Nei giorni scorsi sono andato al cinema, tanto per cambiare, insieme al mio amico Wiseman, per vedere Steamboy, film d’animazione giapponese di Katsuhiro Otomo (che ha firmato più di 15 anni fa il cult Akira), che ha avuto critiche contrastanti ma che a noi è effettivamente piaciuto, a partire dall’ambientazione (Esposizione Universale di Londra del1866) e dalle premesse teoriche e sociologiche (purtroppo l’influenza di certi studi si fa sentire).
Ray Steam è un geniale ragazzino capace di mettere mano a qualsiasi macchina, degno figlio e nipote di due illustri inventori autodidatti. Un giorno riceve a casa un pacco inviato da suo nonno contenente una strana sfera con una valvola, e riceve il compito di consegnare tale invenzione (di cui non comprende l’uso) a un noto scienziato americano in visita a Londra. Ma subito arrivano dei brutti ceffi a cercare di impossessarsi della sfera.
Ray arriverà a Londra, dove in quei giorni sta per inauguarsi la grande esposizione universale, nel Crystal Palace, in cui tutte le più importanti meraviglie del mondo industriale sono messe in mostra, e soprattutto mirabili invenzioni.
Il titolo del film richiama il genere steam-punk, in cui in un preciso contesto storico si svolge una vicenda basata su presupposti tecnologici diversi (appartenenti ad epoche successive, oppure del tutto immaginari), come, nel caso del film, incredibili macchine basate sulla forza della caldaia a vapore (non a caso steam vuol dire vapore…). Interessante che l'origine del termine (stando a Wikipedia) risalirebbe in seguito al romanzo La macchina della realtà (The difference engine) (comunque il primo romanzo riconosciuto come steampunk è del 1979), scritto a quattro mani da William Gibson e Bruce Sterling, che ormai dovreste conoscere; in questo romanzo (molto interessante, ve lo consiglio) il presupposto è che Lord Babbage e Lady Ada Byron (la figlia del poeta) hanno davvero costruito il calcolatore automatico di cui avevano solo teorizzato la possibilità (per davvero: sono considerati i precursori dei moderni computer).
Il film è divertente e la vicenda è costruita bene, e chi ama questo genere di animazione non rimarrà deluso, anche perché da un punto di vista tecnico è veramente ben riuscito, un misto di animazione tradizionale e digitale (come ormai è sempre), e soprattutto le ricostruzioni digitali di Londra sono favolose ed estremamente realistiche.
Sulla grande Esposizione
Oltre ad essere un bello strumento di evasione e divertimento questo film è anche molto interessante per il tema e l’ambientazione scelta, che è quella, come detto della grande Esposizione Universale, sia da un punto di vista storico che dal punto di vista dello sviluppo della società di massa e dell’immaginario collettivo, con la messa in scena del grande spettacolo delle merci. La prima Esposizione fu quella di Parigi del 1789, che venne definita un gigantesco bazar, perché oltre ad osservare le merci il pubblico poteva anche acquistarle. La grande svolta si ebbe nel 1851, con l’Esposizione di Londra in cui venne costruito il Crystal Palace, gigantesco edificio in ferro e vetro che può essere considerato un vero e proprio «monumento alla modernità». Questa esposizione in particolare venne inaugurata dalla regina Vittoria (il primo testimonial della storia della pubblicità moderna); «La prima industria culturale di massa dispone qui della sua vetrina: le politiche e le ideologie del lavoro che si incarnano nella quantità delle merci e della loro visibilità vi trovano la trasparenza necessaria ad esercitare il loro potere, un potere che contratta con l’immaginario collettivo».
Le grandi Esposizioni hanno un doppio radicamento territoriale: uno all’interno delle città in cui vengono costruiti questi luoghi simbolici destinati alla celebrazione della civiltà moderna; l’altro all’interno del territorio dei media, essenziali per la diffusione al di là dei limiti spazio-temporali del luogo e dell’evento e al di là del pubblico dei suoi spettatori dal vivo. «In questa doppia appartenenza la spettacolarizzazione delle merci e quella dei mezzi di comunicazione trovano uno dei loro più potenti acceleratori».
«La stampa, l’illustrazione e la fotografia estendono in forma di simulacri e di narrazioni il dispositivo delle esposizioni […]. Realizzano così un processo di metropolitanizzazione del territorio, cioè una sempre più forte presenza della tecnica e delle merci, dei loro bisogni e linguaggi, al di là dei confini dello spazio metropolitano, elaboratore originario di modelli di produzione e consumo, di stili di vita, mode, desideri, mitologie».
Le Grandi Esposizioni Universali sono un centro di attrazione sia per i grandi apparati produttivi che «per l’immaginario collettivo, nel divulgare lo spirito delle macchine, la seduzione delle merci e della loro messa in scena, le mitologie moderne del progresso, le forme espressive della cultura di massa e della società dello spettacolo».
Queste nozioni sulle Esposizioni Universali e tutte le citazioni sono tratte da Alberto Abruzzese, “Poteri: massa e merci”, in Abruzzese, Borrelli, L’industria culturale, Carocci, 2000.
rimango sempre più meravigliata dalla poliedricità della tua cultura:P
RispondiEliminano cara, semplicemente ho preso 30 all'esame del prof. Abruzzese...
RispondiEliminaE' solo perchè pure tu sei un pò abruzzese (Luco dei Marsi, giusto? ) :-P
RispondiEliminama che fai ricicli le lezioni universitarie? ;-)
RispondiEliminamaddai scherzo che insieme a Mutewinter sei il mio punto di riferimento culturale... :-)
wiseman: sarà per questo che ho fatto questo blog "abruzzesiano"?
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militante: certo che riciclo e l'ho fatto anche altre volte... :) solo che mi preoccupo per te e la tua tesi di dottorato se io sono fra i tuoi punti di riferimento culturali! Su mute non ho niente da dire, soprattutto di uno che prende il nick da william gibson ;)
Wow, complimenti...si vede che è materia tua...anch'io immaginavo che l'ambientazione dell'esposizione universale non fosse casuale, solo per far colore, Otomo non è mai così scontato, o casuale.Il film a me era piaciuto molto per il fascinazione verso le macchine, e il discorso sulla scienza e il progresso e il suo utilizzo, però la tua digressione sociologica ha arricchito senz'altro la mia visione, grazie.
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