(post scritto il 26 gennio 2005)
[Nota: questo post è molto lungo e di alto contenuto intellettuale… Vabbè, insomma qualcuno potrebbe annoiarsi: a voi la scelta se proseguire la lettura… Poi non dite che non vi avevo avvertito]
«La realtà poteva sorpassare la finzione: era il segno più sicuro del possibile gioco al rialzo dell’immaginario. Ma il reale non può sorpassare il modello di cui non è che l’alibi.
L’immaginario era l’alibi del reale, in un mondo dominato dal principio di realtà. Oggi è il reale che è diventato l’alibi del modello, in un universo retto dal principio di simulazione. Ed è paradossalmente il reale che è diventato la nostra vera utopia – ma è un’utopia che non appartiene più all’ordine del possibile, perché non si può che sognarne come un oggetto perduto».
Questo brano è tratto dall’articolo di Jean Baudrillard Simulacri e fantascienza, che trovate come postfazione del libro di Philip K. Dick I simulacri, appunto (che ho recensito qui). Baudrillard è uno dei filosofi contemporanei più famosi ed importanti, noto soprattutto per la sua cosiddetta teoria dei simulacri, cui fa parte del bagaglio culturale che sta dietro al primo Matrix. Riassumo qui il contenuto di questo breve saggio del filosofo francese.
Per Braudillard esistono tre ordini di simulacri: i simulacri dell’immagine, fondati sull’immagine, sulla contraffazione e l’imitazione, armoniosi e ottimisti, che mirano all’istituzione di un mondo ideale a immagine di Dio; poi ci sono i simulacri produttivi, fondati sull’energia, sulla forza produttiva: sono i simulacri delle macchine, che esprimono la tendenza prometeica all’espansione, alla crescita, che rappresentano il desiderio di qualcos’altro; infine ci sono i simulacri di simulazione, fondati sull’informazione, il modello, il gioco cibernetico.
Il primo ordine di simulacri corrisponde all’immaginario dell’utopia; il secondo alla fantascienza propriamente detta; il terzo… Baudrillard dice che non si sa a che immaginario corrisponda, a qualcosa che sta nascendo (ma c’è da dire subito che ormai questo nuovo immaginario fatto di informazione è nato, considerando che è passato qualche anno da quando il filosofo ha scritto queste pagine).
Per Baudrillard si produce immaginario laddove c’è distanza dalla realtà: «Non si dà reale che a una certa distanza, non si dà immaginario che a un certa distanza». Il fatto è che nel mondo contemporaneo questa distanza fra reale e immaginario si è assottigliata sempre di più, a tutto vantaggio del modello (il terzo ordine di simulacri). Lo scarto fra realtà e immaginario è massimo nell’utopia, dove si immagina un universo trascendente di ordine completamente diverso da quello esistente; si riduce lo scarto nel secondo immaginario, che è una proiezione del mondo reale, ma basato, appunto, sulla realtà scientifica, creando un universo aperto che prende le mosse da elementi reali; arrivati al terzo ordine di simulacri, quelli dell’informatica e dei mondi virtuali, abbiamo invece una iperrealtà, perché il modello non è più utopia o proiezione: non è più immaginario del mondo reale ma supera il mondo vero e proprio. Il modello supera il reale, perché non c’è più spazio per alcuna anticipazione finzionale: la fantascienza non è più fantascienza ma parla della realtà, è la realtà. L’unica simulazione possibile, dice Baudrillard, è in campo cibernetico, cioè il campo della manipolazione assoluta; arrivati qui, però, nessun modello si distingue dal reale e diventa reale esso stesso.
Il sistema del rapporto fra reale e immaginario ha raggiunto i suoi limiti, e si produce così una reversione di immaginario: senza più nuovi territori da esplorare l’immaginario diventa la realtà, arriva a descrivere la realtà stessa, in un modo che magari non ce la fa riconoscere, ma non è più di fiction che parliamo.
A esempio di questo Baudrillard prende due libri, I simulacri (e in generale tutta l’opera di PKD) e Crash di James G. Ballard (che ho recensito qui). Secondo Baudrillard le opere di Dick gravitano nel nuovo spazio in cui immaginario e reale sono la stessa cosa (ed è ovvio se pensiamo come tutta l’opera di Dick sia centrata sull’impossibilità di distinguere la realtà dalla finzione), «non si tratta di un universo parallelo, di un universo doppio, e neppure di un universo possibile – né possibile, né impossibile, né reale, né irreale: iperreale – è un universo di simulazione, che è un’altra cosa».
Per quello che riguarda Crash, il discorso di Baudrillard è che quel mondo fatto di automobili e di incidenti d’auto, di atti sessuali senza desiderio, è il nostro mondo e non vi è niente di inventato, è solo che è iperreale anch’esso è un «universo senza coscienza, ma anche senza inconscio». Il filosofo si chiede se questo mondo violentemente sessuato sia buono o cattivo, e la risposta semplicemente è che non lo sapremo mai perché «è questo il miracolo di Crash: da nessuna parte affiora quel senso critico, quello sguardo, quella profondità immaginaria che fanno ancora parte della funzionalità del vecchio mondo. Pochi libri, pochi film raggiungono questa risoluzione di ogni finalismo, di ogni negatività, questo splendore opaco della banalità o della violenza».
A questo punto per il filosofo la fantascienza è dappertutto nel nostro mondo, è il nostro mondo stesso ad essere diventato il modello di simulazione, una simulazione, non perché sia vero o falso, ma perché è divenuto iperreale, più vero del vero. E delle tre dimensioni con cui è iniziato questo discorso solo la terza è quella che interessa a noi, conclude Baudrillard.
Tutta questa argomentazione di uno dei più grandi pensatori degli ultimi decenni è importante, dal mio punto di vista, quello che cerco di portare avanti dall’avvio di questo blog, anche se ultimamente un po’ di meno. E cioè che il nostro immaginario è formato da alcuni elementi che ormai sono dentro la nostra vita, e per questo motivo l’immaginario è tanto importante, perché è la nostra vita, che assume forme via via diverse.
L’unico appunto che faccio a Baudrillard riguarda il fatto che in coincidenza del terzo ordine di simulacri, quello della simulazione nell’informazione e nella cibernetica, non ci sarebbe più un immaginario fantascientifico. Secondo me invece si tratta solo di un immaginario di natura diversa: è la natura stessa dell’immaginario dell’informazione a far sì che la nostra vita reale diventi intessuta di immaginario. E qui sta la forza del genere cyberpunk, di cui ho già avuto modo di parlare abbondantemente (cb1 e cb2)
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