, questo è certo. Lo sento.
 
Il tempo è passato e scorre imperterrito ma io non me ne accorgo. Per me è sempre lunedì, il giorno in cui sono finito qua. Quella mattina mi ero alzato come sempre per andare in ufficio, puntuale alle alle nove. Cosa significhi poi puntuale alle nove non lo so: è un modo di dire che da quando sto qui ha perso significato. Per me le nove o le dieci o le undici ormai sono la stessa cosa. Non so nemmeno quando è giorno o notte. Presumo che sia notte quando mi addormento ma solo perché di notte dormo. Voi no? Dio come sto male, se mi viene da scherzare in questo momento.
O forse significa che ancora non mi è andato del tutto in pappa il cervello.
 
Che dite? Non capite niente? Come sto? Scusate mi ero addormentato. È stata una notte breve stavolta, forse un quarto d’ora. Dite di più? E perché non mi avete svegliato prima, tanto non devo andare da nessuna parte domattina. Cazzo, che spirito, sono pronto per il David Letterman Show.
Una volta ero più divertente. Era quando ancora non ero stato aggredito, incappucciato e drogato da tre tizi grandi come montagne. O forse sono i miei ricordi che ingigantiscono tutto. Uno a dire il vero non era tanto grosso: me lo ricordo bene perché sembrava il capo, o almeno quello che comandava quei due, che invece sembravano veramente due scimmioni, come se l’evoluzione avesse risparmiato qualche Neanderthal.
Vi dicevo di quello piccolo. È un tipo magro, non troppo alto, forse un metro e settanta. Un tipo nervoso, tutto scatti, che mette paura perché lo vedi da lontano che è strafatto di quella roba che gira nelle periferie più malfamate della Città. Non che lui ci vada nelle periferie, sicuramente conosce bene qualcuno che la vende quella merda. Si chiama Alice. Non scherzo, lo chiamavano Alice, i due scimmioni. Penso che sia un soprannome. A cosa sia dovuto, proprio non saprei. Ma uno che si fa chiamare con un nome da donna deve avere un gran fegato. Oppure semplicemente è gay, chi lo sa. Secondo me si tratta solo di un grandissimo figlio di puttana.
 
Scusate mi ero addormentato ancora. Mi succede sempre più spesso. Mi hanno dato della roba, ve l’ho detto credo. Non so di che si tratta. Era in cristalli rosa, ho visto quando li hanno sciolti con una specie di acido, poi hanno tirato tutto su con una siringa e me lo hanno iniettato in vena. Da quel momento ho perso ogni cognizione di spazio e tempo. Ve l’ho detto, non so più quanto tempo sia passato: può darsi che sia persino martedì per quello che ne so io. Mi girava la testa, adesso va un po’ meglio, e vedevo tutto da mille colori. Per questo non mi ricordo com’è fatta questa stanza: mi ci hanno buttato dentro, mi hanno immobilizzato, e poi hanno chiuso la porta e buttato la chiave, credo, visto che non si è più fatto vivo nessuno, né Alice né i neanderthal.
Ho una fame incredibile, probabilmente sono giorni che non mangio. Bere, bevo. C’è una cannuccia, un tubo, non saprei, sistemato proprio davanti alla bocca, e ogni tanto succhio. Mi fa pensare positivo questo particolare: mi vogliono vivo, ma ancora non hanno deciso che farsene di me, o forse non è ancora il momento.
 
E voi? Perché siete qua? Non avete detto quasi niente. Non ce la faccio più a parlare, ditemi qualcosa di voi. Siete nella stanza accanto vero?
 
© Stefano/PhilipDick
 

2 commenti:

  1. Nella stanza accanto, in quella di fronte...che differenza fa?
    Se non parliamo è perché restiamo ad ascoltarti.
    Ascoltarti è uno dei pochi piaceri che ci sono ancora concessi.
    Qui.

    RispondiElimina
  2. Nella stanza accanto, in quella di fronte...che differenza fa?
    Se non parliamo è perché restiamo ad ascoltarti.
    Ascoltarti è uno dei pochi piaceri che ci sono ancora concessi.
    Qui.

    RispondiElimina