Moebius

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lunedì 13 febbraio 2012

Il re pallido (un non-romanzo)

More about Il re pallidoPrima avvertenza: se non avete mai letto nulla di DFW prima, allora Il re pallido non è il libro per voi.

Seconda avvertenza: se cercate il piacere di una lettura leggera e senza complicazioni, di una trama scorrevole dove tout se tient e che vi accompagni fino a un memorabile epilogo, allora Il re pallido non è il libro per voi.

Quando vi hanno detto che questo è un romanzo postumo e incompiuto, beh, non mentivano.
Ma c’è di più, questo forse non è nemmeno un romanzo e non nel senso che la letteratura post-moderna ha prodotto tanti libri che esulano dai canoni tradizionali che definiscono un’opera. Non è solo una questione da critica letteraria per fare una dotta dissertazione sulle infinite possibilità di interpretazione di un libro ecc. ecc.. Il re pallido non è un romanzo nel senso che non è un romanzo proprio perché incompiuto e manchevole di una struttura definita e unitaria (molti libri sono rimasti incompiuti ma questo forse più di altri).


Tutti questi inutili giri di parole (ovvio che la definizione di “romanzo incompiuto” implica che stiamo parlando di un romanzo ma non nel senso tradizionale, ecco) per dire che il volume che forse avete preso fra le mani è soprattutto il risultato dello sforzo dell’editor Michael Pietsch che si è immerso nel lavoro di David Foster Wallace e ne è riemerso con una enorme e disordinata mole di appunti, storie e personaggi.
Abbiamo quindi a che fare con un’idea, un’idea di romanzo. Forse è questa la definizione giusta ed è questo l’approccio corretto nei confronti di questo libro.

Libro, così come lo possiamo leggere noi adesso, composto dalle storie di quelli che, all’apparenza, dovrebbero essere oscuri e grigi funzionari dell’Agenzia delle Entrate americana, dove l’autore ha lavorato per un circa un anno a metà degli anni ’80 (e lo stesso DFW diventa a sua volta materia narrativa comparendo come personaggio fra gli altri e come “autore”).
L’incompiutezza del romanzo fa sì che non tutti i nessi fra i protagonisti siano chiari e non tutti i personaggi risultino pienamente sviluppati; molti frammenti che compongono il libro possono essere presi come realtà a se stanti, veri e propri racconti che, in alcuni casi, potrebbero vivere anche autonomamente. Altri invece... sono frammenti, appunto.

Tutto ruota intorno al senso dello scorrere del tempo, alla consapevolezza di sé e degli altri (in senso sia fisico che “spirituale”) e al percorso che ognuno compie per arrivare a essere quello che è, con un chiave di lettura fondamentale: la noia.
Le parti più riuscite sono proprio quelle in cui David indaga il “noioso” e il meccanismo che c’è dietro, in termini di percezione del tempo e di sé: la noia è ciò che si definisce per opposizione a quanto proviamo quando siamo in piena attività; è ciò che rimane quando siamo chiusi in situazioni che non permettono distrazioni e che non lasciano vie di fuga. C’è chi sa conviverci, chi la sperimenta in vari modi, chi la combatte, chi ne viene sconfitto. Tema affascinante e forse determinante in una cultura come la nostra, permeata, di fatto, dalla ricerca della distrazione continua (dominata dall’intrattenimento, cfr. Infinite Jest).


Quindi, da leggere? A me è piaciuto, al di fuori di un’idea convenzionale di letteratura. Il re pallido non può essere giudicato in maniera completa per quello che è e forse, anzi quasi sicuramente, nemmeno per quello che sarebbe dovuto essere. È comunque un’esperienza di lettura che non potrà lasciare indifferente chi avrà voglia di confrontarsi con un libro così particolare.

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