Moebius

Moebius

sabato 24 dicembre 2005

Auguri di Buon Natale a tutti!


Auguri un po' poveri e veloci, scusate se non passo a salutare uno per uno, ma vado di fretta, che fra poco parto che vado in Abruzzo per le feste.


Vi lascio solo detto che sul Corriere della Fantascienza trovate un'altra mia recensione: dopo "La colazione dei campioni", di Kurt Vonnegut, "L'androide Abramo Lincoln" di PKD (stavolta è nella stessa versione presentata sul blog qualche giorno fa).


Un'altra comunicazione di servizio: mi è stato regalato il cofanetto di Ritorno al futuro (ricchissimo di contenuti speciali, accipicchia).


Ciao a tutti! Ancora buon Natale

giovedì 22 dicembre 2005

"La realtà! Avere a che fare con lei è uno scherzo. E' quando non siamo più noi stessi, nel sogno, che tutte le perversioni riaffiorano per assistere allo spettacolo del nostro terrore interiore."

Claudio Bimbi - Confessioni di uno scrittore impazzito e del suo dottore

mercoledì 21 dicembre 2005

Seven Sevens

Ily Noire mi ha girato questo test. Nella totale mancanza di ispirazione a scrivere cose intelligenti lo giro ad altri sette sventurati. Non odiatemi

Sette cose che spero di fare prima di morire:



  1. Il giro del mondo

  2. Andare a vivere da solo (sembra facile ma non lo è...)

  3. Vedere un altro scudetto della Roma (eh...)

  4. Scrivere un libro

  5. Fare il giornalista (ormai il cassetto lo posso pure chiudere a chiave)

  6. Un gran fondo di ciclismo (dovrei riprendere la bici prima, ma questo lo faccio sicuro, almeno prima di morire)

  7. Vedere una macchina volante: da piccolo ero convinto che le avrei viste. Ci spero ancora



Sette cose che non so fare:



  1. Nuotare

  2. Guidare

  3. Disegnare

  4. Volare

  5. Camminare sull'acqua

  6. Schioccare le dita

  7. Restare in equilibrio su un pallone



Sette cose che mi piacciono del/della mio/a ragazzo/a (o del/della tuo/a migliore amico/a):


premessa, avessi la ragazza non starei qua a fare ste cazzate! Quindi, mi astengo per protesta


Sette cose che dico spesso:



  1. Ciao

  2. Cazzo

  3. Dick

  4. Relativamente

  5. Fico

  6. che palle

  7. Che c'è per cena?


Sette libri che amo: 



  1. Ubik, di PKD

  2. Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, sempre PKD

  3. Dance Dance Dance, di Haruki Murakami

  4. Underworld, di Don De Lillo

  5. Neuromante, di William Gibson

  6. Q, di Luther Blisset

  7. Il signore degli anelli, di J. R. R. Tolkien (letto all'età di 12 anni, niente mode)


Vabbè sempre la stessa roba, insomma


Sette film che amo e che rivedrei in continuazione:



  1. Pulp Fiction (e per Tarantino mi limito a questo, ma li prenderei tutti in blocco)

  2. The Blues Brothers

  3. 1997 Fuga da New York

  4. Star Wars (la trilogia originale tutta di un fiato)

  5. Blade Runner

  6. eXistenZ

  7. Alien


Però, cavolo, Apocalypse Now, tutto Kubrick, un sacco di film di Woody Allen...  Come per i libri, proprio non riesco a fare classifiche del genere.


Sette persone a cui passerei il testimone di questo Seven Sevens:
1. Smokecity
2. Crazybabygirl
3. Kusanagi
4. Codega
5. Zoestyle
6. Sidgi
7. Nikkio

martedì 20 dicembre 2005

Auguri ad una nuova dottoressa... e qualche parola per un'altra amica

Qualche giorno di assenza. Non vi preoccupate, non è successo niente di interessante da stravolgere la mia esistenza. Di cose di cui parlare naturalmente ce ne sarebbero tante, con tutto quello che si legge sui giornali (Fazio farà la fine che merita?) o con quello che leggo io.

Però a volte piuttosto che parlarne via blog è meglio davanti ad un bicchiere di vino (con qualcuno di voi ho già avuto il piacere: prima o poi dovrò ricambiare la visita!), e lasciar fluire fuori da ogni orifizio i pensieri. Orifizio? Lo lascio, ad ognuno la libera interpretazione.
Come ieri sera per esempio, in cui in una cena piacevole abbiamo festeggiato un'amica che si è lauretata (auguri, Dottoressa con lode!), l'ultimo highlander che ancora mi teneva incollato alla facoltà (era parecchio che non ci andavo e ha fatto un effetto strano). Ora che non ne è rimasto nessuno che si deve laureare (cazzo che amici secchioni: quasi tutti prima di me, tranne alcune meritevoli eccezioni, e un sacco di lodi), chi proseguirà la stirpe?

Pensandoci bene, il gruppetto che abbiamo formato all'Università è uno di quelli che credo abbia tirato il meglio dalla mia facoltà: intanto tutti o quasi con punteggi alti al test di ammissione, quando c'era il numero chiuso (non vi dico come sono arrivato io su migliaia di persone), poi, come detto, i risultati si sono fatti vedere, e non solo per il mero calcolo matematico di voti. Devo dire che ho avuto culo, chissà chi avrei potuto incontrare (poi se non avessi incontrato l'amico di avventure Wiseman, che forse avete visto nella foto con Darth Vader, con chi avrei parlato di cazzate tutti questi anni? Oltre a Massi, ovvio, a cui con ritardo di 5 mesi abbiamo regalato per la laurea lo stupendo cofanetto di Ritorno al futuro: lo voglio anch'io! Ma io per la mia laurea ho avuto in dono dalla forza qualcosa di più grande.

Parliamo d'altro. Oggi è 20 dicembre. Embé?, direte voi. Embé niente, rispondo io, affari miei. L'anno scorso ho incontrato un'amica davvero importante, che sono contento di aver conosciuto per i più svariati motivi, per la prima volta. C'era un convegno alla mia facoltà in cui interveniva anche un suo amico, e allora abbiamo approfittato per fare questo incontro blogghereccio. Poi, mi ha fatto vedere il suo ufficio e dove lavora, e mi ha un po' spiegato come funzionava. Tralascio che ora sto lì anche io: è inutile dire grazie a chi, no? Certo, se avessi saputo che cosa c'era oltre la porta che non avevo mai varcato nelle mie visite regolari da quelle parti, forse...
No, no, sono contento: non pensare male! Poi, vedete? al di là del lavoro, è stata un'amicizia in cui anche poche parole e pochi incontri sono stati importanti per cementare un bel rapporto nato qui. Alcune parole molto importanti in un momento di sconforto non le dimenticherò mai, così come le congratulazioni per la laurea (peccato che non c'eri, mi avrebbe fatto piacere) che so essere state davvero sincere e sentite. La cosa bella, è che quando vado al lavoro tutti i giorni la prima persona che vedo è sempre la mia amica, ed è il modo migliore per iniziare la giornata lavorativa, perché mi tirano su il morale un sorriso e un cenno affettuoso, tanto da riuscire a digerire pure "la vita in diretta" e quasi quasi pure "tutte le mattine". E' un peccato che spesso non c'è tempo per parlare un po', perché è sempre bello sentire che hai da raccontare, amica mia.

Mi ritengo fortunato, perché in questo caos in cui quotidianamente siamo sballottati ho trovato qualcuno in grado di darmi un mano a mettere un po' d'ordine, a cercare e trovare un minimo di stabilità per mantenermi in piedi al di là delle mie fissazioni, delle mie frustrazioni, delle mie malinconie, a cominciare dal lavoro, e ad avere un po' più di fiducia. Quante volte vi capita di cercare il modo per dire a una persona che le volete bene e che è ormai importante per voi? Ormai non scappi più, saremo amici fino a chissà quando, eh? Non voglio scherzi.


Ora non dirmi più che non ho scritto niente per te, eh?

venerdì 16 dicembre 2005

Le lettere di Dick

In questi giorni ci sarebbero tante cose di cui parlare, ma per ora mi tengo lontano da argomenti "politici". Vi segnalo, quindi, questa interessante notizia letta sul Corriere della Fantascienza: in Inghilterra sta uscendo l'ultimo volume di una serie dedicata all'epistolario di Philip K. Dick. The selected letters of Philip K. Dick 1980-82 raccoglie gli scritti dell'ultimo periodo di vita dello scrittore, essendo morto nel 1982, in cui Dick era ossessionato dall'esperienza mistica che diceva di aver avuto nel 1974, quando vide Dio nella forma di un raggio rosa (esperienza raccontata poi nella Trilogia di Valis, che ammetto di aver letto in un momento in cui non ero in grado di comprenderla, e infatti mi lasciò un'impressione di assoluto straniamento: fortuna che sono andato avanti a leggere Dick, sennò di che vi parlavo?), esperienza che emerge dalle lettere. Naturalmente, per chi fosse interessato alla produzione non-fiction di Dick, prima che le lettere arrivino in Italia, ci sono le raccolte di saggi e scritti filosofici pubblicate da Feltrinelli.


mercoledì 14 dicembre 2005

Stamattina, nonostante questo periodo io non giri per blog, sono capitato per puro caso, attraverso una pagina su cui ero passato altrettanto per caso, sul nuovo blog di una persona a cui ho voluto bene. Altro indirizzo, altra piattaforma. Mi ha fatto un effetto strano: è un po' come rivedere, dopo tanto tempo, una persona che è stata molto importante e ha rappresentato tanto, ma di sfuggita, oppure rimanendo nell'ombra, senza che lei se ne accorga, e vedere che è sempre lei, anche se molto più matura e se per alcune cose la sua vita procede diversamente altre passioni e interessi sono sempre uguali.


Strano misto di nostalgia, di domande, di vecchi rancori e dissapori, di curiosità di fare due chiacchere che so che vorrei fare solo io, e forse nemmeno io so se vorrei farle. Mi sento malinconico.

lunedì 12 dicembre 2005

Resuscitare Abramo Lincoln

Leggendo la enorme produzione di Philip K. Dick si può rimanere ancora stupiti di come lo scrittore americano si riveli sempre una fonte di spunti di riflessioni, oltre che di sorprese narrative, ad ogni nuovo libro che si legge, come ne L’androide Abramo Lincoln, ripubblicato da Fanucci nella Collezione Dick.
Questo libro, parente stretto dei successivi capolavori Ma gli androidi sognano pecore elettriche? e I simulacri, ha avuto un percorso travagliato essendo stato scritto nel 1961, pubblicato in rivista come A. Lincoln Simulacra solo nel 1969, ed infine in volume nel 1972, col titolo definitivo di We Can Build You. Il romanzo quindi è stato scritto all’inizio del periodo più prolifico di Dick ed è naturale notare una sorta di continuità con molti altri libri successivi, trattando, oltre a quelli legati agli androidi, i temi delle psicopatologie come vere e proprie malattie sociali, simbolo di un più vasto disagio diffuso in larghi strati della società; l’impotenza dell’individuo di fronte alla complessità del mondo tecnologico che sta nascendo; la riscrittura e la rilettura della storia alla luce di diversi valori etici, e attraverso e le azioni e la psicologia di figure come Lincoln o Edwin M. Stanton, il suo ministro della guerra; la dark-haired girl, sorta di archetipo femminile da cui Dick e i suoi personaggi sono attratti irresistibilmente e respinti allo stesso tempo; la ricerca continua, attraverso le mediocrità dei protagonisti ed i loro limiti, di una via di uscita da una realtà in continua evoluzione, seducente ma foriera di paure più grandi della comprensione che gli individui ne possono avere.

Come ha scritto Carlo Pagetti nell’introduzione a questa nuova edizione, L’androide Abramo Lincoln risulta un romanzo ibrido, in quanto è sia romanzo fantascientifico (creando un contesto fantascientifico) che un romanzo realistico, raccontando il percorso del protagonista, Louis Rosen, verso la schizofrenia e lo scollamento dalla realtà, dietro l’impulso che lo fa innamorare della giovane Pris, la figlia del suo socio Maury Rock, e che ha disegnato ed ideato i due simulacri di Stanton e di Lincoln. Pris stessa (sorta di madre dei due androidi) può essere considerata il centro del romanzo, il personaggio intorno al quale girano gli altri, esercitando un potere attrattivo direttamente proporzionale alla sua instabilità (la ragazza è uscita da poco da una clinica psichiatrica), durezza, cattiveria e determinazione nel perseguire i suoi scopi. Scopi, che si traducono nel voler incontrare a tutti i costi il miliardario Sam Barrows, che tenterà di entrare nell’affare dei simulacri, e che usando Pris ne sarà egli stesso vittima, sfuggendo la ragazza ad ogni schema, in virtù delle sue psicosi.
Louis innamorandosi di Pris svilupperà e moltiplicherà le sue ossessioni, identificandosi sempre di più con Abramo Lincoln e con i suoi problemi e la sua vita, creando sempre più un rapporto col simulacro che più che di amicizia sarà di dipendenza, aggrappandosigli per trovare la determinazione di strappare Pris a Barrows, con l’unico risultato di sfociare nella pazzia e tentare di fuggire dalla realtà, forse per essere più vicino alla ragazza che lo ha ingannato e deriso.
I due simulacri in tutto questo fanno da mediatori, non vogliono farsi vendere e quindi diventare prodotti commerciali, discutono di politica e di filosofia, ambiscono a posizioni di potere, come Stanton, o si tuffano nel piacere della lettura di libri per bambini, come Lincoln, incantato da Peter Pan e da Winnie the Pooh, e sempre pronto a lasciarsi andare ad un velo di tristezza e di depressione. Sono uomini d’altri tempi, di sani principi e valori ma del tutto inadeguati a quel 1982 in cui Dick li fa resuscitare, ed in cui si immagina, per scopi commerciali, che si possa rimettere in discussione il risultato della guerra di secessione facendola combattere di nuovo da eserciti di simulacri.

domenica 11 dicembre 2005

Soldi spesi

Buongiorno e buona domenica! Come state? E' successo qualcosa di interessante?
A me niente di nuovo. Intanto vi segnalo questa mia recensione pubblicata sul Corriere della Fantascienza (l'indirizzo è quello giusto...).

Poi, ieri appena uscito dal lavoro sono andato direttamente a Romics, come ogni anno, a vedere che aria tira, a vedere un po' di gente mascherata (cosplayer dicono gli esperti), ho fatto una foto con Darth Vader (quando Wiseman me la invia ve la faccio vedere), ho girato fra gli stand a vedere un po' di fumetti (molti giri veloci, visto che quest'anno la fiera del fumetto è diventata ancora più piccola). Mi sarebbe piaciuto trovare qualcosa di Sin City o di Sandman ma non ho visto niente: un albo di Sandman imbustato che costava pure parecchio. Ho comunque comprato qualcosina: un paio di albi di Rat-man (mi innamoro delle copertine), uno di Ken Parker, e Ghost in the shell, consigliatomi caldamente (visto che non sono affatto esperto di manga) e che leggerò presto (e se mi piace comprerò pure il 2, allora). Ah, e poi il dvd di Kill Bill vol. 2 a prezzo onesto. Forse gli ho lasciato troppi soldi, chissà...


Tutto Rat-Man 5Tutto Rat-Man 14


 


Copertina del volume


 


 


 


 


 


 


In attesa di aggiornamenti più proficui, ancora buona domenica a tutti.

giovedì 8 dicembre 2005

Italiani in guerra

Oggi su Rai News 24 hanno trasmesso un altro filmato interessante, non forte e sensazionale come il reportage sulle bombe al fosforo di Falluja ma comunque importante, secondo me.


Il reportage, intitolato "Nassiriya, agosto 2004: un giorno di guerra" mostra la terza battaglia del ponte, combattuta dai soldati italiani in Iraq. Il documente in sé non mostra niente di clamoroso: ci sono dei nemici che vogliono conquistare il ponte in questione ed i soldati italiani che lo difendono. Ok, che c'è di strano in quello che si vede? Niente, è naturale: sono soldati addestrati per quello, per sparare, per colpire il nemico ed eventualmente "annichilirlo" come dice uno dei soldati che si sentono nel filmato. Quello che colpisce è che è evidente e sotto gli occhi di tutti che allora abbiamo partecipato ad una guerra, se qualcuno aveva dei dubbi; e fa impressione sentire i nostri soldati gioire per aver ammazzato qualcuno come se fosse normale. Certo che è normale, sono militari e sono in guerra. Anche se hanno cercato di convincerci che noi in guerra non ci siamo stati.


Chi fosse interessato trova il filmato qui, sul sito di Rai News 24.

mercoledì 7 dicembre 2005

Consigli per gli acquisti

Da quando ha aperto la Feltrinelli vicino casa mia è diventato un incubo, sto sempre lì dentro, più di quanto non facessi magari facendo un salto andando al lavoro.

E in pochi giorni ho già provveduto a fare diversi acquisti, Asce di guerra, di cui vi ho detto giorni fa, e saggi per un mio personale percorso autodidattico. Ieri poi ho comprato altri due romanzi, che mi sento di consigliare nel caso non sappiate che libri regalare a Natale, o vogliate regalare qualcosa di diverso dai soliti libri.

Intanto Memorie di un nano gnostico, di David Madsen (Meridiano Zero), consigliato caldamente a tutto il Web da Sidgi; consiglio, che ho seguito volentieri perché mi è venuta voglia di leggere le avventura del nano Peppe.
Un altro, che non era previsto, l'ho preso perché mi ha ispirato di primo acchitto, e l'ho visto un po' per caso; mi ha attratto perché libro di fantascienza di un giovane scrittore italiano, e mi sono sentito di dargli fiducia. Si tratta di Confessioni di uno scrittore impazzito e del suo dottore, di Claudio Bimbi, pubblicato da Edizioni Clandestine (visto che domani a Roma inizia la fiera della media e piccola editoria, oltre a Romics, sponsorizzo due libri pubblicati da editori indipendenti).

Ok finiti i consigli per gli acquisti: quando li leggerò vi dirò maggiormente in dettaglio. Nonostante abbia una pila alta così (immaginate "così") di libri da leggere questi, visto che mi incuriosiscono particolarmente li leggerò presto.


Ah, altri due consigli per gli acquisti, trattasi di fumetti, che ancora non ho acquistato: il volume uscito per il decennale di Sandman, Il cacciatore di sogni, e la nuova edizione di V for Vendetta, di Alan Moore e David Lloyd.

martedì 6 dicembre 2005

Quanto sei bella Roma...

Alzarsi la mattina e fare colazione davanti alla tv a volte porta qualcosa di buono. Per esempio stamattina ho visto davvero con piacere "La storia siamo noi", con un bellissimo documentario sulla mia città, sui progetti in atto per riqualificare interi quartieri e per creare o ricreare nuovi spazi urbani in cui costruire (e che si costruiscono in funzione di) un nuovo tessuto sociale e culturale della città.

La città eterna insomma sta cambiando e cambierà, sia in centro, che non è più intoccabile, che nelle periferie e nelle zone intermedie. Dell'Auditorium - Parco della musica progettato da Renzo Piano si è parlato tanto e più o meno è l'opera più nota fra quelle nate in questi anni o che stanno per sorgere. Interi quartieri stanno per essere ristrutturati e riqualificati grazie a progetti di architettura contemporanea che uniscono e l'estetica (ma sul gusto si può discutere, e a me non pare il caso) e la funzionalità di nuove strutture che sono destinate a non essere cattedrali nel deserto. Nel quartiere Ostiense già da qualche anno è ricominciata la riqualificazione, con gli edifici dell'Università di Roma Tre, veri e propri esempi di grande architettura, e con il progetto di un architetto olandese per la costruzione della granze mediateca e area culturale e di divertimento nel sito dei vecchi Mercati Generali; così come all'ex Mattatoio di Testaccio nascerà la città degli artisti; così come nascerà la città della scienza fra le due sponde del Tevere con un nuovo ponte pedonale, riqualificando quegli ex complessi industriali dietro casa mia dove già è sito il Teatro India.

In centro già da anni si stanno portando avanti lavori e progetti, come il nuovo MACRO, il museo di arte contemporanea che è già in costruzione, o la nuova sistemazione della Galleria nazionale di arte moderna a Villa Borghese (dove sono nati anche il Globe Theatre e la Casa del Cinema); nuovi edifici che si inseriscono nel tessuto storico del centro, in cui nei secoli si sono stratificate architetture di ogni genere; verranno fatti lavori ed interventi nei quartieri dell'EUR, Flaminio, Tiburtino con la nuova stazione Tiburtina, e tante altre cose che ora mi sfuggono, anche nella viabilità (è in discussione la riqualificazione della zona dei Fori, sventrati dal fascismo con via dei Fori Imperiali, che ne è mangiata una parte e che pare, verrà eliminata e sostituita da una strada più piccola pedonale e per i mezzi pubblici ma questo è davvero ancora lontano).

Al di là dei singoli progetti mi piace vedere Roma trasformarsi, finalmente in meglio, dopo che per decenni è rimasta immobile, e laddove si è mossa lo ha fatto creando periferie-casermone, luoghi automaticamente trasformati in ghetti (e sono previsti lavori anche in questi quartieri, per esempio con la costruzione di tre nuove scuole, in quartieri dove non ce ne era nemmeno una). Si sta tentando di trasformare l'immaginario di una città vissuta sui fasti del passato ma in cui la contemporaneità ha portato più guasti che novità. L'esempio dell'Auditorium è significativo: non solo è un luogo dove si tengono concerti ma è diventato un punto attrattivo di cultura e socialità che da valore ad un intero quartiere.

Lavorare sulle architetture di una città significa lavorare anche sull'immaginario di chi la vive e renderla più a misura d'uomo, cercando di incidere positivamente su chi vive quotidianamente un quartiere, operando laddove è possibile; significa anche far evolvere una città secondo un immaginario tutto nuovo, contemporaneo e proiettato in avanti; ed è anche, secondo me, un modo per vivere meglio anche la storicità di una città come Roma, per valorizzare l'antico accanto al moderno. E passo dopo passo migliorare anche chi abita la città, rendendo le periferie più inclusive e non più dei corpi estranei al resto della città. Includendo così anche larghe fasce sociali.

Banalmente credo che questo sia un metro di giudizio importante per valutare il modo in cui si è governata una città, oltre a tutti gli altri problemi pratici di ogni giorno, ma che derivano anche da un assetto urbanistico insufficiente alle attuali esigenze; per esempio il traffico: Roma è cresciuta negli ultimi 50-60 anni in modo del tutto disorganico ed è naturale che le arterie di comunicazione non siano sufficienti; non si può fare a meno che pensare a lungo termine partendo dalla base, che è la trasformazione della città trasformando e creando nuovi luoghi (per esempio dovrebbe essere avviato il progetto per mandare sottoterra il pezzo di lungotevere davanti all'Ara Pacis, ottenendo uno snellimento del traffico ed una riscoperta dell'area superficiale ora abbrutita dalle auto: questa per ora, come quella dei Fori imperiali è ancora fanta-architettura).

Il discorso è lungo e mi fermo qui, spero di essere riuscito a convincere qualcuno (soprattutto a Roma) sulla bontà di questi progetti come mi sono lasciato convincere io.

lunedì 5 dicembre 2005

Le storie sono asce di guerra da disseppellire

Interrompo la pausa nel modo a me più congeniale, accennando qualcosa sul libro che sto leggendo, Asce di guerra, di Wu Ming e Vitaliano Ravagli. Ci sarebbe anche una recensione su L'androide Abramo Lincoln di Dick ancora da scrivere, e lo farò perché è un bel libro.

Però vista questa mia pigrizia mentale e dattilografica (soprattutto mentale e intellettuale: ma forse è sbagliato perché riguarda il blog, perché per altri versanti sono preso da raptus di stimoli intellettuali autodidattici che si traducono nella voglia di tuffarsi su alcuni argomenti, fra sociologia e filosofia, ma ne parlerò ancora, forse per sfuggire alla pigrizia emotiva), per ora butto giù qualche riga su questo libro del consorzio narrativo e di Vitaliano Ravagli, anche se ancora devo arrivare a metà.

I componenti di Wu Ming sono arrivati a conoscere Ravagli, come scrivono loro stessi, su indicazione di Carlo Lucarelli mentre cercavano materiali e storie da inserire in 54, libro bellissimo di cui vi parlai già a suo tempo. Vitaliano Ravagli era un ragazzino ai tempi della guerra partigiana, quindi troppo giovane per combattere; comunista, partì ed andò a combattere in Laos contro i francesi al fianco dei comunisti locali e del Vietminh. Una vita a dir poco avventurosa a cui Wu Ming ha deciso di dare respiro autonomo perché troppo intensa e forte per essere solo una sotto-trama di 54.

Asce di guerra (ripubblicato da poco in una nuova edizione) è, per ammissione degli autori, un terzo autobiografia, un terzo fiction e un terzo saggio. E da questo ibrido nasce un libro avvincente che ti riempie la testa di tante cose, che ti spinge a riflettere, che ti fa venire voglia di conoscere e saperne ancora di più. Perché questo libro parla delle guerre di Indocina, ricostruendone, brevemente ma efficaciemente, la storia e le ragioni politiche e culturali; ti racconta tante cose della storia italiana, dell'amnistia di Togliatti che ha lasciato in giro fascisti della prima ora, mentre chi aveva combattuto contro di loro magari veniva perseguito ed era costretto a scappare e rifugiarsi all'estero; una storia, questa, che riguarda i comunisti ed il PCI, ma non solo, con lo scelbismo ed il clericalismo degli anni 50, tenendo conto anche di quel clima di revisionismo storico che negli ultimi anni sta prendendo sempre più piede.

Quindi, la storia di Ravagli, la Storia e le storie raccontate dai Wu Ming si fondono in modo forse ogni tanto schizofrenico ma il risultato è di alcune pagine eccezionali, in cui si smitizza molta storia patria e si cerca di capire le ragioni dietro certi avvenimenti, e tante cose anche dell'Italia di oggi, se è vero, come si dice nel libro, che questo è un paese che è rimasto fascista nell'anima, perché quando fu giusto non si fecero i conti col passato nel modo che avrebbe chiuso per sempre quella pagina (e di fronte al clericalismo di oggi sembra difficile non pensarci e dare ragione agli autori).
Il tutto con sullo sfondo sempre l'orientamento principale dei romanzi firmati Wu Ming: i fili della Storia che si intrecciano sempre con le storie individuali, quelle di fantasia come quelle vere, che sembrano molto più fantasiose, ancorché facciano parte di un rimosso storico (quanti hanno mai sentito parlare di italiani che partivano per l'Indocina per combattere?). E quelle che emergono sono sempre le radici più profonde di quello che è accaduto negli ultimi 50 anni, delle guerre calde e fredde, fino a quelle di oggi: questi fili fanno tutti parte di una stessa matassa, che può essere sbrogliata solo scegliendo un lato da cui guardarla. Magari di parte, ma almeno sai quale parte.

mercoledì 23 novembre 2005

Realtà e mondi speciali

"I lettori dicono che dipingo sempre lo stesso mondo, un mondo riconoscibile. Dov'è questo mondo? Nella mia testa? E' quello che vedo nella mia vita e che inconsapevolmente trasferisco nei romanzi e nei lettori? Almeno sono coerente, dal momento che è tutto un solo romanzo. Ho il mio mondo speciale".


"Mi sembra di vivere sempre più nei miei romanzi. Non riesco a immaginarmi il perché. Sto perdendo il contatto con la realtà? O la realtà sta effettivamente scivolando verso un tipo di atmosfera dickiana?"


Philip K. Dick - Exegesis (nota: dall'introduzione di Carlo Pagetti a L'androide Abramo Lincoln)

E se mi laureassi in...

Che voglia di tornare all'università, di prendermi un'altra laurea! Mi laureo in fantascienza! Spulciando il Corriere della fantascienza ho trovato questo articolo (di un anno fa) in cui si descrive il primo corso al mondo sulla science fiction.
Il corso è nato per iniziativa di Mark Brake, docente di Scienze della Comunicazione al Centro per l'Astronomia e l'Educazione scientifica dell'università di Glamorgan, in Gran Bretagna. La fantascienza e la cultura fantascientifica veicolata dalla letteratura e dal cinema vengono presi come mezzi per studiare discipline come l'astronomia, la storia della scienza, la biologia, costituendo un link fra ciò che in campo scientifico va studiato e ciò che può essere studiato per piacere.

Aggiungeteci un po' di sociologia e di discipline comunicative e lo apro io un corso così in Italia!

martedì 22 novembre 2005

Che Italia che fa

Leggendo i giornali (o vedendo i Tg) si apprendono alcune notizie. Ecco una veloce rassegna stampa su quello che accade in Italia.

CRONACA. Cominciamo dallo psico-dramma che proprio non vedevo l'ora di seguire, che mi interessa al punto che sto per partire anche io per Torino. Annamaria Franzoni ha pianto davanti al video che ricostruisce, per la difesa, come potrebbero essere andate le cose nella villetta di Cogne (che fra un po' verrà inserita in qualche pacchetto turistico, tutto compreso: processo, incontro con la Franzoni, viaggio a Cogne). L'accusa chiede una nuova perizia psichiatrica.
Io la perizia psichiatrica la chiederei a chi fa la fila davanti al tribunale per assistere al processo e ai giornalisti e ai direttori di TG che dopo una settimana ancora mandano servizi sulla gente che fa la fila.

POLITICA-SALUTE. Aumenta la polemica sulla sperimentazione della pillola RU486 (già in uso e ampiamente sperimentata negli altri paesi) per l'aborto farmacologico invece che chirurgico. Dopo il referendum di giugno sulla legge sulla procreazione assistita, si sente di nuovo parlare di legge 194, il nuovo obiettivo dei teo-con: i cattolici ne richiedono l'applicazione articolo per articolo, in modo da rendere le procedure per l'aborto quanto più farraginose possibile. Oltre che l'ingresso nei consultori di militanti cattolici anti-abortisti per l'assistenza alle donne che per motivi tragici si trovano a compiere la scelta di abortire. Chissà, magari se si torna agli aborti clandestini le loro coscienze staranno meglio.
Ho visto militanti di Comunione e Liberazione lungo i bastioni di Orione... Cardinali Ruini imporre la propria morale all'intera galassia ma senza entrare nelle questioni politiche interne di Venere, perché rispettano la separazione fra Pianeta e Chiesa...

TV-INFORMAZIONE-PLURALISMO POLITICO. Questi dati, pubblicati da Repubblica e Liberazione, mostrano come la Chiesa e il Vaticano siano stati presenti nei tg fra gennaio e maggio 63 ore e mezza, mentre i metalmeccanici per 12 minuti (il rapporto è di 317 a 1). Ieri, guarda caso, il TG5 ha mandato un servizio su un metalmeccanico e la sua famiglia: come fate ad arrivare alla fine del mese? Grandi inchieste

CINEMA. Il film più visto del week-end è Melissa P. Il cinema batte quello delle major. Basta, io non commento oltre, non me la sento... Solo, non ho letto il libro, credo che non lo farò, e figurarsi il film. Magari ho sbagliato io.

COMICITA'. "La nostra non è ancora una democrazia compiuta. Il nostro non è ancora un Paese pienamente liberale. Ci sono partiti che sventolano vessilli su c'è il simbolo del terrorismo e della tirannia: la falce e il martello".
E io che pensavo che se c'era un problema democratico e di libertà in questo paese era per via del fatto che le tv, il più grande editore italiano, alcuni giornali, sono di proprietà di una persona sola, che guarda caso è Presidente del Consiglio; perché c'è chi fa in modo di alterare i processi in corso che li riguardano; perché si vuole limitare la libertà di scelta e di coscienza su materie etiche; perché si cerca in tutti i modi di imporre la visione della Chiesa; perché la Costituzione italiana dice delle cose, e se ne fanno altre; perché si cambiano le leggi elettorali in modo da provare a ribaltare i risultati elettorali...

lunedì 21 novembre 2005

Di bandiere, di mutande, di buchi di culo, ma anche altro

Accade che uno scrittore arrivi a 50 anni e decida di fare i conti con i propri personaggi e le proprie storie. Quindi, decida di liberare la sua testa da tutto quello che la cultura vi ha messo dentro durante questi 50 anni. E allora tira fuori bandiere, mutande, buchi di culo (questo sotto è il disegno di un buco di culo).


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E così Vonnegut scrive La colazione dei campioni ovvero Addio, triste lunedì, una trentina e oltre d'anni fa. Un libro, questo, in cui Kurt Vonnegut racconta di come Kilgore Trout, senza dubbio il suo personaggio più noto, il suo alter-ego narrativo, parta per Midland City (questa città non esiste, non cercatela sull'atlante) perché invitato ad un festival delle arti per discutere della fine del romanzo americano nell'era di McLuhan; Trout, naturalmente, non sa chi sia McLuhan è deciso a presentarsi con l'aspetto più possibile da barbone per parlare di come vivono i barboni, eventualmente. Naturalmente questa cosa fa ridere se presa nel contesto del libro, e se sapete chi è McLuhan, lo avete letto o studiato, o almeno sentito nominare.

Kilgore Trout è uno scrittore di fantascienza, che pubblica i suoi libri senza neanche sapere lui dove, ma di solito finiscono pubblicati su qualche libro sulle tope spalancate. Trout, come detto, è un personaggio notissimo di Vonnegut, che scrive e pensa centinaia di romanzi e migliaia di racconti partendo dagli spunti più strani; a volte viene da pensare che certi libri è un peccato non siano stati scritti sul serio (nota: lo scrittore di fantascienza Philip J. Farmer scrisse Venere sulla conchiglia, uno dei titoli attribuiti a Trout dal suo creatore in non ricordo quale romanzo, con lo pseudonimo "Kilgore Trout", appunto, che fu un tale caso da far credere lo avesse pubblicato Vonnegut stesso).

Trout, con tutta la sua assurda visione della vita, del tutto caotica, ne La colazione dei campioni parte verso l'incontro con un altro uomo, Dwayne Hoover, che sta impazzendo ma non lo sa, e che impazzirà del tutto quando leggerà un romanzo di Trout in cui si racconta che tutti gli uomini sono macchine e che un solo uomo è vero.

Questa esile trama è solo una scusa, una scusa per far liberare Vonnegut di tutta la roba che il suo cervello ha accumulato in tanti anni (come dice lui nella premessa). E' una non-storia in realtà, ma un modo per costruire qualcosa che rimane più o meno indefinito fino quasi alla fine; e allora ecco una satira geniale ed esilarante, aiutata da altrettanto geniali illustrazioni, sulla società americana, sulle macchine bianche e quelle nere, sulla pubblicità, sulla società di massa, sul consumismo, sulla guerra e sulla politica americana (incredibilmente attuale ancora oggi, purtroppo), e sulla cultura, su quello che c'è scritto solitamente nei romanzi, su quello che si considera di solito cultura, su ciò a cui si attribuisce un significato enorme, e magari è solo frutto di strategie di marketing. Sulla verità e sulle verità preconfezionate, cercate a tutti i costi e vendute come un qualsiasi altro prodotto (la colazione dei campioni era e forse è ancora il nome di una marca di cereali).

Il fatto è che non sempre c'è una verità. Vonnegut scrive un romanzo in cui entra lui stesso, a raccontarcene l'assurdità, in cui si fa Creatore e personaggio, per smontare gli stessi meccanismi del racconto, della narrazione, per collegare insieme tante di quelle cose al punto di dire verso la fine "che mettessero gli altri ordine nel caos, io avrei messo caos nell'ordine". E' quindi, alla fine di tutto, un romanzo dei più liberi mai letti da me, e credo mai scritti, anche nel linguaggio, semplice e comunque mai volgare, che non contiene verità (alcuni filosofi potrebbero discutere sul fatto che il linguaggio stesso è verità)  ma che racconta la ricerca della verità, senza nessuna assolutezza, riconoscendo la libertà degli individui nella libertà dei personaggi, a cui il Creatore alla fine donerà libero arbitrio.

Infine, un libro da leggere perché la sgargiantissima copertina non può certo passare inosservata: è il valore aggiunto che giustifica il prezzo.


 


copertina


 


Nota: qui sono a disposizione le illustrazioni del libro, per chi fosse interessato. Chissà se la Feltrinelli si arrabierà per il disegno del buco di culo copiato sopra. Vabbè, sto facendo pubblicità al libro: se venderanno due copie in più sarà anche merito mio: dovrebbero pagarmi loro...

domenica 20 novembre 2005

La verità

« "Non capisco se dici sul serio o no", fece l'autista.
"Neppure io lo saprò finché non avrò scoperto se la vita è una cosa seria o no" rispose Trout. "E' pericolosa, lo so, può fare molto male, ma questo non significa necessariamente che sia anche seria".»

Kurt Vonnegut - La colazione dei campioni

sabato 19 novembre 2005

Se lavora

Alla fine, oggi ho fatto l'ultimo giorno di lavoro. Però mi hanno prolungato il contratto fino a tutto dicembre. Quindi eccomi qua, ancora "occupato", e poco conta se ancora non ho lo stipendio di ottobre, se il lavoro è poco più di un part-time e se la precarietà ormai va accettata come un dogma (sono un lavoratore flessibile, sicuro! Però un po' di rigidità non fa male).

A dire il vero non so come prendere il prolungamento del contratto, visto che la situazione in azienda è di crisi per varie storie che non posso accennare qua; per ora intanto mi tengo impegnato; so cosa fare durante le giornate; ho una scusa per non fare niente nelle ore che sto a casa. E spero sempre di prendere lo stipendio. Ecco, nella precarietà totale mi riservo di cominciare a cercare qualcosa di meglio (e soprattutto più sicuro), nonostante la bella compagnia di cui godo al lavoro. Per ora va bene, così, poi si vedrà.

Il resto? Il resto niente, ragazzi miei. Ci sarebbero cose di cui discutere, forse, ma ora non mi va. Fatemi pensare a Roma-Juve di stasera, che è meglio.

mercoledì 16 novembre 2005

Come sono i vostri vicini?

E' una domanda legittima questa sui vostri vicini. Osservateli bene, potrebbero nascondere i semi di una nuova vita di condominio, basata su una certa libertà di costumi, violenza, ritorno a una vita tribale.
Questo è quello che suggerisce James Ballard in Il condominio, sicuramente uno dei più importanti dello scrittore inglese, che si inserisce nella sua opera orientata a descrivere i cambiamenti antropologici e sociologici determinati dalla trasformazione dell'uomo in un animale metropolitano, dall'influenza della tecnologia, sempre più importante nelle nostre vite comode, dalle costrizioni sociali imposte dalle convenzioni, dai mass media, dalla vita di relazione e dalla società post-industriale (molto si può capire da queste citazioni).


copertina

Ballard, come spesso, ci racconta le vicende di una media e alta borghesia di professionisti che costituisce una sorta di elite della società; elite però in cui si sviluppano istinti distruttivi e devianti, in una sorta di ritorno alle origini.
Il condominio in questione è un grattacielo di 40 piani, con 2000 abitanti, alla periferia residenziale di Londra; i professionisti e gli esponenti dell'alta e media borghesia che abitano il palazzo formano una classe apparentemente omogenea. Apparentemente, perché la chiusura del palazzo, il suo essere una comunità autosufficiente, fa emergere tutte le differenze fra gli abitanti di un piano e l'altro. E così, una piccola ritorsione dopo l'altra, il grattacielo si trasforma in una giungla di lotte tribali ed individuali, per conquistare i piani migliori e quindi ascendere anche socialmente.

Ballard estremizza aspetti della vita di tutti i giorni fino a scavare dentro la psicologia umana, denro i meccanismi sociali che governano i comportamenti degli individui fino a delineare una trasformazione antropologica dell'uomo: alla crescita dell'umanità, sociale e tecnologica, corrisponde una sorta di regressione ad una guerra di tutti contro tutti, a comportamenti primitivi ed istintivi, in cui vige la legge del più forte e poi nessuna legge più; in cui la violenza, il sesso, il caos, sono gli elementi primordiali iscritti nel nostro DNA, tarpati dall'educazione e dalla cultura di millenni di evoluzione, ma sempre pronti ad uscire in ogni momento.

Il quadro fornito da Ballard è, come ho detto spesso per questo autore, iperreale: fantastico ma assolutamente credibile. Si può rabbrividire delle aberrazioni che Ballard descrive con la sua scrittura asciutta e razionale; ma ad un livello più profondo certi meccanismi appaiono chiari e lineari, ed è difficile non pensare che siamo bombe pronte ad esplodere. E poi pensi un altro po' e ti dici che l'uomo è una bomba che non ha mai smesso di esplodere. Forse il condominio potrebbe diventare una città... E allora pensi alle periferie francesi in rivolta. E pensi ai grandi casermoni delle periferie italiane, agli eco-mostri, alla gente che una casa non ce l'ha e a quelli che vorrebbero una terra per il proprio popolo; pensi a tutte le periferie del mondo pronte ad esplodere, e pensi alle bombe che fanno esplodere preventivamente queste periferie. Allora capisci che non siamo poi tanto lontani dall'esplosione della psiche umana e delle società.

lunedì 14 novembre 2005

Dietro un nome che cosa c'è?

Buongiorno e buona settimana a tutti. Ieri mi stavano venendo in testa alcuni pensieri niente male da tradurre in un post. Peccato che nella mia pigrizia non ne abbia preso nota subito: peccato, erano così alti che avrebbero fatto accantonare definitivamente la "Critica della ragion pura" di Kant.

A parte questo, mi arrangio e cerco comunque di buttare qualcosa giù. Faccio un giro un po' largo. Mi hanno raccontato di una blogger (che non passa e mai passerà qua, spero) che ha chiuso il suo blog dopo che il fidanzato l'ha scoperto, perché nella blogosfera si era creata una identità fittizia da femme fatale, e il por'omo che avrà pensato? Poi stavo parlando, con una cara amica, dei nickname: cambiare nick per sparire, per trasformarsi? C'è chi non rivela ai suoi lettori il proprio nome manco sotto tortura e c'è chi si espone in prima persona come il sottoscritto. Per non parlare, poi, di chi non si pone proprio il problema. Infine c'è anche chi usa il nick, ed il blog, come un mezzo per far uscire sé stessi, per crearsi uno spazio in cui mettersi liberi a girare nudi per casa (è una metafora, se non lo avete capito) senza essere visti.

Poi ognuno avrà la sua da dire, circa il proprio nickname. Tutto questo mi fa venir voglia di accennare qualcosa sul mio, di nickname. Intanto, lo sapete tutti, non ho mai fatto mistero della mia vita, del mio nome: Stefano e PhilipDick sono senza dubbio la stessa persona, solo che a volte Stefano parla più di Phil e viceversa. Chi passa di qua da parecchio tempo mi conosce bene davvero, perché non ho mai fatto mistero delle mie passioni, di quel poco che mi accade, di quello che mi va e non mi va (ognuno poi avrà una sua immagine di Ste/Phil: come mi vedete? naturalmente chi mi conosce di più è avvantaggiato), e se qualcuno di voi dovesse farmi un regalo saprebbe cosa mi piace, forse (si aspettano doni: il mio indirizzo è...).

Ok, e allora? Vengo al punto. Perché, secondo voi, ho scelto PhilipDick come nick? Ok, non è una gran domanda, in fondo ne ho parlato tante volte.
Della mia passione per PKD sapete tutto o quasi, ma è una passione che va oltre il piacere provato a leggere i suoi libri: si tratta di aver acquisito un modo differente di leggere la realtà, di interpretare ogni cosa secondo parametri ultrarelativistici: tutto potrebbe qualsiasi cosa. Sia chiaro, ovvio, che so che il tavolo che ho davanti c'è davvero, così come il mio pc.
Quando scelsi il nick l'idea iniziale era Ubik, però era già stato preso (e ho scoperto poi diverse varianti dello stesso Ubik), e visto che volevo un nickname che richiamasse Dick allora ho optato direttamente per PhilipDick; a posteriori avrei potuto chiamarmi con il nome di qualche personaggio dei libri di Dick, chessò, Rick Deckard (già preso pure questo) oppure Joe Chip, ma sarebbe stata un'altra storia.

Al momento di aprire il mio, di blog, ormai mi sentivo a mio agio con PhilipDick, e non poteva essere dversamente.

Vengo al punto. Il fatto è che per me è sempre più naturale identificarmi con Dick, con il suo pensiero, con il suo voler sempre guardare oltre il velo che ricopre la nostra realtà per osservare quello che c'è sotto (cosa che però può portare ad un eterno circolo...). Se avessi una forte idea di una vita dopo la morte penserei addirittura che il buon Philip mi guardi e mi lanci dei messaggi; per esempio, quando lessi "Occhio nel cielo" ad un certo punto si descriveva un sistema di comunicazione con Dio, realizzato con i massimi sviluppi ottenuti nei campi dell'informatica, della semantica e della comunicazione: era il periodo in cui dovevo ancora iniziare la tesi, che non sapevo per che verso prenderla, e guarda caso queste tre discipline dovevano rientrarci, come è stato (mi immagino quel vecchio barbone che mi diceva "allora? la fai o no 'sta cazzo di tesi?").

Sapete molte cose mi accomunano a Dick, tranne che lui ha consumato quantità industriali di LSD, che ha trascorso molto tempo in cliniche psichiatriche, che a un certo punto della sua vita ha visto Dio, che gli ha parlato e si è manifestato nella forma di un raggio rosa che scendeva su di lui (esperienza raccontata in "Valis", nelle vicende del suo alter-ego Horselover Fat). Insomma se togliete queste cose...

Il fatto è che tendo a vedere la realtà opaca, traslucida: dietro c'è di sicuro qualcos'altro, solo che senza droghe psicotrope difficilmente riuscirò mai a scoprirlo...

Detto questo: i vostri nick hanno una ragione particolare? sono frutto di determinate esperienze, passioni, amori, odii, oppure sono del tutto casuali?

venerdì 11 novembre 2005

Il pensatore del terzo millennio

Quando ci si spreme le meningi si viene ricompensati così



Qui ho trovato questa notizia curiosa. La statua che vedete è all'ingresso in azienda in Yahoo!, per celebrare lo sforzo dello staff nella lotta a Gmail, che mette in crisi Yahoo!Mail. Della lotta fra i due colossi del web non me ne può importare di meno, soprattutto da quando Google è in borsa e i suoi fondatori sono ancora di più ricchi sfondati. La statua però è troppo divertente.

mercoledì 9 novembre 2005

Frank Miller's Sin City

Quando mesi fa vidi Sin City al cinema, vi dissi di come fossi rimasto affascinato dalle atmosfere di quel film, nonché dallo stesso fumetto che avevo appena scoperto. Dipenderà dai gusti, certo, ma la forza di quel film e dei fumetti di Frank Miller, che sto leggendo con piacere, risiede intanto in scelte stilistiche specifiche che rendono l'immaginario di Sin City ben delineato e riconoscibile. Il film di Robert Rodriguez costituisce la messa in scena dei sogni e delle immaginazioni di Frank Miller, le cui tavole vengono riprodotte sullo schermo scena per scena, e risulta secondo me la giusta sintesi fra due medium diversi ma allo stesso tempo profondamente simili, come il cinema ed il fumetto, per la loro capacità di creare l'immersione del lettore (in senso semiotico) nelle vicende, e di guidarlo su percorsi di interpretazione che richiamano la conoscenza del genere e degli elementi tipici di immaginario che costituiscono la base di ogni opera ben riuscita, attraverso il meccanismo della sospensione dell'incredulità.

Al di là del film, che ho adorato, è bene parlare del Sin City originale, quello scritto, disegnato ed inchiostrato da Frank Miller. La forza delle storie, che non hanno un centro, che non hanno un protagonista, risiede nel suo tuffare il lettore in due grandi aspetti dell'immaginario (e scusate se insisto tanto su questo punto, ma nel mio blog è la chiave di lettura obbligata): il genere noir, come meta-genere che ne riassume tanti e che funziona spesso da sotto-genere (per esempio come non riconoscere i toni noir in un film come "Blade Runner"?), e la metropoli, e tutte le sue seduzioni ed alienazioni, nel rapporto fra individuo e massa, fra merce e arte, fra consumo e spettacolo e delle merci.
Miller con Sin City compie una operazione di questo genere: lavora e plasma la materia dell'immaginario per ottenere un effetto narrativo accattivante, seducente, per tenere incollato il lettore alle sue tavole, ma opera anche nella direzione di descrivere un mondo aberrante, dove non ci sono buoni, dove ci sono solo interessi, dove la legge e l'etica prendono direzioni diverse dalle consuete. La Citta del Peccato (ma in realtà il nome della città è Basin City) è un concentrato di illegalità, di corruzione, di spersonalizzazione dell'individuo, del tutto assorbito all'interno degli ingranaggi che regolano la vita di Sin City, dei suoi valori e dei suoi codici di comportamento.

E non è un caso che non ci sia un protagonista della serie (sviluppata in 7 albi) ma che al centro di tutto ci sia la città stessa, con i suoi quartieri, in cui si esercita di volta in volta un potere diverso: da una parte i poliziotti, (non i buoni) che lavorano spesso per i potenti della città, dall'altra la malavita e, ancora, nella splendida Città Vecchia (splendida per le sue splendide abitanti), dove governano le ragazze, le prostitute ammalianti e seducenti, in grado di portarti in paradiso se rispetti le loro regole, e hai soldi per pagare, ma che potrebbero strapparti la pelle (ho scritto pelle, eh...) se non righi dritto.





Per spiegare la forza di questo fumetto ricorro alle parole di chi certi concetti li ha già espressi bene, nell'introduzione ad Affari di famiglia, e che ha rafforzato in me l'amore per le spede laser: "Riflettere sulla tradizione del noir e sulle sue forme ci permette di entrare nel cuore dei meccanismi narrativi di Sin City, affascinanti ma tutt'altro che semplici, specchio deformante ma non menzognero dei rapporti sociali e della stessa sostanza del potere. Miller disgrega definitivamente quella tradizione e ne utilizza le rovine semiotiche come materiale di costruzione per le sue avventure disperate e mortali, in cui crimine e peccato che impattano sul corpo individuale sono metafore della malattia più profonda che investe il corpo sociale".
Miller recupera tutta la tradizione del genere noir, a fumetti ma non solo, e rielabora immagini e personaggi tipici (il detective, il giustiziere solitario, la femme fatale...) fino a creare qualcosa di assolutamente nuovo, che coniuga un immaginario tipico sviluppato negli anni 40-50 con la sensibilità moderna e l'immaginario degli ultimi dieci anni, in cui sangue, sesso e violenza diventano, appunto, metafore di qualcos'altro, arrivando anche al pulp, se questa parola vuol dire qualcosa.

Le storie di Dwight, di Gail, della ninja-prostituta Miho, di Becky, che deve sempre telefonare alla mamma (Affari di famiglia, Un'abbuffata di morte), o di Wallace ed Esther (All'inferno e ritorno: favoloso), o ancora di Marv e Goldie (... senza titolo, solo Sin City, è il primo volume), mi hanno preso nella rete, anche per lo stile assolutamente peculiare ed originale di Miller, che con il b/n, con i chiaroscuri, lavora creando delle tavole belle da morire, che generano un effetto di iperrealtà, fino a diventare surreali (e perfino psichedeliche, come nella chicca che rappresentano alcune tavole interamente a colori di "All'inferno e ritorno"). La forza delle tavole di Miller sta anche in un montaggio che è tipicamente cinematografico, rendendo del tutto naturale il sincretismo fra i due medium (così ben realizzato nel film), sviluppandosi con inquadrature che trovano angolazioni in cui l'influsso della tradizione delle immagini in movimento è a dir poco evidente.

So di aver scritto molto, e chissà quanti hanno preferito non leggere così tante parole, ma dovevo dedicarmi ampiamente a questo post, era un debito che sentivo verso il piacere provato a sfogliare questi fumetti, su cui è bello ritornare, ogni tanto.



|Fumetti USA (Dark Horse) - Sin City (v.7): All'inferno e ritorno|       |Fumetti USA (Dark Horse) - Sin City (v.3): Un'abbuffata di morte (rist)|


|Fumetti USA (Dark Horse) - Sin City (v.5): Affari di famiglia|


martedì 8 novembre 2005

Un po' di tempo nella Città Vecchia...

Stasera un po' di tempo passato con questa gente qua...



Come si fa a non dare di matto per questa donna qui?



Per non parlare della versione di celluloide...



lunedì 7 novembre 2005

Destini incrociati

Pietro è un bambino di 12 anni, buono, dolce, studioso, che sogna di andare al liceo. E la sua migliore amica è Gloria, la ragazzina più bella della scuola, intelligente, vivace, divertente, e con un carattere niente male. Però sono diversi perché provengono da famiglie diverse, tanto è perfetta quella di Gloria tanto è sfasciata quella di Pietro con un padre ubriacone e con "guai con la giustizia"; e queste differenze si faranno sentire nello spiegare tutto quello che accade dopo, ed anche il loro rapporto speciale, che è quello di due ragazzini che non sanno cos'è l'amore ma provano qualcosa l'uno per l'altro.

Graziano è un cantante fallito che passa l'estate a Riccione a suonare nei locali e a fare il playboy (300 donne in un'estate, record della riviera) e il resto dell'anno in Giamaica; non fa un cazzo per il resto della sua vita, suona e tromba, e non c'è altro da sapere. Però è una trottola continua, un giramondo (un gran cacciaballe, pure), ma è una trotttola anche nei sentimenti, arriva il punto in cui cerca qualcosa, e chissà se lo troverà, lui, con la sua sensibilità bovina, la sua capacità di calpestare i sentimenti altrui e, quando serve, di farsi mettere i piedi in testa e comandare a bacchetta dalla prima bambola che vuole sfondare in tv. Ma che a un certo punto decide di tornare in paese
Flora è una professoressa di italiano delle medie: è una donna bellissima, ma in paese alla gente non piace, forse perchè sta sempre sulle sue, perché non fa amicizie, non si impegna a far uscire la propria personalità. Ma è una donna fantastica, ve lo assicuro, con qualche segreto da scoprire e che spiega tante cose, ma purtroppo fragile, molto fragile.

Insieme a tanti altri personaggi Pietro e Gloria, Graziano e Flora, sono i protagonisti delle vicende che si svolgono Ischiano Scalo, paese della maremma laziale dove non c'è niente da fare, che Niccolò Ammaniti racconta in Ti prendo e ti porto via.

Che dire di questo libro? E' bellissimo, ma io lo dico di tanti, vero? Beh, questo lo è davvero. Due persone mi hanno detto a distanza di tempo che questo libro fa star male, per tanto è bello, per quanto colpisce nello stomaco, per quanto smuova emozioni. Ed è vero, fa star male: perché le vicende di Pietro e Gloria e Graziano e Flora sono per certi versi le vicende di tutti. Ammaniti scava e scava fino a trovare una sorgente, e alla fine spiega nell'essenza un mare di sentimenti e di azioni umane. Però si tratta sempre di errori, errori che rivelano stupidità, immaturità, esperienze sbagliate... Nell'intrecciarsi dei fili che legano questi personaggi (insieme a tutta l'umanità provinciale che anima il libro) Ammaniti spiega molte cose ma altre le lascia lì, di fronte al lettore, che non se le spiega e soffre per Pietro, che meriterebbe un'altra vita, che se avesse 12 anni si innamorerebbe di Gloria, che vorrebbe essere Graziano almeno per il successo con le donne, che si innamorerebbe di Flora ma poi ne scoprirebbe l'immensa fragilità (ma quanto ti starei vicino io, Flora...). 



Ammaniti fa un quadro splendido, dove ogni pezzo alla fine si incastra con gli altri, dove dici per forza che doveva essere così anche se si arriva alla tragedia, e pensi quanto sia stupido Graziano, quanto sia scemo Pietro, quanto sia un po' egoista Gloria, quanto sia debole Flora... ma Graziano... ma Flora... ma Pietro... e Gloria è Gloria. E alla fine tutto si spiega, tutto ha senso, un senso tragico che risiede nelle piccole cose, nelle piccole vicende di paese. E senti che lo scrittore non doveva farti questo torto, doveva darti un lieto fine, non farti star male. Però, forse, c'è un lieto fine... C'è qualcosa che si apre, qualcosa pronto a rinascere, qualcosa destinato a ferire e a chiudere le ferite allo stesso tempo. Perché c'è da prendere e andare via.

venerdì 4 novembre 2005

Ho immaginato

Ho immaginato di essere felice davvero, di conoscere qualcuno che mi aiuti a volare in alto sopra le nuvole, come i sogni del protagonista di "Brazil";
ho immaginato di stare bene prima di tutto con me stesso, di fare qualcosa che mi piace e che mi dia soddisfazione;
ho immaginato di essere amato per ogni mio difetto;
ho immaginato di essere amato e basta;
ho immaginato di saper scrivere;
ho immaginato di incontrarti e di fare l'amore con te;
ho immaginato di rivedere la ragazza che ho conosciuto in treno domenica;
ho immaginato come sarebbe la mia vita se avessi più fiducia in me, più sicurezza;
ho immaginato di cambiare alcuni attimi, singoli momenti del passato e come sarebbe diventata la mia vita;
ho immaginato di aprirmi agli altri come un fiore, e lasciar uscire fuori tutta la mia personalità, perché credo che nemmeno io ancora la conosco bene;
ho immaginato di volare da una parte all'altra a mio piacimento;
ho immaginato di leggere tutti i libri del mondo; ho immaginato di scriverne uno, soltanto uno, che faccia piangere, ridere, innamorare, emozionare, spaventare, conoscere e imparare, addormentare sereni, e che faccia spegnere i pc e le tv;
ho immaginato di rotolarmi sull'erba, di saper nuotare, di tuffarmi fra le nuvole e assaporare la realtà;
ho immaginato che la realtà da assoporare sia di volta in volta differente;
io immagino sempre, immagino la mia vita ma non solo, anche quella degli altri, e di chi non esiste.

giovedì 3 novembre 2005

Voglia

Stamattina ho voglia di immaginare. Immaginare e basta. E' troppo che non lo faccio, ed è ora che mi lasci andare perché so di esserne capace. Perché niente è più forte dell'immaginazione e dell'irreale. Voglia di chiudere gli occhi e trovarmi da un'altra parte, accendendo le parti giuste della corteccia, far viaggiare messaggi sulle sinapsi, scatenare endorfine. Riaprire gli occhi e scoprire di avere un'altra realtà davanti, da plasmare e da costruire, come tanti pezzi da far incastrare. E poi immaginare di nuovo, e ancora, e ancora. 


Voglia di sognare.

mercoledì 2 novembre 2005

Buddha ed il cyberpunk

Mettetevi comodi, faccio una cosa che non faccio mai. Vi parlo di un libro. Non sbuffate, che mi arrabbio. E poi stavolta un libro che vi consiglio potreste pure leggerlo, sono solo 130 pagine.

Di che libro si tratta? Non siate impazienti, ve lo dico subito. Pescando non troppo a caso in biblioteca ho trovato questo libro che è stato una vera sorpresa, Forbici vince carta vince pietra, dello scrittore inglese Ian McDonald, una delle nuove e migliori leve della fantascienza contemporanea, ma soprattutto di quella letteratura di immaginario che piace a me, piena di contaminazioni e che tende a sfuggire da banali classificazioni di genere.



Questo Forbici ecc. ecc. è un libro che attinge a grandi fonti, come ho scritto nel titolo: la letteratura cyberpunk (rivista e corretta) ed il buddismo. Ma non solo, perché sarebbe riduttivo: c'è tanta cultura giapponese tradizionale insieme agli anime e ai manga, a cui il libro per certi aspetti assomiglia; c'è tanto cinema, di cui si sente l'influsso; c'è una rielaborazione continua di stili e generi, come piace a me.
E' un romanzo, questo di McDonald, che rimedia tanti aspetti della cultura di massa, li miscela e li mescola in una sorta di sincretismo tecno-spirituale. Un libro che, paradossalmente, acquista forza in funzione di un film uscito dopo, che tutti hanno visto e che è diventato un cult, Matrix (che è di 4-5 anni successivo a questo romanzo). Come nel film dei Wachowski, attinge a tematiche tipiche del cyberpunk, come la realtà virtuale e l'esistenza di grandi intelligenze artificiali che governano il mondo, e le fonde con le filosofie orientali, costruendo una sorta di viaggio spirituale e di liberazione che si realizza nella possibilità di manipolare a proprio piacimento la realtà (il finale di questo libro somiglia molto a Matrix).

Il libro racconta la storia di Ethan, che vediamo in Giappone nello svolgimento di un viaggio spirituale con l'amico Masahiko, disegnatore di anime, in mountain bike lungo il sentiero degli henro, seguendo le orme del Daishi. Ethan sente il bisogno di liberarsi e di purificarsi, perché porta con sé un segreto che andando avanti si rivelerà essere il grande potere di cui però vorrebbe disfarsi, ma che la potente burocrazia europea a cui Ethan è legato vorrebbe controllare. Un potere che nasce dalla tecnologia e dagli istinti primordiali dell'uomo, che nei secoli si sono tradotti in tutte le forme della spiritualità: il potere delle immagini e delle parole, un potere che altera la psiche di chi lo subisce e la vita di chi lo pratica.

McDonald è stato veramente una piacevole scoperta per me, perché, oltre alle tematiche di cui vi ho detto e alla capacità di utilizzare elementi di immaginario tipici per chi ha visto anime e letto manga, il romanzo scorre fluido su due binari: il percorso del pellegrinaggio per le strade del Giappone e quello fra i ricordi e i segreti di Ethan, che lo condannano a ricercare una salvezza.

Non so descrivervi meglio questo romanzo, scritto tra l'altro molto bene. Spero però di aver incuriosito qualcuno. Ah, un'ultima cosa, nel libro c'è un vero e proprio elogio alla bicicletta, tipo lo zen e la manutenzione della mountain bike: ora so che andando in bici per tanto tempo fra gli ingranaggi del mezzo meccanico ho cercato l'illuminazione. Alla prossima.

venerdì 28 ottobre 2005

Il lato oscuro dell'anima

Immaginate una coppia. Lei ha subito uno stupro tremendo, lui la ama ma non riesce più a capirla, ad entrare in sintonia con lei dopo l'esperienza che ha subito, e mettetici pure che è un po' un cacasotto.
Immaginate una Chevrolet Impala del '66 nera (immaginatela perché io non lo so come è fatta una Impala), che sembra uscita dall'inferno, che fa venire i brividi a chi la guarda passare.
Immaginate un gruppo di ragazzi in viaggio per il Texas alla ricerca di Monty e Becky, la coppia di prima, per finire il lavoro lasciato a metà qualche mese prima e per vendicare il loro capo.




Questi tre elementi riempiono le pagine de Il lato oscuro dell'anima (The Nightrunners) di Joe R. Lansdale, libro del 1987 pubblicato da poco qui da noi, e che, come In fondo alla palude, mi sono fatto autografare dall'autore. Questo libro di Lansdale entra, e scusate la scarsa originalità, nel lato oscuro dell'anima in cui possiamo trovare la cattiveria ed il male assoluto oppure misto ad adrenalina e a istinti primevi il coraggio per difendere la propria donna, clava in mano.
Questo thriller di Lansdale ha toni horror (o forse è un horror con toni thriller) e mette in mostra violenza e sangue prima di tutto, forse gli elementi base da cui nasce ogni emozione forte, almeno nel mondo malato che racconta lo scrittore texano. Un libro che risulta avvincente, che si lascia leggere bene, ma rispetto ad altre cose di Lansdale pecca un po' nella psicologia dei personaggi (per certi aspetti abbastanza stereotipata) e che nello svolgimento della vicenda è un pochino prevedibile. Se vi piace il genere, però, lo troverete di vostro gusto, perché la piccola critica non intacca il piacere della lettura di un libro di quello che è un ottimo scrittore (e un grande artigiano che sa plasmare alla perfezione certi elementi: per esempio la struttura a flash-back del romanzo tiene comunque vivo l'interesse e la curiosità).

giovedì 27 ottobre 2005

Gli strani percorsi offerti dai motori di ricerca

Ma come fa la gente a finire sul mio blog? Passi quelli che cercano "immaginaria" o "immaginaria splinder" (evidentemente la fama di questo blog supera gli oceani), philip dick (sempre assetati di informazioni su PKD: chissà se sono rimasti delusi o se qualcuno ha pensato che Dick tenga un blog dall'aldilà). E ok chi cerca qualche libro che ho recensito come "Acqua luce e gas" di Matt Ruff oppure "la matrice spezzata" di Bruce Sterling, oppure informazioni sul Sandman di Neil Gaiman o della Trilogia Nikopol di Enki Bilal (e qui anche "divinità egizie Anubis") di cui ho parlato nei mesi scorsi.


Di fronte a "esposizioni universali" mi inchino: qualcuno cercava di farsi una cultura ed è finito sul mio post su Steamboy (chissà, magari lo ha trovato interessante, soprattutto la seconda parte, dove parlo delle grandi esposizioni). Così come "la sentinella" + Arthur Clarke: qualcuno è finito sul mio post dedicato alla conferenza di Paolo Fabbri su 2001: Odissea nello spazio. "Ringraziamenti fine tesi" so a quale post rimanda: mi chiedo se c'è chi vuole conoscere i ringraziamenti di fine tesi di tutti. Una nuova forma di feticismo?


A chiavi di ricerca come "bambola gonfiabile" capisco come siano finiti sul mio blog (c'è una racconto di Lansdale in proposito), però chissà come sarà rimasto deluso questo tipo quando non ha trovato un sito dove comprare una nuova bambola. Per non parlare di "spade laser", che manda alla recensione de "La vendetta dei Sith" o questo altro post.. Però alcune stringhe mi fanno riflettere seriamente sul funzionamento dei motori di ricerca (che infatti vanno superati, come ho scritto nella tesi).


"Disintossicarsi dagli psicofarmaci", "immagini giardinieri strane", "influenza della telecronaca sull'uomo" (gli interessi di cerca gente sono proprio strani: che influenza potrebbe avere avuto Bruno Pizzul nella mia vita?), "significato della parola gufare", "tutto sul nazismo", "porno tra uomini e bestie", "la 25a ora Spike Lee in culo", "mondiali 2005 danza orientale mosca" mi lasciano perplesso, sia sul perché per certe cose la gente finisca sul mio blog sia perché non voglio pensare a certi gusti proprio strani.

mercoledì 26 ottobre 2005

In the mood for love

Chow e Chan si incontrano come vicini di casa e vicini di una strana umanità, fatta di amici e di compagni intorno ai quali loro si muovono tenendosi ai margini, per una marginalità che è congenita, che discende dalle loro personalità, dalle loro storie.




Chow è un giornalista che tenta di scrivere un libro ed è sposato con una donna che non vediamo mai, sempre di spalle, sempre solo per qualche frammento, ne sentiamo la voce ma non ne traiamo niente, è come un fantasma, sappiamo solo che esiste. Chan è una bellissima donna, moglie di un uomo che per lavoro viaggia molto e sta settimane fuori di casa; un uomo che, anche lui, non vedremo mai per intero: ora una mano, un braccio, e ne sentiamo la voce.




La moglie e il marito di Chow e Chan, presenze invisibili nella vita dei coniugi, nella loro invisibilità non possono che incontrarsi e decidere di stare insieme. Chow e Chan sono attratti fra loro fin dall'inizio, dagli sguardi, dalla loro fisicità sempre presente sullo schermo, dalle loro vite incomplete accanto a persone invisibili, e da tutto ciò che di invisibile c'è nelle loro vite.




In the mood for love, di Wong Kar Wai, è il film che precede 2046, che racconta la storia di Chow prima che parta e che poi ritorni, dopo qualche anno, ad Hong Kong. E' un film sull'amore, ovvio, ma non su una storia d'amore; piuttosto sui segreti e sui sentimenti, sullo sfiorarsi di anime affini che sfuggono esse stesse al loro destino, perché gli uomini sono imperfetti e forse hanno paura di vivere i sentimenti o forse gli piace andare per direzioni diverse.

E' un film differente da 2046, che è del tutto onirico, fatto di flash back (che ora sappiamo dove mandano) e di viaggi nell'immaginazione; In the mood for love ci mostra la superficie della realtà, dietro cui sappiamo esserci dell'altro che non sappiamo spiegare se non con parole come caso, amore, tradimento, rassegnazione, levità dei sentimenti, incertezza, dubbi. Queste sono le parole che emergono nella mia mente. Due film diversi, questi due di Wong Kar Wai, ma che si completano fra loro, e forse, dal mio punto di vista, si spiegano meglio vedendo prima il secondo, 2046, che comunque mi è piaciuto un pochino di più (e ho amato tanto entrambi).

martedì 25 ottobre 2005

Chi è? ed un bel corteo

Un miliardario comincia ad acquistare tutte le televisioni e i giornali, che naturalmente iniziano a parlare bene di lui. Ora il popolo lo ama, e non può essere diversamente se la tv dice che è buono e che è un grand'uomo. Gli manca solo l'ingresso in politica. Chi è?

No, sbagliato, non è lui. Mica penso sempre a lui. Semplicemente è il signor Burns nell'episodio dei Simpson trasmesso ieri e che ho rivisto registrato oggi. Mi sembra attuale, no? Ci mancava solo che facevano entrare il signor Burns in politica.

Per il resto non ho grandi cose da raccontarvi, cari lettori che sicuramente ancora state sbadigliando davanti al punto interrogativo del post sotto. Una cosa curiosa che mi è capitata oggi però ve la accenno.
Andando al lavoro (ho l'ufficio in pieno centro) il tram si è fermato un bel pezzo lontano causa manifestazione e mi sono dovuto fare almeno un paio di chilometri a piedi (con pit-stop-gelato per recuperare le forze). Arrivato dalle parti del lavoro c'era tutta una moltitudine di studenti che protestavano contro la riforma Moratti: un sacco di colori, rosso e arancione soprattutto, e un bel po' di arcobaleno, musica, gente allegra. Mentre mi avvicino all'ufficio pensando che forse sarebbe da aggregarsi al corteo disordinato, con gente che va di qua e di là e poi si ricongiunge, ma poi c'è il lavoro e poi mi sono reso conto di essere fuori target: cazzo, tutti più giovani di me! Però ce n'erano anche più vecchi, per esempio un gruppo di assistenti e ricercatori della mia facoltà che ho incrociato ma che non mi ha visto, e non so se è stato un bene o male.

Vabbè, poco altro di interessante da raccontare. Torno a guardare Ballarò. Stasera parlano di 'ndrangheta, di Calabria, di Sud.


Aggiornamento mattutino: ho letto e visto solo ora che ieri poi ci sono stati scontri fra polizia e manifestanti davanti a Montecitorio. Ma si può? Sto giusto vedendo in tv che i giornali di oggi raccontano come alcune personalità della destra abbiano provocato direttamente i manifestanti (come La Russa, come la Santanchè, che ha mostrato un signorile dito medio ai manifestanti). Che schifo.

giovedì 20 ottobre 2005

Sono strano: solo per me scrivo sto post.

Sono un tipo strano. Sono una persona strana. Mi metto a riflettere e scopro che vorrei una vita diversa, a volte penso che vorrei la stessa, con qualche modifica.
Chissà quanta gente intorno a me pensa che sono strano, chissà cos'è strano e cos'è normale poi, che io non l'ho mai capito. Sono strano perché comincio a girare come una trottola, preso in un vortice e quando mi fermo tutto gira, e non capisco più niente.
Sono strano perché non sono soddisfatto di me, di quello che sono. A volte vorrei stare da un'altra parte, vorrei guardarmi da fuori, e capire cos'ho. A volte non vorrei nemmeno guardarmi, a volte vorrei sparire. A volte vorrei avere tutti intorno, a volte vorrei stare solo sulla Terra. A volte vorrei essere al centro dell'attenzione con i riflettori e le telecamere puntate addosso a me, 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e diventare l'attrazione. A volte vorrei camuffarmi e non farmi riconoscere.
A volte vorrei una telefonata, per sentirmi dire "ehi, come stai?", altre volte sfascerei tutti i telefoni. A volte telefono io, a volte mi rispondono, altre no. Se mi rispondono so avere una conversazione brillante ma a volte dico solo cazzate. Probabilmente di cazzate ne ho dette così tante che è giusto che non arrivi nessuna telefonata.

Sono strano perché sento una malinconia, un senso di mancanza, di assenza, che mi fa sentire triste. E se sei triste non ci si preoccupa perché lo sei, che tanto non lo sai nemmeno tu, ma semplicemente ti si dimentica. Sono strano perché sogno ad occhi aperti su come sarebbe dovuta essere la mia vita, ma finisce sempre che mi sveglio sul più bello, anch se ero già sveglio. A volte mi metto a pensare che in certi casi mi sarei dovuto comportare diversamente, però sono fatto così, prendere o lasciare. Lasciare.
Sono strano perché vorrei realizzare qualcosa, ma vivo nell'immobilità, non so se per paura o per incapacità. E sono tutti migliori di me, come cantava qualcuno. A volte penso persino che sono io migliore di tutti. A volte capisco che non esiste nessuno migliore di un altro, esistono solo le persone, le individualità, le identità e bisognerebbe imparare ad accettarle, sforzarsi di conoscerle in profondità, queste identità, a cominciare dalla propria, che è forse quella più oscura di tutte.
A volte cerchi di sforzarti di uscire dalla tua apatia, altre semplicemente ti ci tuffi dentro. A volte desideri con tutte le tue forze di uscire dalla tua apatia, perché non vuoi buttare via ore e minuti che potresti usare meglio. A volte ti sdrai in strada e vorresti fermare il traffico, ma ti passano tutti sopra, e allora che ti alzi a fare, che tanto non ti vedrebbero più di così. A volte desideri combattere, e comincia a piacchiare forte, a cominciare dal tuo naso. E forse è quello di cui avresti bisogno, come avevi scritto già quasi un anno fa, un bel fight club personale.

Sono strano, ma sono anche normale. Perché la soglia è sottilissima e dove metti i piedi nemmeno te ne accorgi. Normale è solo chiedersi chi si è, e finché non si trova una risposta unica e definitiva si è strani. Secondo me è questo. Si è normali solo per se stessi, quando si sta bene. Si è strani per tutti gli altri, quando si sta cercando di stare bene, e di capirsi. Si è strani perché si prova a fare uscire quello che si ha dentro ma non ci riesco del tutto: e pensare che stanotte mentre pensavo prima di addormentarmi a queste cose, mi erano venuti dei pensieri così importanti... Si è strani anche per questo.

martedì 18 ottobre 2005

Sognando il Brasile

Braziiil... na-na-na-na-na-naaaaaaa...

Somewhere in the 20th century... questa musichetta è l'unico modo per evadere e sentirsi liberi. Nei sogni e nella realtà.




In un futuro prossimo venturo (che è già passato visto che il film è ambientato alla fine del 20° secolo) la burocrazia ci sommergerà, sarà il vero potere ed il vero modo per controllare la gente; attraverso la burocrazia si esercita un potere dittatoriale odioso, in una società vacua e superficiale, nella sua elite, e povera e disperata negli strati più bassi. L'informazione è potere, chi può controllare l'informazione ha il potere, chi gestisce anche il modo in cui l'informazione viene diffusa nei media e negli apparati pubblici (fra un mare di scartoffie e di moduli) ne detiene ancora di più.




Brazil si inserisce in quel filone di fantascienza distopica (1984, Il mondo nuovo) in cui il futuro viene rappresentato opprimente, in cui la tecnologia (assolutamente comica) è solo un'altra emanazione dell'apparato burocratico, in cui si cerca ad ogni costo un prolungamento artificiale della vita, in cui ogni cosa è distorta ed è proprio come non vorremmo che fosse il nostro futuro.




E allora un ometto, un piccolo ingranaggio dell'apparato burocratico, può solo permettersi di sognare di essere un eroe, di sconfiggere mostri paurosi e di salvare una donna bellissima. La vita normalissima e conformista di Lawry (Jonathan Pryce) viene sconvolta dall'apparizione nella sua vita del terrorista-tecnico del riscaldamento Tuttle (Robert De Niro), che mina il sistema con le sue riparazioni gratuite, e della bellissima donna che appare nei suoi sogni, che scopre essere reale.




E allora cercherà di trasformare in realtà i suoi sogni, le sue illusioni, le sue fantasticherie e la sua immaginazione. Solo che c'è da vedere da che materia sono composti i sogni.







Ho comprato con piacere e ancora con maggior piacere ho rivisto il DVD del film di Terry Gilliam, di una ventina di anni fa. Me lo ricordavo bello questo film ma non così così dolcemente illusorio, così onirico, così tragico e comico. E soprattutto un così forte inno di libertà.

Braziiil... na-na-na-na-na-naaaaaaa...

lunedì 17 ottobre 2005

Mostri invisibili

I mostri invisibili sono quelli che vediamo tutti i giorni nelle nostre società, le persone che ci passano davanti e davanti alle quali abbassiamo lo sguardo o volgiamo gli occhi altrove. Shannon è diventata un mostro invisibile perché un colpo di pistola le ha portato via mezza faccia; deve rinunciare alla sua carriera di modella e ricostruirsi una nuova vita. Brandy è quasi una vera donna, e intraprende la missione di ricostruire e trasformare Shannon, ma è anche lei un mostro invisibile, non soltanto come transessuale, anzi era molto più invisibile come uomo. I mostri invisibili sono ovunque, e sono molto più invisibili di questi; i veri mostri invisibili probabilmente ce li abbiamo nella testa, nei rapporti con gli altri: il vero mostro invisibile spesso siamo noi stessi di fronte ad uno specchio, quando non ci riconosciamo e vogliamo cambiare, diventare altri, trovare la strada che ci faccia uscire dall'invisibilità.

Questo libro di Chuck Palahniuk è molto bistrattato, invece a me è piaciuto, o almeno non l'ho trovato così brutto come molti dicono. Certo, altri libri di Palahniuk sono migliori però anche questo è leggibile. Diciamo che soffre, stilisticamente, del tentativo dello scrittore di imitare se stesso, il suo stile, quello dei libri precedenti. E lì si perde un po', perché manca quella brillantezza, quella vivacità nel linguaggio che lo caratterizza e che fa sì, in altri, che uno dica "se 'sta cosa qua non la scriveva lui non la scriveva nessun altro". Invece "Invisible Monsters" sembra un po' già letto: è infarcito di colpi di scena, come fa Palahniuk, ma sono un po' scontati e un po' troppi, te li aspetti, è scritto con un linguaggio forte, come fa Palahniuk, ma non è del tutto originale. Non è del tutto Palahniuk, ecco. Comunque si lascia leggere, anche se non entusiasma.

4.000.000 in fila

Dopo tre giorni senza telefono posso tornare a postare. E posto, visto il mio ultimo posto, ancora sulle primarie del centrosinistra, per dire pochissime cose (lunghi editoriali politici potrete leggerli altrove, io faccio le mie modeste considerazioni).

Questi oltre 4 milioni di elettori che significano? Perché è questo il punto, non chi ha vinto, anzi stravinto, le primarie, che già si sapeva. Il dato fondamentale è che più di 4 milioni hanno deciso di mettersi lì in fila (io per un'ora e mezza) per votare per il leader dell'Unione ma soprattutto per dare un segno. Il segno che se gli si chiede di esprimersi gli italiani lo fanno; che magari su certe questioni mostrano indifferenza, come gli ultimi referendum, ma che hanno voglia di dire con forza che in questo paese è ora di cambiare.
Il segno più forte, secondo me, è che se non ci fossero stati questi 4 anni e oltre di governo della destra, di questo governo (leggi ad personam, condoni e concordati fiscali, economia e conti a pubblici a pezzi) probabilmente non ci sarebbe stata una tale mobilitazione. Direte, vabbè erano tutti elettori di centrosinistra, poi erano un po' farlocche come primarie, visto che il leader già riconosciuto da tutti c'era, andava solo legittimato.
Tutta questa gente, che di domenica si mette un'ora in fila per un voto che ha un significato più simbolico che pratico, vuole partecipare, vuole dire la sua, vuole venire ascoltata. E a questo punto si stabilisca di ascoltare la società sempre più spesso, come metodo. Non si butti questo patrimonio di 4 milioni di elettori che avevano voglia di dire la loro.

Il numero resta, e nessuno lo aveva previsto (leggevo ieri che 350.000 votanti avrebbe cominciato ad essere un buon numero, sondaggi alla mano). E rappresenta la voglia di cambiamento della gente, la voglia di mobilitazione, il segno che alle prossime politiche probabilmente nessun voto andrà buttato. Sempre che sarà possibile contarli i voti fra qualche mese, con l'aria che tira...

venerdì 14 ottobre 2005

Primarie alla carbonara

Apro una parentesi politica. Come sicuramente saprete domenica si svolgeranno le primarie dell'Unione per la scelta del candidato per la presidenza del consiglio alle prossime politiche.

Apro questa parentesi perché credo, anzi sicuramente, andrò a votare anche se ancora non so per chi. Il fatto è che si tratta di primarie anomale, come tutti possono vedere ed è già stato rilevato, perché alla fine si va a votare per un candidato che i partiti hanno già accettato come leader (Prodi, per chi non se ne fosse accorto) ma che va legittimato. E gli altri candidati dicono (tranne gli indipendenti) che si sono presentati per rappresentare ognuno la propria area politica pur riconoscendo Prodi, ecc. ecc.

Premetto che andrò a votare con spirito curioso e perché lo strumento in sé mi piace e spero che possa diventare un'abitudine (magari con primarie vere la prossima volta), ma ancora non ho deciso se votare per Prodi o buttare lì un voto un po' di protesta e un po' di cambiamento. Se fosse per me il mio voto lo darei all'amico Uolter, l'unico personaggio in grado di smuovermi in maniera più decisa.

Ecco, vi chiedo, a chi è interessato, voi ci andate a votare per le primarie (naturalmente se siete elettori di centrosinistra e sinistra)? Non tanto per chi, che credo alla fine è un discorso secondario viste le premesse, ma se ci andate, badate bene. Sarò curioso di vedere quanta gente alla fine sarà andata a votare, per capire se sarà un esperimento da ripetere o se è stato solo un momento estemporaneo. Mi sa che in ogni caso sarà la seconda che ho detto.

giovedì 13 ottobre 2005

Incontri metropolitani. Il fascino di un sorriso

Uscendo dall'uffcio dopo un turno che ti ha lasciato un po' rincoglionito ma in cui tutto sommato credi di aver fatto bene (si aspettano eventuali tirate di orecchie) naturalmente soffri di un po' di stanchezza, ed hai anche una faccia che potrebbe sembrare quella di un morto. Però basta un piccolo incontro per sollevare il morale e farti passare un pochino la stanchezza.

Per esempio capita che passi davanti alla libreria affianco al tuo ufficio e sbirci dalla vetrina per vedere che aria tira che c'era la presentazione di un libro di un rampollo di una grande casa editrice italiana che ha fatto 50 anni. E capita che la commessa della libreria, quella tanto carina con cui ti sei messo a parlare quando ci fu l'incontro con Joe R. Lansdale, ti sorrida e ti inviti ad entrare dentro a mangiare un pezzo di pizza, che la presentazione è finita ma c'è la parte pappatoria. E così fai due chiacchere e prendi questo libro qui (intorno al quale giri da un po' di tempo e che hai aspettato inutilmente che una tua amica si ricordasse di portartelo), approfittando di uno sconto sui libri del suddetto editore, soprattutto perché quegli occhi neri e profondi e quel bel sorriso hanno un fascino irresistibile. Poi dopo ore passate con i miei colleghi...

Sarà che è perché sono un così buon cliente (che ogni volta che la vede finisce per acquistare qualcosa) che lei mi sorride sempre quando mi vede? Purtroppo mi sa di sì... Ma non importa, queste piccole cose risollevano il morale dopo una giornata di lavoro. Oggi che libro posso andare a comprare?

martedì 11 ottobre 2005

Un chiodo

Un urlo incredibile vibra nell’aria. Un urlo che devi immaginare perché è impossibile per me riprodurlo. Un urlo affilato come un chiodo, di quelli grossi da carpentiere, che ti viene piantato in un orecchio, prima piano, appena appoggiato ma già ne senti la pressione, senti che il metallo è freddo e cattivo, che non ha anima. È solo metallo. E allora il chiodo comincia a spingere contro il tuo timpano e nemmeno di accorgi quando lo buca, ma lo sai che l’ha bucata quella sottile membrana perché è come se oltre al chiodo ti avessero ficcato dentro l’orecchio un batuffolo di cotone, perché la sensazione che provi nell’ascoltare la voce che ti è affianco è di lontananza, di una consistenza quasi fantasmatica.
Solo un rivolo di sangue inizia a colare giù, lo senti caldo sul tuo lobo e allora si accende qualche interruttore nel tuo cervello, uno in più per ogni goccia che sgorga fuori e scorre giù lungo la tua guancia fino al collo, e cominci a pensare che stavolta non ce la farai, che non può andare sempre bene, e che hai finito tutte le carte buone. E pensi anche che sei un coglione, che stavolta hai rischiato troppo, che non dovevi accettare quel lavoro ma, cazzo, ti servivano quei soldi, e poi ne hai affrontate pure di peggio.
Si accende anche l’interruttore del sudore freddo e del delirio, e cominci a urlare. Ora urli davvero perché hai capito cosa sta per succedere o, meglio, lo sapevi già ma ora sai che accade, in questo momento, istante dopo istante, attimo dopo attimo. È un film al rallentatore, questo, in cui puoi vedere fotogramma per fotogramma ogni singolo particolare, e se vuoi puoi anche mandare avanti veloce, tanto sai come andrà a finire, non arriveranno i buoni a salvarti, perché non ci sono buoni in questa storia che ti sto raccontando.
Ogni briciolo di consapevolezza in più corrisponde ad un qualche messaggio che viaggia lungo le sinapsi che collegano i neuroni del tuo cervello, che stanno impazzendo di scariche elettriche perché loro lo hanno capito un nanosecondo prima di te che cosa sta per accadere. E questi impulsi elettrici che a me piace pensare come il morse punto linea punto punto linea, e chissà che cazzo ho detto, mettono insieme qualcosa di compiuto, informazioni, dati, bit, che dicono solo una cosa, una cosa irrazionale, senza senso alcuno. Ti dicono che devi urlare anche se sai che non c’è nessuno che possa ascoltarti ma non è un grido di aiuto quello; è un grido di guerra, è l’ultimo respiro che forse potrai esalare e allora lo rendi più grosso e più potente che puoi, proprio nel momento in cui, anche se non la vedi, senti una goccia del tuo sangue che ha terminato il suo percorso in uno splash su quel pavimento sporco e ti spiace un po' per quel fluido vitale sprecato così, pensi che è un peccato. Forse è perfino per quello che tiri fuori dai tuoi polmoni fino all’ultima particella d’aria.
Allora continua ad immaginare questo urlo, che fra poco capirai di che si tratta. Un chiodo, grosso di quelli da carpentiere, immaginalo bene perché quella è la forma della paura. Immagina le goccioline di sudore che imperlano la tua fronte quando hai il chiodo appoggiato nel condotto auricolare. Immagina il ghigno di chi tiene in mano il chiodo. Immagina che ora, al posto mio, ci sia tu legato su quella sedia e in balia della bramosia omicida di un pazzo deciso ad avere l'ennesimo orgasmo nel vedere il sangue che schizza via dall'orecchio insieme ad un po' di gelatina grigia. Ecco, allora che cazzo stai facendo ancora lì e perché non vieni a tirarmi fuori brutto bastardo, grandissimo figlio di puttana? Perché non te ne frega niente, vero? E te ne resti stravaccato in poltrona a guardare questo reality show, che purtroppo è reale per davvero. Io volevo solo un po' di notorietà, ed ora ho il 90% dello share tutto per me. Chissà se è un bene. Mandate a letto i bambini, quello che state per vedere potrebbe impressionarli. Accendete i videoregistratori.