Ieri sera (quanno ce vo’ ce vo’) devo dire di aver passato una gran bella serata rilassante a mangiare e bere con altri blogger, a casa di una cara amica (e sono giusto due anni che l’ho conosciuta). Quanno ce vo’ ce vo’, bisogna dire anche che, come spesso accade in questi incontri fra blogger, si finisce sempre a parlare di blog in un modo o nell’altro. Di blogger ormai qualcuno ne ho incontrato e mi spiace aver perso qualche contatto, ma non sono l’unico ad avere periodi di distacco dal mondo dei blog e sono ormai arrivato alla conclusione che la mia dimensione blogghereccia è questa qua, scrivere quando mi va, per me e basta, senza dover avere più l’assillo delle visite, dei commenti, delle risposte ai commenti e delle visite di cortesia a chi è passato da te, in un circolo vizioso che non finisce mai.
Credo che sia molto comune avere picchi di crescita, a livello di impegno, di tempo, anche di stress, e poi veloci discese in dimensioni più ristrette e forse più consone alla propria indole. Ognuno naturalmente vive questo aspetto della sua presenza nel web in modo diverso: ci sono gli esibizionisti, i pallonari, gli intimisti, quelli seri, quelli stupidi; tutto va bene nella blogosfera, c’è spazio per tutti. A patto, e questo lo penso io, che non ci si prenda troppo sul serio, e questo l’ho detto anche ieri sera, perché in fondo nessuno qua è un vero scrittore, nessuno farà mai fumare il cervello al punto da raggiungere le più alte vette di pensiero dell’umanità.
In fondo noi blogger siamo tutti cazzari, scriviamo, credo, sempre per un po’ di narcisismo, ma ne basta un pizzico: ci si può ammalare, di blog, farlo diventare un’ossessione e allora non è più quello strumento di libertà in cui esercitarsi liberamente per parlare di politica, di sport, di spettacolo, di libri, della propria vita, o di quello che cacchio vi pare, ma un vincolo a sua volta perché, e l’ho provato pure io a suo tempo, si arriva a scrivere per un “pubblico”, per far incazzare qualcuno e scatenare qualche polemica, per far divertire qualcun altro, e così via.
Ripeto, e nessuno si offenda perché lo dico con ironia, siamo tutti cazzari. Al di là dei mille motivi per i quali chiunque può aprire un blog, il valore di queste centinaia di migliaia di pagine, miliardi di parole, rimane nel blog stesso, il vero valore è quello che vi attribuisce il suo autore.
Diversi sono i rapporti diretti che si creano fra blogger, sia quando rimangono relegati alla distanza e alla mediazione del mezzo tecnologico sia quando si concretizzano in rapporti reali: questi è giusto e sano coltivarli, perché ci si sceglie sempre bene, si spera, le persone che si vuole intorno, quelli che possano dare qualcosa intellettualmente ed emotivamente. Poi fra adulti si cerca gente stimolante, da cui imparare qualcosa o con cui discutere, litigare, conversare, eventualmente innamorarsi, lasciarsi o che altro.
Tutto sempre senza esagerare nella considerazione del proprio blog, che è comunque solo uno di svariati milioni di altri nel mondo. Se poi quello che si è scritto si espande a macchia d’olio, diventa qualcosa di più che quattro cazzate scritte in un momento di tristezza, o di gioia, o per parlare del vostro libro o film preferito, allora ben venga: il potere di questi spazi di espressione sta proprio nella magia del diffondere in modo virale un pensiero o notizia; se fra un milione di post ne esce uno utile a qualcuno, allora questi miliardi di parole sono importanti.
Faccio un esempio pratico, vedere che Google manda qualcuno sul mio blog per cercare una recensione di Bruce Sterling (è capitato giusto stanotte), o di Dick (purtroppo ho sempre scritto meno di quanto avrei voluto su Dick), o di “Straniero in terra straniera” di Heinlein, o ancora di un libro di Lansdale o di Don DeLillo, e diversi altri che ho recensito, forse ha ancora senso tenere aperto Immaginaria. E chi se ne frega dei commenti e delle visite, fregatevene del numero dei commenti e delle visite.