Giovedì, per la prima volta in vita mia, ho visto Blade Runner al cinema (in versione final cut).
Per un blog dedicato, almeno nelle intenzioni iniziali, all'immaginario e per uno che all'inizio (ere geologiche fa, ormai) ha scelto un nickname ispirato a Philip Dick amare Blade Runner è quasi un atto dovuto, una cosa scontata e forse banale.
Ma può essere banale amare un film che a più di trent'anni dall'uscita ancora riesce a emozionare chi lo vede per la prima volta? Può essere scontato amare un film che richiede attenzione a ogni singola parola, a ogni frame, a ogni inquadratura, gioco di luci, movimento di macchina per coglierne il senso profondo?
Può essere banale amare un film che ci fa sentire uguali a quanto di più lontano, alieno e diverso dovrebbe esserci per noi umani, come un essere artificiale, il frutto dell'ingegneria?
No, ovviamente. Quanto mi piacciono le domande retoriche.
Quasi tutti quelli che conosco hanno visto e amano quel film. Pochi hanno invece letto Do Androids Dream of Electric Sheep?. Il libro e il film sono vicini e lontani allo stesso tempo. Il cuore della storia e le emozioni che suscitano sono pienamente dickiane, l'effetto di meraviglia visiva è invece di Syd Mead e di Ridley Scott ma interpreta e rafforza il racconto di Dick.
Queste distanze variabili fra libro e film vanno lette in base a quanto c'è di Dick nel film di Scott (gli androidi indistinguibili dagli umani; un mondo distopico sommerso dal caos - la palta; gli animali elettrici - anche se questo tema è molto più sfumato nel film; la cupezza del racconto noir; le grandi corporation che dominano il mondo, il senso di soffocamento delle emozioni più profonde) e quanto invece è stato lasciato fuori (la sottotrama religiosa legata al culto del nuovo messia Mercier - fanatismo, spettacolarizzazione e mercificazione della religione e del dolore, impoverimento emotivo; gli animali veri - come simbolo e rappresentazione dei desideri repressi e dei sensi di colpa di una società che ha visto la quasi totale estinzione della vita animale - Vs gli animali elettrici - surrogati che solo in parte compensano la scarsità di empatia presente nel mondo; la polizia parallela composta da androidi).
E poi c'è l'elemento più importante di tutti, che fa sì che libro e film siano comunque un unico universo, il tema portante della fantascienza dickiana (e di un bel pezzo della filosofia occidentale): l'inconoscibilità della nostra natura e di quella del reale. Cosa è umano, cosa non lo è? Siamo umani perché lo dice la biologia o perché abbiamo aspirazioni, ci innamoriamo, sogniamo pecore elettriche (o unicorni)?
Quello che percepiamo con i nostri sensi è davvero oggettivo? È davvero reale? Quello che sappiamo di noi stessi è davvero ciò che siamo?
E se scoprissimo di essere altro da noi, smetteremmo di essere noi? Avremmo una vita meno degna di essere vissuta? O continueremmo invece a chiedere più vita come Roy Batty?
Quello che so è che proseguiremo sempre a interrogarci su chi e cosa siamo, su come dare sostanza ai nostri sogni, come inseguirli e renderli reali, fossero anche unicorni.
La realtà è quella cosa che quando smetti di crederci non sparisce, è quello che dice Dick in risposta alla domanda di uno studente in uno dei suoi romanzi più difficili e stranianti, Valis. E’ la citazione di PKD che preferisco, perché penso dia il senso della sua opera molto più di altre (tipo l’Io sono vivo, voi siete morti di Ubik).
Ma gli androidi sognano pecore elettriche? (perché per me il titolo del libro sarà sempre la versione originale, non sarà mai Blade Runner o Il cacciatore di androidi) è, per questi motivi il libro che amo di più di Dick, più di Ubik, più di Le tre stimmate di Palmer Eldritch, più di Un oscuro scrutare che pure adoro. Lo amo più del film (che è comunque uno dei miei film preferiti) perché lo considero più complesso e più denso di significati e perché lascia allo spettatore più domande che risposte, mentre in Blade Runner (a forza di director’s cut) la risposta alla domanda più grande di tutte sta lì, in bella vista.
[Da qui in avanti c’è qualche spoiler sul libro, per chi volesse leggerlo; personalmente penso sia ridicolo parlare di spoiler per un libro di quasi 50 anni fa ma ormai c’è questa sacra paura dell’anticipazione…]
Il Deckard di Dick e quello di Ridley Scott. L’investigatore del romanzo dickiano è il classico protagonista perdente dei romanzi di Dick, non è affascinante (non ha la smorfia di Harrison Ford), è sposato con un’arpia insensibile dedita al culto di Mercier, ha come massima aspirazione potersi comprare una pecora vera, massimo status symbol, invece di quella elettrica.
Il Deckard del film è il protagonista di un film noir, non sappiamo niente di lui a parte che caccia androidi. Deve svolgere un lavoro, seppur controvoglia, e si troverà invischiato in un’altra storia.
Il romanticismo. Il film si basa molto, oltre che che sul contrasto umano/artificale, sulla storia d’amore fra Rick e Rachel, e sul percorso che compiono verso la consepevolezza della propria natura. Nel romanzo di Dick è tutto molto più sporco e incerto; Rachel non è quest’essere così amabile ed etereo e la storia non andrà per niente come nel film; piuttosto sarà un incontrarsi di desideri e uno scontrarsi di personalità fino all’epilogo. E a rimetterci sarà una pecora.
Un diverso finale. Come dicevo, nel libro il finale è molto più aperto. Non ci sono elementi per pensare con certezza che Rick sia un androide (sì lo sospettiamo e lo sospetta anche lui in una parte fondamentale del libro, ma nessuno ce lo dice, non c’è un Gaff a distribuire origami). L’epicità dello scontro fra Rick e Roy è tutta del film (ed è naturalmente un suo gran merito), nel romanzo tutto si risolve in modo diverso, forse anche più sciatto e sicuramente meno epico.
La storia d’amore con Rachel, poi, non è proprio una storia d’amore. Nessun finale romantico.
Unicorni vs Pecore. Che sognare un unicorno sia molto più affascinante che desiderare una pecora da tenere in terrazzo è cosa ovvia. Il tema degli animali, elettrici e non, è però fondamentale in Dick (già dal titolo del romanzo).
Il mondo in cui si muove Deckard è un mondo post-atomico, ormai impoverito, in cui rimangono solo pochi derelitti mentre chi può parte per le colonie spaziali (le colonie extra-mondo del film); le radiazioni hanno causato la quasi totale estinzione degli animali e una gran varietà di mutazioni e malattie negli esseri umani (altro tema importante del libro: si veda il personaggio che nel film diventa Sebastian).
Gli animali diventano rappresentazione della propria ricchezza e posizione sociale; chi non può permettersene uno lo compra elettrico e spera che i vicini lo scambino per uno vero.
Il desiderio di un animale è quindi esemplificazione, nel romanzo, dei desideri e dei bisogni, anche banalmente consumistici, espressi da quell’animale sociale che è l’uomo.
L’unicorno che sogna Deckard nel film non rappresenta, ovviamente, il desiderio del protagonista di avere un unicorno in casa ma tutto ciò che lui non capisce della sua vita, a cominciare dai propri sogni.
Pecore e unicorni svolgono però una funzione simile dal punto di vista narrativo, sono un po’ un anello di congiunzione fra libro e film, rappresentando quel qualcosa che ci fa, tutti, più umani.
Ho messo in ordine un po’ di idee su quello che mi piace pensare come l'universo narrativo Blade Runner. Spero di aver messo dentro anche qualche spunto interessante per chi, se già non lo conosce, abbia voglia di avvicinarsi a Dick, leggendo anche altri suoi libri.
Se ne volete parlare, sono qua. Vi lascio con la versione originale del monologo finale di Roy.