Si possono avere i brividi se si guarda la tv? Brividi di emozione e nostalgia, si intende. Sì, se si rivedono le immagini delle imprese di Marco Pantani.
In questi giorni di Giro d'Italia l'antica passione viene fuori, spumeggia, erutta come un vulcano, e allora c'è voglia di riprendere la bici, rimettersi in condizioni decenti e ritornare a pedalare, pedalare per pedalare, senza altro scopo. Perché non si fa tanta fatica (anche ad andare piano si fa fatica in bici quando è tanto che non la prendi e non hai nelle gambe nemmeno quella cinquantina di chilometri che una volta facevi solo per sgranchirti). Non è un caso che a forza di vedere il Giro, la festa di maggio, come ogni anno si moltiplica la voglia di mettersi in sella. E così se il mondo del ciclismo e non (soprattutto "e non") scopre la grandezza di un campione come Ivan Basso, io mi metto mi metto a pedalare, e se nessuno lo saprà mai e mai si metterà sul bordo di una strada a tifare per me non conta perché il tifo ce l'ho nella testa, che scandisce il passo pedalata dopo pedalata, e se vai piano non importa, la fatica è la stessa, la gioia pure, e, credetemi, difficilmente mi sento così completo e realizzato come in bici: per qualche ora ci si può estraniare e pensare solo alla strada, al colpo di pedale da tenere, al rapporto, e concentrarsi sui muscoli, sulla respirazione e sulla posizione da tenere in sella.
Ecco, queste righe per far capire l'amore per la bicicletta, che trascende le imprese dei campioni. E così con grande piacere stamattina e giovedì scorso ho visto le due puntate del bel documentario de "La storia siamo noi" di Minoli dedicate alla storia del Giro d'Italia, "La festa di maggio" (i volenterosi potrebbero/dovrebbero trovarle sul sito della trasmissione che, se non raccontano cazzate, contiene un archivio on-line di tutte le puntate). E così, la nascita del Giro, Luigi Ganna, il primo vincitore, i primi campioni e campionissimi, Girardengo, Guerra, Binda, poi Bartali, Coppi e la loro immensa rivalità, fino all'era moderna (era moderna trattata en passant, ma forse è giusto così visto che è stato il ciclismo eroico a fare la leggenda) con Merckx, Gimondi, Saronni, Moser, Bugno (chi mi conosce sa che il grande Gianni Bugno è stato il mio idolo da bambino e tuttora quando lo rivedo mi commuovo) e Marco Pantani, il Pirata, il Panta, chiamatelo come volete, l'unico ciclista moderno che ha saputo far rivivere la leggenda del ciclismo antico con le sue imprese straordinarie e la sua storia di uomo travagliato e con una interiorità difficile da decifrare, eroe e antieroe allo stesso tempo.
Quando il 14 febbraio 2004 morì il Panta, piansi, e dico sul serio, perché se ne andava un uomo che ha dato emozioni alla gente, e le sue imprese me le ricordo, ce le ho stampate in testa, con la telecronaca di Adriano De Zan: due vittorie all'Alpe d'Huez, la tappa dell'Aprica al Giro del 94 dove sul Mortirolo staccò tutti, anche Indurain e Berzin (e sul Mortirolo è stato posto un monumento in ricordo del Pirata: sabato il Giro vi passerà davanti e renderà omaggio al Mito), la tappa di Les Deux Alpes del Tour del 98, quando sul Galibier, in mezzo ad una pioggia fittissima staccò tutti, diede 9 minuti ad Ullrich e conquisto il Tour de France. Ecco, capito perché mi sono emozionato? Come farei a non emozionarmi per un uomo che diceva di spingere più forte che poteva in salita per finire prima l'agonia?
A vedere una bicicletta ci si emoziona perché come dice Fiorenzo Magni nel documentario che vi ho detto il ciclismo è il mondo e il mondo è il ciclismo: finché ci sarà il mondo ci sarà il ciclismo e viceversa, perché, sempre come dice Magni, i bambini con cosa giocano? Con una palla e con un triciclo.
Buon Giro a tutti, vado in bici!